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Intervista a Alessandro Marescotti (Peacelink). L’associazione ambientalista che dal 2005 denuncia l’inquinamento: nuovo esposto sul periodo 2013-oggi. «La sentenza può portare a un movimento unitario. Finora sono esistiti due stati paralleli: i pm ci ascoltavano, la politica ci considerava allarmisti. Riconversione senza acciaio»

Massimo Franchi

Alessandro Marescotti, l’inchiesta Ambiente Svenduto è partita anche grazie alle vostre denunce. Nel 2005 parlavate di diossina e nel 2008 ne dimostraste la presenza in un formaggio da capre e pecore che pascolavano attorno all’Ilva. La sentenza di primo grado vi dà ragione con pene molto pesanti.
È una sentenza che risponde pienamente alle aspettative di una città che ha lottato per tantissimi anni e che non ricevuto dalla politica risposte adeguate. Abbiamo provato la contaminazione da diossina e l’eccesso di mortalità anche tra i bambini a Taranto. Ci sono state tre manifestazioni da oltre 20mila persone, ma siamo stati tacciati di comportamenti al di sopra delle righe e di allarmismo. La sentenza conferma che il nostro non era allarmismo perché le perizie della magistratura hanno allargato ulteriormente lo spettro. Quello che veniva considerato oltranzismo dei pubblici ministeri ora è stato validato dai giudici.

Il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti

Il processo però riguarda la situazione fino al 2013. Sono passati quasi 10 anni: la situazione è cambiato in meglio, no?
È cambiato molto ma tutta la popolazione di Taranto non è al sicuro: se prima morivano 1.000 persone ora ne muoiono 100. La presenza di diossina prima veniva stimata dall’Arpa pari a 10 mila inceneritori, ora sono calati a 3-400 inceneritori: ma chi vorrebbe vivere in una città così?

Ha citato l’Arpa all’epoca guidata da Giorgio Assennato. Qualche settimana fa lei aveva lodato la sua decisione di rinunciare alla prescrizione. Ieri è stato condannato, così come Nichi Vendola.
Riconfermo la mia valutazione. Non entro nella vicenda giudiziaria, ma il professor Assennato fu preziosissimo nel monitoraggio dei dati sull’inquinamento dell’Ilva come quello che nel 2010 sul benzo(a)pirene e le cokerie stimava al 98% dovuto all’Ilva. Un lavoro prezioso a cui la Regione Puglia non diede seguito. Lì si consumo la rottura con Nichi Vendola: venivamo da una battaglia comune ma quando si trattò di tramutarla in prescrizioni e imposizione di tecnologie nuove, la Regione si limitò a prescrizioni molto morbide.

La sentenza come impatterà sul futuro dell’acciaieria? Consiglio di Stato a parte, ora la proprietà è paritaria fra Arcelor Mittal e lo stato che avrà la maggioranza in futuro. Voi ambientalisti cosa chiedete?
Io mi aspetto che Arcelor Mittal se ne vada. E mi aspetto che lo stato cambi rotta perché diversamente ci troveremo di fronte a due stati paralleli: da una parte lo stato che ha emesso la sentenza riconoscendo l’inquinamento e uno stato che decide scientemente di continuare ad inquinare. Parlano tutti di conflitto lavoro-salute ma in tante zone d’Europa che avevano acciaierie il conflitto è stato sanato: è rimasto solo a Taranto. Ricordo che oltre la sentenza, nel 2019 lo stato è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ad attivare bonifiche efficaci.

Sebbene la condanna rafforzi le vostre posizioni – nel frattempo assorbite anche dal sindaco Melucci – la città di Taranto appare ancora divisa: da una parte chi chiede la riconversione e dall’altra i lavoratori dell’acciaieria e i sindacati che chiedono di continuare a produrre acciaio per garantire i livelli occupazionali. Le condanne cambieranno qualcosa?
La sentenza crea le condizioni per un movimento unitario. Noi stiamo per presentare un nuovo esposto alla procura della repubblica per aprire un’inchiesta “Ambiente svenduto 2” con i dati sull’inquinamento dal 2013 fino – grazie al Comune – al 2020. Abbiamo buoni rapporti con il sindacato Usb e puntiamo ad avere con noi anche l’Ordine dei medici. In questi 16 anni di attivismo in molti ci hanno criticato per i pochi risultati chiedendo una lotta più dura. Ma io rivendico la scelta non violenta che ci ha portato alla vittoria.

Per lei Taranto è incompatibile con la produzione di acciaio? Neanche con la decarbonizzazione o i forni elettrici?
Genova ha rifiutato i forni elettrici per le scorie radio: si tratta di una tecnologia sorpassata. Per quanto riguarda la decarbonizzazione noi non siamo mai stati contrari ma mettiamo due condizioni: che sia sostitutiva e non aggiuntiva con la produzione tradizionale e che sia anticipata da una Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (Viias). Non c’è un pregiudizio ma penso anche la produzione di acciaio verde non abbia più mercato. E comunque prima di tutto va fermata l’attuale produzione inquinante e insicura per i lavoratori. Glielo sintetizzo con un modo di dire tarantino: “Se non si squassa, non s’aggiusta”. Se non si blocca per sempre la produzione inquinante ci sarà sempre l’idea che c’è tempo per mettere a posto le cose. Ma qua a Taranto di tempo non ce n’è più.

Sorgente: «Vittoria nostra e della città di Taranto, lo stato cambi subito strada» | il manifesto

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