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 | 18 GENNAIO 2024

In Germania nemmeno i treni arrivano più in orario: nel 2023 più di uno su tre nelle tratte a lunga percorrenza della Deutsche Bahn non è stato puntuale. È una delle tante istantanee che raccontano il momento di smarrimento dell’ormai ex locomotiva d’Europa: l’implosione economica del Paese, che ha appena chiuso un anno in recessione, è accompagnata da un sentimento generale di sfiducia, verso le istituzioni e verso il futuro. Un diffuso pessimismo traspare non solo dal malcontento nelle piazze, dagli scioperi, dalla crescita dei consensi verso l’ultradestra di Alternative für Deutschland ma pure verso l’estrema sinistra rappresentata dall’Alleanza Sahra Wagenknecht, i due partiti ad oggi dichiaratamente antisistema. Pure Die Zeit, autorevole settimanale tedesco, è uscito in edicola una settimana fa con l’eloquente titolo “Die blockierte Republik“. Un Paese bloccato materialmente dalle manifestazioni degli agricoltori e dallo sciopero dei ferrovieri. Ma anche da un punto di vista socio-economico. I tedeschi, sotto la morsa dell’inflazione, per la prima volta da decenni hanno sperimentato la perdita di potere d’acquisto e l’aumento della disoccupazione. In più, archiviati gli anni della machiavellica ma rassicurante Merkel, si ritrovano spaesati di fronte a un governo che non percepiscono in grado di risolvere i grandi problemi che si trova davanti. Un’altra istantanea arriva dal mondo dello sport: domenica scorsa il cancelliere Olaf Scholz è andato a vedere la partita della nazionale tedesca agli Europei di pallamano ed è stato riempito di fischi. Tanto che, racconta la Süddeutsche Zeitung, il Bayern Monaco ha fatto sapere a Scholz che un suo eventuale discorso ai funerali del campione Franz Beckenbauer non sarebbe stato gradito, proprio per il rischio di contestazioni che potrebbero rovinare l’atmosfera. Dopo poco più di due anni di coalizione semaforo, il governo retto da SpdVerdi e Fdp, i fischi raccontano meglio di qualsiasi sondaggio il discredito nei confronti del cancelliere e del suo esecutivo. E la prima spiegazione di questo crollo di consensi è ovviamente legata all’andamento economico del Paese.

Le difficoltà economiche – Per ora le sanzioni contro la Russia hanno fatto male soprattutto alla Germania. Il modello industriale tedesco si è basato per decenni sull’energia a basso costo proveniente da Mosca, soprattutto in forma di gas. Ora che questo cordone ombelicale è stato bruscamente reciso, la manifattura della Germania è forzata a reinventarsi. Il 2023 si è chiuso con una flessione del prodotto interno lordo dello 0,3%, il dato peggiore di tutta l’area euro. Le stime per il 2024 indicano una ripresa ma più di un economista inizia a storcere il naso, prospettando la possibilità di un secondo anno con il segno meno. L’industria soffre più degli altri settori, il 2023 è andato in archivio con una produzione in flessione dello 0,4%. Il comparto auto ha tenuto ma sulle motorizzazioni elettriche è in ritardo. Le nuove produzioni evolvono verso vetture tecnologicamente più avanzate ma meccanicamente meno complesse. E il “core business” della manifattura tedesca (e del Nord Italia, una sorta di provincia teutonica) è proprio la meccanica.

La crisi d’identità – Ciò che sorprende, e getta ombre sul futuro, è la scarsa lucidità con cui figure di vertice dell’economia tedesca guardano alla situazione, sintomatico di un paese in crisi di identità. L’autorevole Hans-Werner Sinn, ex presidente dell’istituto Ifo, ha sostenuto in una recente intervista che il passaggio dalle auto tradizionali a quelle elettriche è stato guidato dalla lobby nucleare e dall’industria automobilistica francese che avrebbero siglato un patto luciferino con i Verdi per favorire la transizione e superare i concorrenti tedeschi. Secondo Moritz Schularick, economista e presidente del Kiel Institute, non tutte le case automobilistiche tedesche sopravvivranno a questo decennio. Mentre la crisi del mercato del lavoro in Germania, ha detto intervistato dalla Faz, non è ancora esplosa solamente perché viene “rallentata” dalla carenza di manodopera: “Manca la consapevolezza di quanto grandi siano le sfide“.

I segnali negativi – Giova notare che dopo la pandemia l’occupazione nel settore manifatturiero è diminuita da 8,4 a 8,1 milioni di addetti, così come in progressivo calo è il numero di piccole aziende, importanti in Germania quasi quanto in Italia. Tutto ciò accade per di più mentre l’universo delle Pmi è alle prese con un complicato passaggio generazionale. Secondo le rilevazioni dell’Istituto di ricerca Ifo, nel 43% delle aziende l’amministratore delegato andrà in pensione nei prossimi tre anni. Tra le imprese con più di 250 dipendenti, la percentuale supera il 50%. Il 42% afferma di non avere alcun successore. In difficoltà c’è anche il settore delle costruzioni. Nel 2023 le compravendite di immobili commerciali si sono dimezzate rispetto all’anno prima. I prezzi delle case sono in forte discesa e l’attività immobiliare si è contratta dell’1,5%. Pesa, come ovunque ma più che altrove, l’effetto del rialzo dei tassi Bce che rende più costoso accendere un mutuo ed ottenere finanziamenti. Lo scorso dicembre la metà dei costruttori ha dichiarato di avere problemi a causa della mancanza di nuovi ordini, il livello più alto di sempre, mentre un’impresa ogni 10 inizia a segnalare gravi difficoltà finanziarie. Nonostante una situazione non rosea il governo sembra voler rimanere fedele ad una politica di austerity. A maggior ragione dopo essere tornata ad imporla a tutti gli altri paesi europei strappando una riforma del Patto di Stabilità che riporta al centro il severo controllo dei conti pubblici e pone in subordine gli aiuti all’economia.

Un Paese “vecchio” – Per mantenere inalterata la fiducia nello Schuldenbremse, il freno al debito, il governo Scholz ha pianificato gli investimenti per la transizione verso un’economia verde usando fondi fuori bilancio, quelli già stanziati in via eccezionale per l’emergenza Covid. La sentenza dello scorso novembre della Corte costituzionale ha fatto saltare il giochino: l’esecutivo si è ritrovato all’improvviso con 60 miliardi in meno da spendere e per recuperare in extremis ha preso le forbici. I tagli preannuncianti hanno provocato le dure proteste di inizio 2024, ma pure un aumento della sensazione di smarrimento tra i cittadini. Anche perché la Germania – e qui si torna al concetto di “Die blockierte Republik” – avrebbe bisogno di un profondo rinnovamento in vari settori. Uno di questi sono le ferrovie (uno degli ambiti colpiti non a caso dagli scioperi): il 36% dei treni a lunga percorrenza della Deutsche Bahn arriva in ritardo, principalmente per via di un’infrastruttura considerata fatiscente e spesso soggetta a guasti. Un altro è il digitale, specialmente per quanto riguarda la pubblica amministrazione. La Germania si è riscoperta vecchia. O meglio, incapace di portare la sua economia nel futuro. Oltre al delicato passaggio generazionale che attende le Pmi, c’è pure un altro indicatore: l’anno scorso sono fallite più start-up tedesche che mai. 297 giovani imprese hanno chiuso, come raccontato da Handelsblatt: il 65% in più rispetto al 2022 e il 33% in più rispetto al 2021, quando l’Europa intera era ancora alle prese con il Covid.

Gli scioperi e il pessimismo – L’anno appena concluso è stato poi quello degli scioperi: hanno incrociato le braccia i dipendenti pubblici, l’intero settore dei trasporti, perfino i commessi dei negozi. Il 2024 è cominciato allo stesso modo, tra le manifestazioni appariscenti degli agricoltori e le minacce di uno sciopero anche da parte dei medici. Al di là delle ragioni delle varie proteste – i contadini tedeschi sono una lobby potente che beneficia già di molti sussidi statali – sono la frequenza e la partecipazione alle agitazioni che rappresentano una spia del malessere, diffuso anche ad altri settori meno chiassosi. Un esempio è la ristorazione: “Quanto può costare una Schnitzel?”, ovvero una cotoletta. Se lo chiedono oggi i ristoratori, costretti a scegliere tra tagli al personale o aumento dei prezzi. Tuttavia le difficoltà economiche dei cittadini tedeschi, ad oggi, sono spesso più percepite che reali: il 57% di loro giudica buona la propria condizione, solo il 10% la considera negativa. Eppure nello stesso sondaggio, il “Barometro politico” della Zdf, sono in netta minoranza gli intervistati che giudicano buona la situazione economica della Germania: appena il 14%. Per trovare un tale livello di scoramento bisogna tornare indietro al 2009.

La sfiducia verso il governo – La sfiducia, come detto, è a 360 gradi: solo il 4% dei tedeschi crede che la situazione economica del Paese sia destinata a migliorare nel breve periodo. E il malcontento investe direttamente il governo: ormai due cittadini su tre bocciano l’operato della coalizione semaforo e del cancelliere Scholz, sempre secondo il sondaggio della Zdf. Se in Germania si votasse oggi, i tre partiti che hanno la maggioranza al Bundestag arriverebbero insieme poco sopra il 30%. La Spd, da prima forza alle urne, si ritrova quarta. I liberali ad oggi non entrerebbero nemmeno in Parlamento. La Cdu è primo partito con il 31% dei consensi, ma dietro c’è l’AfD al 22%. Il partito di ultradestra tedesco, lo dimostrano le infiltrazioni nelle proteste degli agricoltori, è quello più in grado di intercettare il malcontento dei tedeschi. E infatti si prepara all’exploit nelle elezioni di settembre in SassoniaTuringia e Brandeburgo: i sondaggi dicono che ha buone possibilità di diventare il primo partito in tutti e tre i Land della ex Ddr. È l’altra faccia dello scollamento tra i tedeschi e i partiti tradizionali: la Spd, dall’inizio del governo Scholz, ha perso 30mila iscritti. E la rottura non riguarda solo la sfera socio-economica: il 61% dei cittadini, ad esempio, ritiene ingiustificate le azioni di Israele a Gazamentre il governo difende Tel Aviv davanti alla Corte Internazionale Onu. Anche il ruolo della Germania in Europa e nel mondo viene messo in discussione, con una certa nostalgia verso una guida ferma e confortante, come fu – nel bene e nel male – quella di Angela Merkel.

Sorgente: Così la Germania si è smarrita: l’implosione dell’economia, l’ondata di scioperi, i fischi al governo e il crollo di fiducia nel futuro – L’analisi – Il Fatto Quotidiano

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