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Nel ghetto dei braccianti di Borgo Mezzanone, nel foggiano, un uomo e una donna sono stati trovati senza vita accanto a un braciere che avevano acceso per non congelarsi. Uno dei tanti luoghi dove cercano di sopravvivere gli schiavi del “made in Italy”. E dove lo Stato è assente

Il luogo è quello già letto e sentito altre volte. Sentito solo di sfuggita perché si tratta di una di quelle notizie che sfioriamo e ricordiamo solo per assonanza. Borgo Mezzanone. Borgo Mezzanone, nel foggiano, è un buco d’umanità in cui buttiamo i rifiuti che non vogliamo vedere: il ghetto dei braccianti che valgono solo per i chili che riescono a raccogliere o a trasportare.

A Borgo Mezzanone sono stati ritrovati stamattina (ieri ndr)un uomo e una donna morti probabilmente per le esalazioni provenienti dal braciere che avevano acceso durante la notte per soffiare una tiepidezza utile almeno a non congelarsi. Da queste parti il ristoro non esiste, al massimo è consentito sopravvivere. E anche sopravvivere è un privilegio.

A Borgo Mezzanone però non vive un pugno di braccianti che questo Paese ha dimenticato. A Borgo Mezzanone sono in 1.500, pronti a sparpagliarsi ogni mattina per fare gli schiavi e imbandire le tavole del “Made in Italy” che esportiamo con fierezza nel mondo, sempre attenti a lavarlo dal colore del sangue e dall’odore della fatica senza diritti.

Borgo Mezzanone non è un’eccezione.

Sono 150 i ghetti presenti sul territorio italiano. La prima indagine, voluta dal ministero del lavoro e politiche sociali, in collaborazione con l’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, intitolata Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare, li definisce “insediamenti informali”. Ma di fatto sono ghetti, formati da baracche, casolari abbandonati, tende e malmesse roulotte, dove abitano oltre 10mila persone di origine straniera che lavorano nelle campagne. Manodopera fondante il comparto dell’agroalimentare.

150 ghetti, sparsi in 38 comuni, divisi in undici regioni lungo lo Stivale. Presenti per lo più tra Puglia e Sicilia, Calabria e Campania. Foggia, la provincia con il numero maggiore di insediamenti (8 i comuni coinvolti, oltre il 20% del totale), seguita dalla provincia di Trapani (4), Reggio Calabria (3), Andria-Barletta-Trani (2), Caserta (2), Cuneo (2) e Rovigo (2). Realtà dalle dimensioni diverse (gli insediamenti più grandi, quelli che superano il migliaio di persone, sono a Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia, dove si contano 4 mila presenze, e nel gran ghetto di Rignano a San Severo, dove sono oltre 2mila presenze), in cui lo Stato consente che si viva nel totale degrado, senza servizi sanitari e igienici.

Dove mancano interventi finalizzati all’integrazione, la mediazione culturale, l’alfabetizzazione. Dove spesso è presente il caporalato e il lavoro irregolare è all’ordine del giorno. Insediamenti che, nel 41,3% dei casi, hanno carattere stabile e permanente. Basti pensare che undici, tra questi, esistono sul territorio da oltre 20 anni; 16 fino a dieci anni, 21 da sei, 27 da uno a tre anni. Luoghi dove manca lo Stato e dove i morti non li nota nessuno.

Sorgente: Morti che non noterà nessuno | Left

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