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L’Amazzonia non è solo la testimonianza della straordinaria ricchezza della natura e delle biodiversità, è un test della capacità di affrontare un tema di interesse planetario con il necessario rispetto delle sensibilità e della sovranità dei Paesi dell’area. Se a Biarritz la nuova emergenza della deforestazione amazzonica, gravida di implicazioni sul piano globale, è iscritta all’ordine del giorno del G7, è lecito dubitare che il metodo adottato sia corretto ed efficace. Dire una cosa giusta nel modo sbagliato equivale spesso a dire una cosa sbagliata.

L’appello di Macron a una mobilitazione a favore dell’Amazzonia ferita dagli incendi, per salvare “la nostra casa in fiamme”, ha provocato scintille soprattutto in Brasile, anch’esse incendiarie sul terreno politico. Con la sua reazione, dura e scomposta, Bolsonaro ha rivendicato un diritto di autodeterminazione sul suo territorio e respinto la pretesa, alquanto infelice, di abbordare la questione senza neanche interpellarlo. Oltre al Brasile, la preservazione dell’Amazonia riguarda gli altri sette Paesi membri dell’Otca, l’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica (Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Suriname e Venezuela), pur in presenza di un interesse globale, sulla spinta di una nuova, incoraggiante coscienza ambientale specie dei più giovani.

In Rondonia, nel nord-ovest del Brasile, il cielo livido illustra la portata degli incendi in Amazonia meglio di parole e cifre. Niente di nuovo in quella regione remota e violenta, da anni minacciata nel suo equilibrio ecologico, dove aleggia il ricordo di Chico Mendes, sindacalista e politico ambientalista ucciso trentuno anni fa. Inedita è però l’impennata della distruzione della foresta. Nei primi otto mesi dell’anno sono bruciati 1700 chilometri quadrati, l’anno scorso 526. I governi di Brasilia e dei vicini sono seriamente impegnati nel contrasto degli incendi illegali, provocati per conquistare nuove terre per le coltivazioni di soia se non di di coca? Se lo chiede anche il Papa.

Anziché condanne ex cathedra, servirebbero confronti pragmatici, attenti alle suscettibilità di chi si sente giudicato in casa propria. Nutrire preoccupazioni per il destino dell’ambiente comporta esser pronti a contribuire senza paternalismi alla sua tutela. Ad esempio nello scorso decennio l’Italia ha già realizzato qualcosa di buono in quell’area, con interventi di cooperazione mirati d’intesa con le autorità locali (Amazonas sem fogo). Riprendere l’idea di un cammino condiviso potrebbe stimolare nuovi programmi nazionali ed europei, consapevoli anche di condizionamenti e resistenze, interessanti per tutti.

Nei prossimi giorni il presidente Conte sarà a New York al vertice dell’Onu sul clima. A ottobre su iniziativa della Farnesina ospiteremo a Roma la conferenza Italia-America latina, dedicata alla crescita sostenibile. Per fine anno è indetta la Coop 25, per aggiornare gli impegni già assunti. Tre appuntamenti di rilievo, in cui portare esperienze e proposte italiane e declinare anche sul piano internazionale la priorità che il nuovo governo, in linea con l’Ue, assegna al “new green deal”.

Sorgente: Per salvare l’Amazzonia bisogna coinvolgere il Sudamerica – La Stampa

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