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di Marta Serafini

Il Diritto internazionale dovrebbe garantire lo status di neutralità alle strutture sanitarie in zona di guerra, ma sempre più spesso vengono trasformate in target. In Afghanistan, Ucraina, Sudan, Yemen, Haiti. E a Gaza

Anno 1991. Praticamente tutti i Paesi del mondo hanno già ratificato le Convenzioni di Ginevra e i protocolli aggiuntivi che li vincolano in guerra a rispettare le norme del diritto internazionale, comprese quelle che vietano di colpire le strutture sanitarie. Eppure, 264 civili croati vengono prelevati da un ospedale di Vukovar e uccisi dalle forze serbe dopo essere stati torturati. Avanti veloce.

SOLO NEL 2023 SONO STATI OLTRE MILLE GLI ATTACCHI DOCUMENTATI CONTRO CENTRI DI CURA E RICOVERO IN 19 PAESI

Da anni la giornalista statunitense Sheri Fink racconta, spiega e studia gli ospedali in contesti di catastrofe naturale, epidemia e guerra. Ha ricevuto un Pulitzer nel 2010 «per una storia che racconta le urgenti decisioni di vita o di morte prese dai medici esausti di un ospedale isolato dall’uragano Katrina». Poi un altro Pulitzer nel 2015 come membro del team di giornalisti del New York Times per la copertura dell’epidemia di Ebola. E proprio sugli attacchi al personale medico nei primi anni ‘90 in Bosnia ha scritto un libro dal titolo War Hospital , ospedale di guerra. Non importa che proprio dopo la guerra nei Balcani sia stata istituita la Corte penale internazionale dell’Aia per la punizione dei crimini di guerra e per facilitarne la deterrenza. Non conta nemmeno che operatori umanitari, giuristi e giornalisti abbiano cercato di educare il pubblico civile e militare al rispetto di una legge di guerra, spiega Fink (qui l’intervista integrale). Poco è cambiato. Secondo l’Oms, solo nel 2023 sono stati oltre mille gli attacchi documentati contro strutture mediche, lavoratori e pazienti in diciannove Paesi. Non c’è stato mese o settimana di questi ultimi dieci anni in cui non sia abbia avuto notizia di civili uccisi, nonostante si trovassero in quello che dovrebbe essere un luogo sicuro, di cura, dove le armi non dovrebbero entrare mai.

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Un volontario toglie i vetri rotti da un’esplosione nell’ospedale di Kharkiv, Ucraina, 29 dicembre 2023 (Foto di Pavlo Pakhomenko/NurPhoto via Getty Images)

«Gli ospedali in guerra hanno un duplice ruolo. Con la loro presenza aumentano il morale delle comunità e anche la fiducia tra le parti belligeranti. A volte servono come rifugio dalle forze ostili. Eppure, sono contenitori di dolore e angoscia, conseguenze dell’incuria, della miopia o dell’odio. Per quanto nobile ed efficace sia il suo personale, da soli testimoniano l’incapacità di prevenire e porre fine ai conflitti armati. E sono i teatri dei peggiori impulsi umani», continua Fink.
Il diritto internazionale ha ampliato la protezione di questo spazio conferendo uno status neutrale alle strutture mediche, ai mezzi di trasporto, al personale e ai pazienti. Le Convenzioni di Ginevra per la protezione delle vittime di guerra e i loro protocolli aggiuntivi, risalenti agli anni e decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, considerano protetti dalle ostilità i feriti, i malati, i prigionieri di guerra e i civili. Anche i soldati feriti non sono obiettivi legittimi. Ma se queste strutture e mezzi medici vengono utilizzati per commettere «atti dannosi per il nemico» – ad esempio se usati come depositi di armi pesanti – possono perdere la loro protezione dopo che è stato dato un avvertimento. In ogni caso, la decisione di trasformare in target un ospedale o una struttura sanitaria richiede un’attenta valutazione aderente ai principi di proporzionalità e alla distinzione tra non combattenti e combattenti. Ed è qui che il diritto internazionale si infrange. Perché, se in guerra la prima a rimanere ferita o uccisa è la verità, allora stabilire questi confini è davvero complicato. Da qui – e dalla consapevolezza che essere puniti per un crimine di guerra è molto raro – deriva l’aumento degli attacchi sulle strutture sanitarie con il chiaro scopo di provocare il più alto numero di vittime possibile. Distruggere un ospedale significa non solo attentare alla vita di chi è ricoverato al suo interno ma pure privare delle cure necessarie chi è all’esterno. Di seguito, solo alcuni dei casi più rilevanti.

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Una donna anziana in una sala d’attesa improvvisata nell’ospedale di Kharkiv, in Ucraina, quasi completamente distrutto dalle bombe (Armin Smailovic / Agentur Focus)

AFGHANISTAN L’«errore umano»

È il 3 ottobre 2015 quando nelle redazioni di tutto il mondo arriva la notizia che dalle 2.08 alle 3.15 un AC-130 Usa ha colpito ripetutamente l’ospedale traumatologico di Medici Senza Frontiere a Kunduz, in Afghanistan, uccidendo 42 persone e distruggendo la struttura, nonostante l’ong avesse comunicato a tutte le parti in causa le coordinate. Pochi giorni prima del bombardamento, Kunduz è stata conquistata dai talebani contro cui combatte la missione internazionale a guida Usa. Il Dipartimento di Stato Usa parla di un «errore umano» e respinge l’accusa di «crimine di guerra». Vengono avviate altre due indagini, una dal governo afghano e un’altra indipendente chiesta da Msf. Ma nessuno pagherà mai a livello penale per quell’«errore». «In 15 anni che lavoro in ambito umanitario, quello di Kunduz è senz’altro uno degli attacchi più devastanti sia per numero di vittime che per impatto mediatico perché vede coinvolta una super potenza e per l’alto numero di vittime», spiega Stefano Di Carlo, direttore generale di Msf Italia. Ad attaccare però sono spesso anche gruppi terroristici che di certo non riconoscono le convenzioni di Ginevra. Un caso su tutti, quello del maggio 2020, quando l’Isis colpisce un reparto di maternità all’ospedale del Quartiere Hazara Dasht-e-Barchi di Kabul, sempre gestito da Msf, uccidendo 4 persone, tra cui 16 madri, un’ostetrica e due neonati.

IL DOCUMENTARIO “THE CAVE”, CANDIDATO ALL’OSCAR NEL 2020, RACCONTA LE GIORNATE DEI CHIRURGHI SOTTOTERRA, PER SFUGGIRE AI RAID DI ASSAD

SIRIA La campagna di disinformazione

A Idlib, nella zona della Siria controllata dai gruppi jihadisti, nel febbraio del 2020 gli ospedali vengono colpiti quasi ogni giorno. Il documentario The Cave , candidato agli Oscar proprio nel 2020, racconta la vita dei chirurghi impiegati in un ospedale costruito sottoterra proprio per evitare i raid condotti dalle forze del regime di Assad con il sostegno di Mosca e Teheran. Gli stessi soccorritori dei Caschi Bianchi anche loro protagonisti di docu-film e inchieste, ormai entrati nella cronaca siriana e internazionale, sono diventati target diretti dei raid.

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Quel che resta di un ospedale dopo gli attacchi aerei delle forze del regime di Assad nella città di Deir al Asafir, a circa 10 km da Damasco, in Siria, il 31 marzo 2016. (Foto di Muhammed Khair / Agenzia Anadolu/Getty Images)

Per anni la popolazione civile del Nord della Siria è stata di fatto privata del diritto di accesso alle cure, secondo una strategia che mirava a privarla dei beni essenziali, compreso il cibo. Ma la Siria – ed è fondamentale dal punto di vista giuridico – è il primo caso in cui, in seguito alle notizie diffuse dai media internazionali sugli attacchi chimici condotti dalle forze lealiste contro i civili, una super potenza, in questo caso la Russia, avvia una campagna di disinformazione tesa a smontare le prove di crimini di guerra, proprio perché consapevole dell’impatto che queste possono avere sull’opinione pubblica internazionale. Con il risultato che, ad oggi, nessun gerarca siriano o russo è stato processato o incriminato per questi fatti.

SULL’ESPLOSIONE ALL’OSPEDALE DI AL SHIFA, DI GAZA, L’INDAGINE E’ APERTA. MEDICI SENZA FRONTIERE COSTRETTI A SOSPENDERE LE ATTIVITA’ AD HAITI

UCRAINA La foto simbolo

Anche la guerra in Ucraina ha visto centinaia di ospedali nel mirino del Cremlino. Un caso su tutti è quello di Mariupol. All’inizio dell’assedio, nel marzo 2022, i giornalisti stranieri lasciano la città. Dentro – asserragliati proprio in un ospedale – rimangono due reporter ucraini. Nel documentario 20 Days In Mariupol , candidato agli Oscar, hanno raccontato i raid russi sul reparto di maternità dell’Ospedale n.2. L’immagine di una donna incinta B ferita sdraiata su una lettiga è diventata uno dei simboli dell’invasione.

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Un’oculista con un paziente in una delle poche stanze ancora agibili dell’ ospedale di di Kupyansk, in Ucraina, quasi completamente distrutto (Armin Smailovic / Agentur Focus)

La macchina di propaganda del Cremlino ha cercato senza successo di accusare i reporter di falsificazione, affermando che le donne incinte ferite erano attrici e cercando di respingere le accuse di crimini di guerra. Nonostante nel corso dei due anni successivi siano state decine i casi di strutture mediche colpite, per il presidente Vladimir Putin però è stato spiccato un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale per altri crimini, ossia per il rapimento di minori. In un rapporto Amnesty International ha accusato gli ucraini di aver esposto la popolazione, utilizzando gli ospedali come avamposti militari e depositi di armi. E se è vero che questo accade in ogni conflitto, il report della ong è stato contestato in quanto fornisce prove non sufficienti a rendere gli attacchi di Mosca giustificabili.

GAZA L’indagine aperta

Quando si parla di strutture sanitarie, è impossibile non pensare alle polemiche e alle indagini ancora aperte sul raid a Gaza all’ospedale di Al Shifa, soprattutto se si considera che le uniche fonti sul campo sono al momento i reporter gazawi, perché Israele ha chiuso l’accesso dei media nella Striscia. Difficile, dunque, ancora dare cifre e informazioni verificate. Al netto delle denunce del ministero della Sanità, controllato da Hamas, Medici Senza Frontiere il 21 novembre ha denunciato un attacco all’ospedale di Al-Awda, una delle ultime strutture funzionanti nel nord di Gaza, durante il quale sono morti tre medici, questo nonostante la Ong dichiari di aver regolarmente condiviso con le autorità israeliane coordinate e informazioni. Il 7 novembre è stato attaccato un altro convoglio, della Croce Rossa internazionale questa volta, mentre stava trasportando rifornimenti alle strutture sanitarie, in particolare all’ospedale al-Quds della Mezzaluna Rossa palestinese.

YEMEN I bambini nel mirino

Nella totale disattenzione dell’opinione pubblica internazionale, dall’inizio del conflitto in Yemen nel 2015 ad oggi, per ben cinque volte attacchi aerei condotti dalla Coalizione a guida saudita hanno colpito ospedali di Msf. Tra questi, nel novembre 2019 un ospedale a Mocha è stato parzialmente distrutto.

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Le finestre rotte di un ospedale durante un attentato a Sana’a, Yemen, 30 giugno 2015, nel quale ci sono state vittime tra i pazienti(Mohammed Hamoud/Agenzia Anadolu/Getty Images)

Nel mirino è finita anche una struttura di Save the Children a Kitaf, colpita da un missile il 27 marzo 2019, nel quarto anniversario dell’inizio della guerra. La vittima più giovane aveva solo 8 anni, a cui si aggiungono un bambino di 10 anni, due di 12 e uno di 14.

SUDAN L’attacco al convoglio

Altro fronte meno monitorato è quello africano. Caso più recente il Sudan, dove dallo scoppio del conflitto il 15 aprile scorso, abbiamo visto ospedali distrutti, magazzini saccheggiati, farmaci e veicoli rubati con lo staff e i pazienti che subiscono ripetutamente l’azione violenta dei gruppi armati. Il 10 dicembre un convoglio della Croce Rossa internazionale è stato attaccato a Khartoum. Dei 9 passeggeri, uno è morto sul colpo. A denunciare abusi sono in particolare sia Msf ed Emergency che, a fine ottobre, ha visto parte del suo staff medico locale del Centro pediatrico a Nyala, nel Sud Darfur, arrestato e poi rilasciato.

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L’ingresso dell’ospedale Fontaine, 3 giorni dopo la sua chiusura forzata a causa della violenza nelle baraccopoli del quartiere Cité Soleil di Port-au-Prince, Haiti, 18 novembre 2023 (Richard Pierrin / AFP tramite Getty Images)

Haiti In balia delle gang

Uno dei luoghi più pericolosi al mondo, soprattutto per medici e operatori umanitari oltre che per i civili, è Haiti, in balia di gang e gruppi armati. A novembre 2023 sono state sospese a tempo indefinito tutte le attività nel centro di emergenza di Turgeau, nella capitale Port-au-Prince gestito da Msf, dopo che un paziente è stato prelevato da un’ambulanza da un gruppo di uomini armati ed è stato ucciso.

Sorgente: Morire negli ospedali in prima linea, in mezzo a un fuoco non amico- Corriere.it

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