Conferenza dei capigruppo al Senato e Consiglio dei ministri: una manciata di ore per trovare l’accordo dopo le minacce di dimissioni del ministro Costa e la presa di posizione della Lega. Ipotesi di una moratoria di 18 mesi ma rimane il nodo dei canoni
Rimane una manciata di ore per trovare l’accordo sul caos trivelle dopo le minacce di dimissioni del ministro dell’Ambiente Sergio Costa e la presa di posizione del sottosegretario leghista Massimo Garavaglia. Lo scontro fra M5S e Lega rischia di travolgere l’intero dl semplificazioni. Dopo il caos di ieri si sperava in un accordo nella notte o in alternativa nella Conferenza dei capigruppo del Senato e del Consiglio dei ministri fissato per le 9,30 che potrebbe servire da ulteriore istanza di chiarimento.
La maggioranza fatica a trovare un’intesa su autorizzazioni e canoni e questo ha comportato una serie di sospensioni e rinvii al Senato, fino al nulla di fatto registrato ieri intorno all’ora di cena. E all’ulteriore inasprimento della situazione in tarda sera.
Il ministro Sergio Costa
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Le posizioni “restano distanti” e la trattativa è stata “sospesa” almeno fino a stamattina, appunto fino alla Capigruppo di Palazzo Madama. Fonti leghiste spiegavano così l’impasse di ieri, con le commissioni Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato – che avrebbero dovuto proseguire l’esame del decreto Semplificazioni – sconvocate.
M5s ha fatto filtrare la propria intenzione di non arretrare di un centimetro sulla questione: oltre a sospendere le nuove prospezioni e ricerche di idrocarburi, fino all’approvazione del Piano per la transazione energetica sostenibile nelle aree idonee, si chiede anche di rideterminare i canoni di coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi. E qui è Matteo Salvini a marcare il punto: impegnato a trovare una soluzione per risolvere le divergenze, riferiscono fonti governative leghiste, il vicepremier e ministro dell’Interno “è determinato a non mollare sull’aumento dei canoni alle aziende, che deve essere compatibile con la sopravvivenza delle stesse e con la tutela di migliaia di posti di lavoro”.
I leghisti, sempre a quanto si apprende, non si opporrebbero all’introduzione di una speciale moratoria di 18 mesi fino all’approvazione del Piano per la transazione energetica sostenibile nelle aree idonee, ma – ed è appunto qui che si sarebbe complicata la trattativa – i leghisti spingerebbero per aumenti più ridotti dei canoni. “La moratoria sui 18 mesi può anche andare, ma bisogna anche tenere conto dell’aumento dei canoni che deve essere compatibile con la tenuta economica delle aziende coinvolte perchè bisogna evitare che le aziende chiudano e se ne vadano”, spiegano fonti governative del partito di Salvini.
A innescare il braccio di ferro è stato ieri il ministro Sergio Costa: “Sono per il no alle trivelle, le trivelle passano per la valutazione di impatto ambientale, e io non le firmo. Mi sfiduciano come ministro? Torno a fare il generale dei Carabinieri, lo dico con franchezza”. A Costa ha replicato il sottosegretario leghista all’Economia, Massimo Garavaglia. “Bisogna distinguere il piano: c’è un piano politico e un piano tecnico. Se il Parlamento politicamente prende una decisione, quale che sia, il ministro non può che prenderne atto”, ha scandito l’esponente del partito di Matteo Salvini. “Lo stallo” sulle trivelle, ha aggiunto Garavaglia, “va risolto politicamente: deciderà il Parlamento. Noi l’attenzione che poniamo è a trovare una posizione equilibrata che eviti la chiusura di siti produttivi e quindi conseguentemente la perdita di posti di lavoro. L’importante è non fare danni”.
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