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Gaziantep è una grande città dalla fiorente industria tessile situata nel sud della Turchia, al confine con la Siria. I primi abitanti si sono insediati nel 3650 a.C.. Ripercorrendone la storia a ritroso si arriva fino agli Ittiti. “Antep”, infatti, nella lingua ittita significa “terra del re”. L’insediamento della città antica si chiamava Zeugma, fondata da Alessandro Magno nel 300 a.C. in un piccolo villaggio chiamato Belkis, nei pressi dell’attuale Gaziantep. Il suo nome deriva dall’antica parola greca che significa “ponte”, poiché si trovava vicino a un fiume. Conquistata nel 64 a.C. dall’impero romano (e successivamente dai persiani, dai crociati e infine dagli arabi) Zeugma ha acquisito grande importanza grazie alla sua posizione strategica sulla famosa strada commerciale, la Via della seta, che la rendeva perfetta per una fusione culturale. L’avvicendarsi di tante civiltà, succedutesi nel corso dei secoli, ha segnato la città in ogni modo possibile e tangibilmente visibile in qualsiasi suo angolo. Il senso della condivisione, della commistione, della aggregazione sono il tratto distintivo e l’eredità che Gaziantep, la città dove ha sede lo Zeugma Mosaic Museum – il museo più grande al mondo dedicato al mosaico –, del rame e dei sandali yemeniti, della buona cucina e degli uliveti, dei vigneti e dei frutteti di pistacchio, ha portato con sé fino ad oggi. Zeugma Museum via @_sgokce Nell’aprile 2011, a causa della devastazione della guerra in Siria, 252 rifugiati provenienti da Aleppo sono arrivati in Turchia. L’anno successivo, nel 2012, i rifugiati sono diventati 23.000. Alla fine del 2015 erano 2 milioni le persone che avevano trovato riparo nello Stato turco. Ad oggi sono 3,7 milioni i rifugiati (o “persone protette”, come sono definite) presenti in Turchia, con la maggioranza che vive nel sud, in luoghi come Gaziantep che dista da Aleppo circa 150 chilometri. via World Easy Guide Alla sesta città turca, in ordine di grandezza, sono bastate 24 ore per accogliere 200.000 persone. La portata enorme dell’operazione è ancora più evidente se si considera che Istanbul, la città più grande della Turchia che ha una popolazione di 15 milioni di abitanti, ospita in totale 560.000 rifugiati mentre Gaziantep, che ha solo un decimo della popolazione di Istanbul, è riuscita ad accogliere 500.000 persone. «Già prima della guerra erano molti i legami esistenti tra le persone che vivono nel sud-est della Turchia e quelle che abitano in Siria», racconta al Guardian Azhar Alazzawi che gestisce il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite a Gaziantep. «Ecco perché, generalmente, le persone qui sono chiamate ospiti, non rifugiati. La cultura è simile, come la religione». Sotto l’impero ottomano, prima che venissero fondati gli Stati moderni di Siria e Turchia, Gaziantep e Aleppo facevano parte della stessa regione. Anche per questo forte senso di appartenenza, i rifugiati tendono a rimanere nel sud della Turchia. Da un lato la storia comune, dall’altro una maggiore facilità nel trovare lavoro grazie all’alta richiesta di manodopera non qualificata. Nonostante vi fossero tutte le condizioni per una convivenza pacifica, sono stati numerosi i problemi che la città ha dovuto affrontare sia da un punto di vista strutturale che sotto il profilo sociale. Il numero elevatissimo di nuovi arrivati ha messo, infatti, a dura prova, in una prima fase, le risorse della città, soprattutto relativamente a sistemazione nelle case, acqua, trasporti pubblici e assistenza sanitaria. In un seconda fase, invece, si è cercato di offrire un sistema scolastico adeguato ai minori di 18 anni che rappresentano oltre la metà dei rifugiati arrivati in Turchia. «Inizialmente abbiamo dovuto fornire cibo, vestiti e alloggi temporanei», spiega al Guardian Onder Yalçin, capo dell’ufficio immigrazione della città. «Abbiamo affittato gli hotel e sistemato le persone nei centri sportivi». Successivamente è stato lanciato un appello alla cittadinanza per chiedere aiuto. La risposta non solo non si è fatta attendere ma è stata di gran lunga superiore alle aspettative. Gli abitanti di Gaziantep hanno portato cibo, coperte, vestiti, fornelli e tanto altro ancora e hanno ospitato nelle proprie case le persone più vulnerabili, come le madri con bambini piccoli. La scelta di perseguire una politica di integrazione dei nuovi arrivati ospitandoli nelle aree urbane, piuttosto che sistemarli ai margini, in campi profughi, ha messo sotto pressione il patrimonio immobiliare esistente a Gaziantep con il rincaro degli affitti e con criticità emerse anche in ambito lavorativo. Tutto questo, unito alla difficoltà di accesso all’acqua potabile, ha provocato un risentimento crescente da parte dei cittadini turchi meno abbienti verso i siriani che venivano sostenuti dagli aiuti. «Se giri in un quartiere con un’auto delle Nazioni Unite, tutti sanno chi riceverà gli aiuti e questo può potenzialmente causare tensioni», afferma Khalil Omarshah della sede di Gaziantep dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), uno dei principali organismi mondiali incaricato di sostenere il processo di reinsediamento dei rifugiati nei paesi terzi. Per evitare questo genere di conflitto Gaziantep ha scelto di adottare un approccio diverso, basato sull’integrazione (per questo motivo il sindaco Fatma Şahin ha istituito un dipartimento di gestione delle migrazioni) con l’obiettivo di offrire pari trattamento e benefici ai cittadini turchi e ai migranti. Per affrontare la crisi idrica l’amministrazione ha persuaso il governo turco a prevedere un sistema di tubazioni che trasporti l’acqua da oltre 150 chilometri di distanza, mentre per l’emergenza abitativa ha chiesto di istituire un piano per costruire 50.000 nuove case, insieme a nuovi ospedali e servizi pubblici migliori da mettere a disposizione di turchi e migranti. In sostanza la scelta è stata di distribuire equamente gli aiuti ricevuti. «Puntiamo alla coesione sociale, perché turchi e siriani vivranno qui, insieme. Se si aiuteranno solo i siriani si creerà tensione. Quando si aiutano i siriani negli stessi quartieri in cui i turchi hanno uguali necessità, è necessario dare una mano anche a loro», ha raccontato Yalçin. OIM e amministrazione comunale hanno deciso di gestire insieme il centro ricreativo Ensar, nel quartiere povero di Narlitepe, dove alle persone di entrambe le comunità vengono offerti corsi di informatica, cucina, lingua, mosaico e break dance. Tutte le attività sono proposte sia in lingua turca che in lingua araba. «La maggior parte delle centinaia di persone che frequentano il centro è rappresentata da bambini», racconta Omer Atas, coordinatore del centro. Per lo più si tratta di ragazze che hanno maggiore difficoltà a socializzare. Il numero dei ragazzi è inferiore perché costretti a lavorare. Tra le discipline insegnate c’è anche la musica. Ad occuparsene è Mohammed, 19 anni, fuggito da Aleppo con la sua famiglia sei anni fa. Quando è arrivato a Gaziantep ha studiato il turco e, da autodidatta, la lingua inglese. Dopo aver imparato a suonare la chitarra, ha iniziato a lavorare al centro. Non pensa di tornare più ad Aleppo perché non c’è più niente lì, né per lui, né per la sua famiglia. L’opinione di Mohammed è largamente condivisa da chi ha abbandonato la Siria. Una volta terminata l’emergenza umanitaria, due sono le sfide che si sono poste all’amministrazione della città: l’istruzione e il lavoro. Fino a quando si riteneva che prima o poi i rifugiati sarebbero tornati in patria bambine e bambini, ragazze e ragazzi hanno seguito il programma didattico siriano in lingua araba. Da quando si è capito che molti siriani sarebbero rimasti a Gaziantep, si è scelto (a partire dal prossimo anno) di integrare nel sistema scolastico pubblico turco bambine e bambini, ragazze e ragazzi di tutte le età per ovviare al problema della lingua che permane sia per gli studenti che per chi cerca lavoro. Dopo un primo periodo in cui le autorità hanno scelto di soprassedere nei confronti delle imprese create dai siriani non munite dei regolari permessi, con la stabilizzazione delle attività si preme affinché regolarizzino il loro status in vista di un’autonomia necessaria quando gli aiuti economici termineranno. Attualmente la Turchia ha ricevuto 3 dei 6 miliardi di euro stanziati nel 2016 dall’Unione Europea per aiutare i migranti siriani. Sebbene gli Stati membri abbiano concordato quasi un anno fa di pagare gli altri 3 miliardi, la parte rimanente non è stata ancora saldata. Ciò che ha contraddistinto Gaziantep è l’attivazione immediata, senza attendere l’arrivo delle risorse economiche. Dopo aver rapidamente accettato la realtà che i migranti sarebbero rimasti, il processo di integrazione è stato accelerato poiché si è capito che prima si sarebbe realizzato, più rapidamente si sarebbe raggiunta la soluzione migliore per tutti. «La migrazione ha sempre fatto parte di noi», conclude Yalçin. «Non è un problema da risolvere, ma una realtà da gestire. Bisogna vederne i vantaggi. E bisogna raccontare alla gente la verità: queste persone non rubano il lavoro, non rubano le case». A testimonianza di ciò la conferma che oggi Gaziantep, modello di tolleranza e pragmatismo di fronte ad un’emergenza umanitaria di proporzioni enormi, può ritenersi una città economicamente in piena espansione. Foto anteprima: Nadine Al Lahham

Sorgente: Come una piccola città turca ha saputo accogliere mezzo milione di migranti siriani – Valigia Blu

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