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di Federico Fubini

Un giorno forse ci volteremo indietro e saremo assaliti dal sospetto che questo Superbonus da oltre 33 miliardi sia stata una grande sbronza collettiva. Una gigantesca occasione persa se si voleva proteggere l’ambiente. Una mossa sprecata nell’offrire ancora più risorse pubbliche (a debito) a coloro che detengono già gran parte delle risorse private. Una gran quantità di denaro pubblico a debito gettata nel creare opportunità per le frodi e probabilmente anche per le mafie. Possibile? Per questa misura che crea un credito fiscale cedibile sul 110% della spesa sostenuta per ristrutturazioni immobiliari a riduzione delle emissioni, dopo 17 mesi di applicazione a fine novembre, erano già impegnati 13,1 miliardi di euro. La Legge di bilancio ne stanzia altri 18,5 con tutte le proroghe fino al 2025, ben oltre i termini e i fondi del Recovery. Ma è possibile che alla fine costi anche più del previsto perché – osserva l’Ufficio parlamentare di bilancio – il mese scorso il conto per lo Stato era già superiore di 400 milioni a ciò che avrebbe dovuto essere a fine 2021.

 

È giusto dunque chiedersi se questo sia il metodo più efficace per ridurre l’inquinamento prodotto dagli immobili. Per capirlo va considerato che con oltre 13 miliardi di spesa il Superbonus – informa sempre l’Upb – per ora ha interessato lo 0,8% dei condomini e lo 0,5% degli edifici unifamiliari del Paese. Ciò significa che per rendere «verdi» in questo modo tutte le case degli italiani lo Stato dovrebbe in teoria spendere oltre duemila miliardi: una cifra pari a poco meno dell’intero debito pubblico attuale. Commenta il presidente dell’Upb Giuseppe Pisauro: «Se l’obiettivo è trasformare una quota significativa del patrimonio immobiliare, il Superbonus non è lo strumento giusto». La chiave per misurare se lo sia è l’efficienza, ossia di quanto riduca le emissioni di CO2 ogni euro speso tramite questo incentivo. Quanto a questo i rapporti al governo dell’Enea, l’Agenzia nazionale per l’energia, mettono a nudo un bilancio deludente. Si direbbe che, coperti del tutto dallo Stato nei loro costi, gli italiani abbiano smesso di badare a spese e ottenuto con più soldi risultati peggiori. Il termine di paragone è l’Ecobonus in vigore dagli anni precedenti, dove lo Stato aiuta però il proprietario privato dell’immobile deve contribuire almeno per un terzo o per metà della spesa.

 

I risultati, alla prova dei fatti, sono completamente diversi. L’Enea stima che in Italia il costo dell’isolamento termico di due pareti orizzontali di pari superficie sia cresciuto in Italia di due volte e mezzo fra il 2019 e il 2021; quello di una pompa di calore di quasi tre volte e mezza, a parità di potenza; e quello di una caldaia a condensazione di poco più di nove volte. In sostanza – sempre secondo l’Enea – il beneficio per l’ambiente di un euro speso con l’attuale Superbonus da (almeno) 33 miliardi è nettamente inferiore a quello dell’Ecobonus, dove l’italiano è indotto alla disciplina perché sa che sta pagando anche del suo. Per la precisione l’Enea indica che il risparmio energetico con l’Ecobonus dove lo Stato non paga tutto costa otto centesimi di euro per Kilowattora, mentre quello dato con gli interventi tipici del Superbonus assorbe circa il doppio di spesa per ottenere lo stesso risultato. L’attuale misura che deresponsabilizza completamente i privati nel modo in cui spendono il denaro pubblico si sta insomma rivelando un mezzo flop sul piano ambientale, quello che la giustificava.

In parte ci sarà stata inflazione nei costi, visibile a occhio nudo quest’anno per l’aumento dei progetti; in parte ci saranno state collusioni e frodi (la Guardia di Finanza ha già scoperto fatture false per 800 milioni). In parte però dà molto da riflettere il fatto che in una regione perseguitata dalla criminalità come la Calabria la spesa per Superbonus sia dieci volte più alta di quella per l’Ecobonus – stima l’Upb – quando in Lombardia è appena del 20% superiore. Nessuna regione d’Italia mostra un incremento delle ristrutturazioni così pronunciato, grazie al Superbonus, come quella in cui la presenza della criminalità organizzata è più pervasiva. Una parte dell’aumento sarà stato senz’altro del tutto legale, spiegabile con le iniziative di famiglie meno abbienti incoraggiate dalla copertura totale dei costi ad opera del debito pubblico. Ma il moltiplicarsi per dieci degli interventi in Calabria, il moltiplicarsi per sei in Sicilia e in Campania pongono domande sulle forze che il Superbonus al 110% potrebbe aver messo involontariamente in movimento.

Resta poi un’altra domanda: nelle situazioni di perfetta legalità, chi ne trae vantaggio di più valorizzando i propri immobili? Anche qui i dati dell’Enea aiutano a capire: la quota relativamente più grande dei crediti fiscali, anche per misure accessorie non volte a proteggere il clima, va a immobili di buon livello (categoria A2). Un’altra parte importante va a immobili dei ceti medio-alti (categoria A3), mentre la terza classe più beneficiata in assoluto è quella dei villini. Osserva Pisauro, il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio: «Oltre metà delle detrazioni dell’Ecobonus nel 2019 andavano al 15% più ricco dei contribuenti, mentre l’uno per cento più ricco ne assorbiva il 10%. Tutto lascia pensare che l’effetto distributivo con il Superbonus sia analogo». Solo, probabilmente, di più.

 

Sorgente: Superbonus 110%: frodi, mafie e regali ai ricchi. I dubbi sullo sgravio per la casa- Corriere.it

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