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Inchiesta sullo stato della democrazia in Italia. Il processo alle mamme lesbiche di Padova e gli anziani senza fondi per l’autosufficienza, il no ai certificati Lgbtq+, i bambini discriminati: viaggio tra leggi tradite e libertà civili negate. Così l’Italia si allontana dall’Europa

Immaginate un’aula di tribunale piena di mamme e bambini. I più piccoli hanno sei mesi, i più grandi otto anni. Immaginate un processo con sessantasei imputate adulte, più trentotto imputati in passeggino o con lo zainetto della scuola sulle spalle, colpevoli unicamente, mamme, figlie e figli, di essere famiglie “irregolari”. Nate sì dall’amore, ma da un amore illecito per lo Stato italiano del ventunesimo secolo, da un amore non “conforme” e scandaloso perché lesbico, formato da due donne anziché da un uomo e una donna. Basterebbe questa immagine (i bambini naturalmente non ci saranno) che anticipa quanto accadrà a Venezia il 10 giugno prossimo, il processo d’appello promosso dal ministro Piantedosi contro le 33 coppie di madri padovane cui sono stati impugnati i certificati di nascita dei figli registrati con entrambi i cognomi, per rendere plasticamente l’ossessione del governo di Giorgia Meloni contro il mondo Lgbtq+.

Contro cioè il frastagliato universo non binario, spettro dei movimenti Provita, i cui nuovi crociati, armati di propaganda integralista contro l’inesistente nemico gender, dettano legge nella maggioranza sovranista. Un attacco ai diritti civili così massiccio non risparmiare nemmeno i bambini e tale da farci precipitare, come ricorda l’avvocata e attivista Cathy La Torre, “al trentaseiesimo posto su quarantanove tra i paesi più omofobi d’Europa, secondo la classifica di Ilga (International Lesbian and Gay Association) addirittura dietro l’Ungheria di Orban”. Dunque fuori dalle grandi democrazie europee.

Fragili ed esclusi

I diritti delle minoranze, o delle persone più fragili, i disabili, i malati terminali, gli anziani non autosufficienti, sono il termometro per misurare la libertà di un paese. E’ da qui allora che bisogna cominciare per raccontare perché stiamo diventando una nazione illiberale. E se con il loro folklore le frasi ad effetto del generale Vannacci, simbolo trash della Lega che fa capo a Salvini, mai del tutto smentite rivelano l’anima razzista di parte della maggioranza, “i gay sono malati psichiatrici”, “i disabili tornino nelle classi differenziali”, sono poi le azioni concrete di questo governo a raccontare quanto le libertà personali siano in pericolo e le fragilità ignorate.

Nel virare verso quello stato etico che vorrebbe togliere alle donne l’ultima parola sull’aborto e ignora i moniti della Consulta per una legge suicidio assistito. Uno Stato che in nome della (ipotetica) famiglia naturale cancella dai certificati di nascita i genitori non biologici dei figli delle coppie omosessuali, creando la categoria dei “nuovi illegittimi”, così li ha definiti con nitidezza la sociologa Chiara Saraceno, anche qui contravvenendo all’appello per una legittimazione del nuovo presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera. Svuotando poi, ed è veramente uno scempio, il fondo per la non autosufficienza, lasciando migliaia di grandi anziani spesso affetti da malattie neurodegenerative nella totale povertà e disabilità.

 

Cathy La Torre
Cathy La Torre 

 

Fuori dall’Europa sui diritti Lgbtq+

Spiega Cathy La Torre: “In Italia ci sono così pochi diritti per le persone Lgbtq+ che è molto difficile cancellare ciò che non c’è, eppure è in atto un attacco capillare alle poche libertà conquistate. Con un uso ideologico della legge utilizzata per suffragare la propria idea di Stato, dalle famiglie arcobaleno al suicidio assistito. Penso all’ostinazione di Salvini sulle carte d’identità con scritto madre e padre, per ostacolare i genitori dello stesso sesso. Penso alla commissione istituita per rivedere le linee guida sui farmaci bloccanti dell’ospedale Careggi, pura propaganda per rendere ancora più difficile la vita di quei pochissimi bambini, già molto sofferenti, trattati con la triptorelina. Penso alla legge mai nata sull’omofobia”.

 

E se è vero come dice Cathy La Torre che è difficile togliere ciò che (purtroppo) non c’è, è vero anche che da settembre 2022, da quando Giorgia Meloni è diventata premier, gli atti contro la comunità Lgbtq+, sono diventati continui. A cominciare da quello che è il vessillo della crociata: la battaglia contro la gestazione per altri, definita nella contestatissima legge già approvata alla Camera “reato universale”, norma che prevede addirittura il carcere per le coppie che così diventano genitori all’estero, il 99% sono in realtà coppie eterosessuali, eppure nell’immaginario (e nella propaganda) è sempre ai padri gay che si fa riferimento.

Ossessione neo-naturalista

E sono ancora i bambini al centro del rifiuto del governo Meloni di sottoscrivere, a marzo del 2023, insieme al fidato amico Orban, il certificato europeo di filiazione, ossia un documento che riconosce uguali diritti a tutti bambini nati nella Ue, comunque “siano stati concepiti”. Ma nella concezione ormai neo-naturalista della destra sovranista, contraria anche alle tecniche di Pma eterologhe, di cui massima esponente è la ministra Eugenia Roccella insieme ai Pro Vita, l’unica forma legale nella quale venire al mondo è la coppia maschio femmina, da qui la persecuzione delle famiglie omogenitoriali. E’ del gennaio 2023 la circolare del ministro Piantedosi che richiamandosi a una sentenza della Cassazione del 2022, impone ai sindaci di non registrare più all’anagrafe i figli di due mamme.

Diversi primi cittadini, tra i quali Sergio Giordani di Padova, si oppongono, continuano a registrare. “Non esistono bambini di serie A e di serie B, in qualità di sindaco devo tutelarli tutti”. Ma le procure, in molte regioni fedeli al vento di reazione imposto dal Governo, impugnano gli atti, anche retroattivamente. Arrivando al caso di Padova, dove alla sbarra ci sono ben 37 coppie di madri.

 

Anna e Caterina, mamme di Padova
Anna e Caterina, mamme di Padova 

 

Ma è l’ossessione del gender a turbare i sonni della maggioranza di Lega e Fratelli d’Italia. Tanto che sempre dalle file più integraliste è partita la campagna contro la “carriera Alias” nelle scuola, ossia la possibilità per gli studenti di essere nominati con il genere cui sentono di appartenere e non con il nome relativo al sesso assegnato alla nascita. Ed è sempre per lo spettro dell’identità di genere che l’Italia clamorosamente non firma, il 17 maggio scorso, insieme, guarda caso, a Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, la dichiarazione Ue contro omofobia e per i diritti Lgbtq+. Perché? “Avrebbe aperto le porte al gender” ha sentenziato Eugenia Roccella, per giustificare di nuovo una scelta che ci accomuna sul fronte dei diritti a paesi sempre meno democratici.

 

Vecchi dimenticati e disabili nel ghetto

Ha fatto eco, ed è un paradosso, il silenzio della ministra leghista per le disabilità Alessandra Locatelli, di fronte alle uscite del suo compagno di partito Roberto Vannacci, sull’esigenza del ritorno delle famose “classi degli asini”, ossia le classi differenziali per i bambini disabili, cancellate in Italia dalla legge 571 del 1977. Locatelli non ha stigmatizzato le parole di Vannacci, anzi affermando, “il generale è stato frainteso”. Polemiche, ma la verità invece è che questa Destra “sociale” dei più fragili si è dimenticata. E se non un euro in più rispetto agli anni precedenti è stato stanziato per i diritti delle persone disabili è lo “svuotamento” del fondo per la non autosufficienza, aspramente criticato da Cgil, Cisl e dalla conferenza Stato-Regioni, a smascherare le vuote parole della propaganda di Dio, Patria e Famiglia.

E’ Sandra Zampa, senatrice Pd ed ex sottosegretaria al ministero della Salute nel governo Conte, a raccontare cosa sta accadendo. “Il 25 gennaio del 2024 la premier Meloni dà una notizia clamorosa: daremo mille euro in più ad anziano. Una dichiarazione enorme, la rivoluzione della terza età, finalmente – dicono – un governo che prende in carico il dramma della non autosufficienza. Una notizia purtroppo totalmente falsa. Il decreto legislativo emanato dal Governo in attuazione della legge 33 del 2023 sulle ‘politiche per le persone anziane’ è infatti una scatola vuota. Non solo perché non prevede un fondo ad hoc, quindi nasce senza soldi, se non quei fondi sottratti ad altre voci, ad esempio quelli destinati ad inclusione e povertà. Ma soprattutto quella che doveva essere una prestazione universalistica, per l’enorme bacino così l’aveva pensata il governo Draghi, si è ridotta ad una misura per pochi”.

 

Soldi soltanto per pochissimi anziani

Ecco i numeri: di fronte a una platea di 3 milioni e 800mila anziani non autosufficienti, riceveranno per due anni l’assegno dal 2025, soltanto gli over 85 anni, in condizioni gravissime e con un Isee non superiore a 6.000 euro l’anno. “In pratica la riforma riguarderà unicamente 25mila persone che riceveranno in via sperimentale 700 euro al mese per due anni”. I numeri parlano da soli: con il trucco di paletti così escludenti la “grande riforma” annunciata da Meloni riguarderà l’infinitesima parte dei nostri anziani con gravi disabilità e malattie degenerative. La cui cura sarà ancora una volta tutta sulle spalle delle famiglie.

 

 

Sibilla Barbieri
Sibilla Barbieri 

 

Governo contro il suicidio assistito

E’ difficile dimenticare gli occhi e la voce di chi annuncia: vado a morire lontano da casa mia, perché in Italia sono condannata alla sofferenza. E’ difficile dimenticare, ma è soltanto uno dei tanti casi, Sibilla Barbieri, malata terminale di cancro, cui la Asl aveva negato il suicidio assistito a Roma, il suo lucido j’accuse contro uno Stato che pretende di decidere sul nostro fine vita. Accompagnata dal figlio Vittorio e da Marco Perduca dell’Associazione Coscioni di cui era consigliera, Sibilla è morta dolcemente a Zurigo a 58 anni, “ma chi non ha diecimila euro per il viaggio e l’assistenza – aveva denunciato Sibilla- è costretto ad aspettare la propria fine tra terribili sofferenze”.

 

La sentenza della Consulta del 2019 sul caso di Dj Fabo, consente a certe condizioni di poter morire in Italia, anche con l’ausilio del servizio sanitario nazionale. Sappiamo però che la gran parte dei malati riesce ad ottenere questo diritto soltanto con una causa in tribunale. Per questo più volte la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a fare una legge sul suicidio assistito. Ma il Senato, dove sono depositati ben quattro testi di legge (tra i quali l’ultimo approvato soltanto alla Camera nella scorsa legislatura) è fermo perché per ben due volte il Governo non si è presentato impedendo così l’inizio della discussione. La legge dunque è prigioniera di un governo che non solo ne blocca l’esame ma attacca quelle regioni, come l’Emilia Romagna che aveva deciso di dotarsi di alcune delibere per rendere effettivo il suicidio assistito entro 42 giorni dalla richieste del paziente, verificata dalle Asl. Niente da fare: Palazzo Chigi e ministero della Salute, nettamente contrari al diritto di scelta sulla fine, hanno fatto ricorso al Tar contro l’Emilia Romagna. “Un ricorso ideologico sulla pelle dei malati” ha commentato con durezza Elly Schlein.

Sorgente: Il popolo dei senza diritti. Dai malati terminali alle famiglie arcobaleno, i dimenticati dalla Destra – la Repubblica