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Meloni vede Berlusconi ma è braccio di ferro sul governo. Tajani apre a Salvini al Viminale ma sogna la stessa casella. Il ritorno di Bossi: il Senatur fonda la corrente del Nord

ROMA – “Un governo di alto profilo”. Giorgia Meloni lo ha ribadito anche ieri mattina, nella sua visita ad Arcore tutt’altro che improvvisata. Ma dietro quest’esigenza, comune formalmente a tutto il centrodestra, in queste ore di trattative si vanno materializzando due visioni diverse. Da far conciliare e in tempi strettissimi, se davvero il nuovo esecutivo – come è nelle intenzioni – deve partire entro fine mese per far fronte a sfide che tolgono il sonno alla presidente in pectore, a partire dal caro energia. L’obiettivo della leader di FdI, e non da ora, è quello di un governo con un elevato tasso di tecnici di livello. Per uno standing che permetta di non far sfigurare l’Italia su uno scenario internazionale nel quale non mancano gli interrogativi sulla svolta a destra del Paese. Ma è un’idea che non collima con quella di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che venerdì – nell’incontro di Villa San Martino che ha preceduto il summit fra il Cavaliere e Meloni – si sono trovati d’accordo su una cosa: una volta che l’elettorato ha dato una chiara indicazione a favore di una maggioranza di centrodestra, serve un governo che rispecchi il più possibile il volto dello schieramento. Di lì le dichiarazioni del leader di Forza Italia, che in un’intervista a La Stampa ha detto di non credere nei tecnici “puri”. “Insomma, Giorgia, abbiamo vinto le elezioni: mica possiamo fare un governo dove le caselle più importanti come il Viminale, gli Esteri, l’Economia sono occupate da esterni”: è più o meno il senso del ragionamento di Berlusconi. E il refrain di molti conciliaboli fra parlamentari forzisti è il seguente: “Meloni punta a costruire un governo Draghi ma senza Draghi”. Ora, al di là delle battute, c’è una diversità di vedute che non è un particolare di poco conto, dato che una sollecitazione a puntare sui tecnici nei ministeri-chiave, a partire dall’Interno, arriverebbe dal Quirinale.

 

 

Dipendesse solo dalla candidata premier, il problema sarebbe già risolto. Con un prefetto agli Interni, Giulio Terzi alla Farnesina e Fabio Panetta in via XX settembre. Per quest’ultima opzione tutto dipende dell’interessato, che oggi siede nel board della Banca centrale europea e che dovrebbe sciogliere la riserva entro metà della prossima settimana. Ma gli altri due dicasteri restano nodi difficili da districare: Matteo Salvini non smette di puntare al Viminale, pur sapendo che difficilmente potrà soddisfare le sue mire, se non altro per il processo che lo vede imputato per sequestro di persona (il caso dell’autorizzazione negata allo sbarco dei migranti dell’Open Arms). Potrebbe accontentarsi della nomina del suo ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi. Ma è in questa contrapposizione che si inserisce Forza Italia, pronta a spendere il suo nome più rappresentativo – quello di Antonio Tajani, vice di Berlusconi – sia per gli Interni che per gli Esteri. Soluzione che cambierebbe la fisionomia del governo. Anche FdI, a quel punto, potrebbe schierare un suo esponente di punta come Guido Crosetto, uno dei fondatori del partito, per il quale esiste da tempo l’opzione della successione a Luigi Di Maio. In alternativa a un posto da sottosegretario alla Presidenza. Mentre FI, oltre a Tajani, ha nella lista dei papabili ministri Licia Ronzulli (una fedelissima che l’ex premier sponsorizza con forza), Anna Maria Bernini e Alessandro Cattaneo.

Sono i rebus sul tavolo di Giorgia Meloni, che pure tenta di rimanere concentrata – non senza preoccupazione – sui dossier che l’attendono quando avrà l’incarico. Su un autunno che, fra aumento dell’inflazione, bollette e congiuntura internazionale, rischia di essere caldissimo. Eppure il toto-ministri va risolto al più presto e la grande incognita rimane quella dell’incarico per Matteo Salvini. Le possibili compensazioni, in caso di mancata “conquista” del Viminale, sono ampie: la Lega punta all’Agricoltura (in pole Gian Marco Centinaio), alle Infrastruttutture (c’è l’ipotesi Edoardo Rixi), e d’improvviso assume un ruolo strategico anche il ministero per le Riforme e gli Affari regionali, che Salvini potrebbe prendere in carico anche direttamente per garantire l’autonomia al rumoroso popolo padano. È tornato in campo pure Umberto Bossi che, recuperato in extremis uno scranno alla Camera, ha fondato ieri una sorta di corrente settentrionale, chiamata “corrente del Nord” che nei prossimi giorni dovrebbe tenere le prime riunioni in Lombardia e Veneto. Le questioni di governo, mai come in questo periodo, si intrecciano con quelle di partito, per un Salvini fiaccato dal risultato elettorale. Un elemento di bilanciamento, nell’assegnazione dei ministeri, potrebbero essere le cariche di vicepremier (una potrebbe andare al segretario del Carroccio), o le presidenze delle Camere: sembra tramontata l’idea di assegnarne una all’opposizione e in corsa – con Tajani al governo – ci sono Giancarlo Giorgetti, Riccardo Molinari o Fabio Rampelli per la guida di Montecitorio, Ignazio La Russa o Roberto Calderoli per il Senato. I tasselli di un puzzle che fatica a comporsi.

Sorgente: Interni, Esteri e Mef, è scontro sui tecnici. Lega e Forza Italia: “Ministri politici” – la Repubblica

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