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di Fabrizio Goria

Vytenis Andriukaitis si è trovato in una posizione complicata. Come Commissario Ue per la salute e la sicurezza alimentare ha dovuto combattere non solo contro gli anti-vaccinisti, ma anche contro chi pensa che il cambiamento climatico sia una bufala. E non è un caso che il primo tema discusso sia relativo al livello di polveri sottili osservato nelle ultime settimane nella Pianura padana, visto che Andriukaitis si trova a Torino per il Festival del giornalismo alimentare.

Qui a Torino stiamo vedendo livelli di inquinamento molto elevati in questi giorni. Come si pone lei di fronte a chi nega che esista un problema di riscaldamento globale?
«Sì, Torino ha poi la sua specificità, perché è circondata da montagne elevate, ma il punto è anche sul cambiamento climatico. La domanda in questo caso è “cosa possiamo fare?”. E non possiamo affrontare questo problema da soli. Ogni tanto ascolto questa nuova leva di politici italiani che affermano di essere in grado di affrontare problemi da soli, come questo, ma come si può pensare di fare così? Bisogna invece utilizzare gli strumenti che ci mette a disposizione l’Ue al fine di migliorare la vita di tutti».

Perché non è un problema solo di Torino.
«No, infatti. Abbiamo il dovere di spiegare che no, l’inquinamento non è solo un problema solo di Torino, o di Milano. È una problematica nostra, di tutta l’Ue».

E guardando a quello che sarà tutta l’Europa tra pochi mesi, dopo le elezioni di maggio, come si può spiegare questa crescita del consenso dei cosiddetti partiti populisti e sovranisti?
«Prima di tutto, per favore, non usiamo la parola populismo. Non può spiegare al meglio cosa stiamo vivendo in questi anni. Immaginiamo di avere 10 anni di stagnazione dei salari, e allora possiamo capire perché molte persone credono a chi propone soluzioni apparentemente semplici. Chi parla per slogan vince, in questi giorni. Basta attaccare Bruxelles, usare l’Ue per scopi elettorali. Ed è quello che molti partiti stanno facendo. Basta dire che i nemici sono a Bruxelles, e allora si guadagna consenso. Ma spesso ci si dimentica che per difendere lo stile di vita italiano, o il cibo italiano, ci vuole l’Europa».

Chi si propone come “difensore” di quella specifica peculiarità nazionale, dove va messo?
«Spesso i partiti che attaccano Bruxelles, come in Italia accade di frequente sul tema del cibo, dimenticano di spiegare ai loro elettori che senza Ue, e senza mercato unico europeo, non si potrebbero proteggere gli alimenti italiani da frodi o attività criminali. Ciò che viene prodotto con sopra l’etichetta “Made in Europe” si può considerare sicuro, ben più in che altre aree. Eppure, pare che molti politici se lo siano dimenticato».

E spesso ci sono eccellenze, nazionali e comunitarie, che lavorano sodo e poco sotto i riflettori. Possiamo dire che Slow Food, che è nato qui in Piemonte, non potrebbe esistere senza Ue?
«Certamente Slow Food è un eccellente esempio di come promuovere una filiera corta, una maggiore sostenibilità nella produzione di cibo e una forte sicurezza alimentare. E non bisogna dimenticare che Slow Food è basato sui nostri standard europei, quindi è ovvio che siano due realtà complementari. Un conto è la sicurezza, e lì anche i fast food sono sicuri, ma questo non vuol dire che siano sicuri e anche sani. Slow Food è entrambe le cose. Ed è europeo. Italiano sì, ma europeo».

Sempre in ottica europea, stiamo osservando ora la rivoluzione digitale della cartella clinica elettronica, oggetto di una raccomandazione della Commissione europea. Ma possiamo pensare di arrivare presto al livello in cui potremo avere sui nostri orologi intelligenti, connessi al nostro telefonino, i nostri dati medici, utilizzabili a livello comunitario dai dottori?
«Prima bisogna parlare di questa mia visione. Possiamo immaginare un mondo in cui ciò che ci circonda ci può consigliare su cosa è meglio o cosa è peggio riguardo la nostra salute? Per esempio utilizzando le nanotecnologie? I nostri abiti? Sì, perché è possibile. Perché è solo questione di tempo. Non di “se”, ma di “quando”. Il vero problema è però un altro».

Ovvero?
«Che queste tecnologie devono essere sicure, basate sulla scienza, non manipolabili. Non ci possono essere app che trasmettono informazioni false, o tendenziose. Ci deve quindi essere una sorta di architettura di regolamentazione alla base. Così come abbiamo agito in ambito alimentare per garantire una sicurezza di base, bisogna fare le stesse cose sul versante medicale. E purtroppo ci sono due Paesi che, sul fronte delle falsificazioni dei medicinali, non hanno aderito immediatamente ai nuovi aspetti di sicurezza».

Quali?
«Grecia e Italia, perché non erano d’accordo con tutte richieste invece accettate dagli altri Paesi europei. Per i farmaci prodotti dopo il 9 febbraio 2019, è possibile richiedere l’autenticità via applicazioni su telefono, o via internet, per i farmacisti europei. Si tratta di un ulteriore standard di sicurezza per i cittadini comunitari, superiore a quello che possiamo vedere negli Stati Uniti, per esempio».

E sul fronte di una maggiore integrazione tra Stati membri sul fronte della condivisione di dati medici fra dottori?
«Stiamo proponendo un network europeo di medici, così che sia possibile che se un cittadino italiano va in Germania, o a Malta, e ha un problema di salute, il dottore locale possa avere accesso ai suoi dati. Per ora abbiamo 18 Paesi pronti a farlo, ma l’obiettivo è estenderlo a tutti. Ma stiamo anche sperimentando la ricetta elettronica, tra Estonia e Finlandia, per esempio. O come tra Lussemburgo e Repubblica Ceca. Resta fermo un punto, tuttavia: la protezione dei dati personali».

Una domanda doverosa riguarda il fenomeno degli anti-vaccini in Italia. Lei, da chirurgo prima che da Commissario europeo, conosce bene il virologo Roberto Burioni. Cosa pensa di ciò che sta succedendo in Italia da qualche anno a questa parte?
«Io ho speso molto tempo discutendo sul tema dei vaccini, in molti Stati membri. Dobbiamo continuare a ribadire il concetto che vaccinare è un bene. Ma è un bene per i nostri bambini. O vogliamo pensare che sia giusto lasciare morire i nostri bambini di morbillo, o influenza? Quelle vite possono essere salvate. E a Burioni dico “Bravo!”, perché ci vuole più educazione scientifica».

Per concludere, guardiamo all’Europa nel 2025. In tre aggettivi, come la vede? 
«Più sociale, più egualitaria, più coerente»

Sorgente: Vytenis Andriukaitis: “Il cambiamento climatico non si può affrontare da soli, serve l’Ue” – La Stampa

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