Il deputato dem ha partecipato all’evento: “Qui in strada c’è una sensazione di paura. A poca distanza da noi manifestano i nazifascisti”
ROMA – “Io, nel paese di Orban, oscillo tra paura e speranza”. Alessandro Zan, il deputato dem e attivista lgbt che dà il nome alla legge italiana contro l’omotransfobia – ostaggio dello scontro politico e ferma in Senato – , sfila al Pride di Budapest. È accaldato e entusiasta: “Ci sono centinaia di migliaia di persone, cittadini europei contro il regime di Orban: è un’onda arcobaleno che ha invaso la città. Ma la situazione è grave, i ragazzi Lgbt in Ungheria sono terrorizzati”. E aggiunge: “Sì, c’è una sensazione di paura. Mi ha fatto impressione vedere cancelli alti come muri al di là dei quali manifestano nazifascisti che negli striscioni accostano omosessualità e pedofilia. Noi siamo qui per aiutare i fratelli e le sorelle ungheresi a cancellare l’incubo delle leggi d’odio. Però voglio dire: sbrigliamoci, approviamo in fretta in Italia la legge contro l’omotransfobia, perché Salvini e Meloni che di Orban sono amici, potrebbero esportare da noi le norme che violano i diritti umani. Quello che è accaduto in Ungheria non deve accadere in Italia”.
Alessandro Zan, è la giornata del Gay Pride nel Paese in cui l’esclusione delle persone omosessuali e trans è prevista per legge, in cui è vietata la “propaganda omosessuale”. Quale è la sensazione?
“Budapest è una città europea, il suo sindaco Karacsony ha lanciato la sfida a Orban. Saremo forse in centomila, davvero tanti, colorati. Ai cartelli dei gruppi fascisti, che manifestano a lato del Pride, nei quali si accosta omosessualità e pedofilia, la risposta è lo sventolio delle bandiere arcobaleno e il segno del cuore. È la rappresentazione della piazza dell’odio e di quella dell’inclusione. Ci sono molte bandiere trans: c’è un problema nel problema”.
Perché?
“È previsto in Ungheria che le persone trans possano cambiare sesso, ma non possano registrare la trasformazione all’anagrafe dove resteranno per sempre maschi o femmine come dichiarato alla nascita. Con buona pace dei diritti umani. E nel ddl italiano Renzi non sia complice, volendo togliere l’identità di genere”.
Orban ha detto che le leggi anti lgbt non si toccano e se l’Europa ne vuole la cancellazione, non accetterà i soldi del Recovery Fund.
“È un ricatto. Orban peraltro ha bisogno di quei soldi. I giovani attivisti lgbt ungheresi, terrorizzati anche per un semplice post gay, chiedono che l’Europa non abbandoni l’Ungheria. Orban ha reso le minoranze gay e trans bersaglio delle frustrazioni e dello scontento”.
Ma l’Italia in fatto di rispetto dei diritti civili è lontanissima dall’Ungheria, non crede?
“Ciò che separa l’Ungheria dall’Italia è un confine sottile. Le destre italiane di Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sono destre liberali. Hanno strettissime frequentazioni con Orban, ne hanno anche firmato il manifesto, sono amici. Il mio timore è “l’orbanizzazione” della politica italiana. Noi siamo qui a testimoniare il contrario: a portare la scommessa dell’inclusione. Se non si approva al Senato la legge contro i crimini d’odio che quindi rafforza gli anticorpi della società – corriamo il rischio di scivolare verso politiche omofobe di questo tipo. Salvini usa il modello Orban: una fantomatica teoria gender per spaventare sull’educazione dei bambini con l’unico obbiettivo di discriminare le persone lgbt”.
Ma il regime di Orban potrebbe alla fine cadere proprio sui diritti civili, per quanto marginali siano ritenuti?
“Spero che questa manifestazione mostri a tutti gli ungheresi che i diritti non tolgono diritti, ma aggiungono benessere per tutti e l’Ungheria sarebbe un paese migliore. Smascheriamo le bugie di Orban e dei suoi amici in Italia, che cioè allargare i diritti sia una minaccia per la famiglia, per la tradizione, per i bambini. Una società invece è semplicemente più felice”.
È ottimista per l’approvazione del ddl Zan in Senato o si è rassegnato a possibili cambiamenti?
“Resto ottimista, perché quella legge la chiede la società italiana, soprattutto i più giovani. La politica e le istituzioni non possono restare indietro”.
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