Parla João Doria, governatore dello Stato di San Paolo: “Stiamo lottando per non morire”
DI DANIELE MASTROGIACOMO
João Doria, 63 anni, ex sindaco di San Paolo, dal 2019 governatore dello Stato omonimo, il più ricco e popoloso del Brasile, appare su Skype davanti a una grande finestra che mostra in diretta il deserto della città. Ha proclamato un lockdown di due settimane, il primo blocco duro delle attività. Di origini genovesi, della vecchia e nobile dinastia Costa Doria, l’esponente del PSDB (socialdemocratici) alterna l’italiano al brasiliano. Ci racconta il dramma del suo Brasile, gli ospedali al collasso, le terapie intensive senza più posti, le prime vittime di una scelta atroce: chi salvare e chi lasciar morire.
Brasile cuore mondiale della pandemia. Cosa succede, governatore Doria?
“Stiamo lottando per non morire. Ogni giorno, ogni ora. Il Brasile non merita questa tragedia”.
Joao Doria, governatore di San Paolo
Undici mila morti in dieci giorni, 290 mila vittime in un anno. Si poteva evitare?
“Certo che si poteva evitare. Bisognava agire subito come ha fatto il resto del mondo”.
E invece?
“Invece ci troviamo con un presidente negazionista. Uno psicopatico. Un capitano dell’esercito che governa la più devastante crisi sanitaria della storia del Brasile con false dichiarazioni e falsi proclami. Contrasta ogni misura sanitaria. Fino a qualche settimana fa sosteneva che l’uso della mascherina infettava le persone. Una bugia incredibile, inimmaginabile. Ha fatto presa sulla gente. L’ha convinta che chi imponeva chiusure, invitava a stare in casa, a proteggersi, a evitare assembramenti era contro il popolo. Secondo lui volevamo distruggere l’economia del paese. Ha chiesto ai brasiliani di usare la clorochina, ha bloccato il vaccino, ha continuato a banalizzare il Covid, a schernire chi lottava per strada e negli ospedali”.
Di cosa avete bisogno?
“Abbiamo bisogno della solidarietà internazionale. Da un anno combattiamo contro un ostinato negazionismo che ci ha trascinato in questo baratro. Abbiamo lavorato con l’Istituto universitario di ricerca Butantã. 120 anni di storia alle spalle. Volevamo trovare un vaccino che aiutasse 210 milioni di brasiliani a uscire dalla pandemia. Ci siamo riusciti. Lo abbiamo disegnato e prodotto e adesso lo stiamo distribuendo”.
Un po’ tardi.
“Avremmo potuto agire prima. Ma ci siamo trovati davanti due nemici: il Coronavirus e il Bolsonarovirus. Il presidente della Repubblica governa un Paese che piange 290 mila morti e si ostina a parlare di gripezinha. Accusa noi governatori di drammatizzare la situazione, sorride davanti a una simile tragedia. Solo una persona malata di mente può agire in questo modo. Subiamo un’ecatombe, rischiamo di arrivare a 300 mila vittime in pochi giorni, abbiamo superato gli Usa in questa classifica. Lì c’era Trump, da noi è peggio. Perché Bolsonaro è peggio di Trump”.
Il presidente Bolsonaro continua ad avere consenso.
“Un consenso che sta precipitando. Gli ultimi sondaggi dicono che il 54 per cento dei brasiliani non approva la sua politica anti Covid. Purtroppo ha offerto una narrativa distorta che ha convinto. Noi eravamo i cattivi, lui l’eroe che avrebbe salvato il Paese. Tra economia e salute noi scegliamo quest’ultima. I morti non consumano, non spendono, non vanno al supermercato, nei centri commerciali, nei ristoranti. Gli ammalati non lavorano, non sfamano le loro famiglie. Jair Bolsonaro ha distribuito un sussidio di 100 dollari alle fasce più povere. Una cifra importante per un paese con 14,6 milioni di disoccupati e una moneta debole come il real. Questo ha pagato in termini di consenso. Ma adesso che la pioggia di denaro è finita il Covid presenta il conto”.
E lei, come governatore, cosa ha fatto?
“Il primo positivo è stato scoperto proprio qui a San Paolo. Era il 26 febbraio del 2020. Il primo morto è avvenuto mese dopo, il 20 marzo. Abbiamo capito subito la gravità della situazione. Quel giorno stesso ho creato un Comitato Tecnico Scientifico con 20 diversi specialisti. Siamo stati i primi a crearlo. Adesso li hanno tutti e 26 gli Stati. Tranne il governo federale. Rifiuta la scienza, continua ad affidarsi alle teorie negazioniste. Presto, diceva Bolsonaro tutto questo finirà. Molti ricordano le sue frasi sprezzanti: spiace per le vittime, ma prima o poi si deve morire. Criminale”.
Adesso avete iniziato a vaccinare.
“Abbiamo seguito le indicazioni del Cts. Ho scelto il lockdown perché la realtà lo imponeva. Vedevo gli ospedali stracolmi, i pazienti adagiati sulle barelle nei corridoi, i medici e gli infermieri impazziti che correvano da un letto all’altro. Poi è apparsa la variante, la crisi dell’ossigeno a Manaus, le infezioni che aumentavano. Notavo con angoscia la gente che continuava a girare senza mascherina, ammassandosi alle fermate dei bus e metropolitana, nei mercati, per le strade. Lo Stato è diviso in fasce. Noi, qui a San Paolo, siamo in quella più alta, di emergenza. Abbiamo iniziato a vaccinare il 18 gennaio. La prima è stata un’infermiera di colore di un ospedale della città. Con il CoronaVac, quello realizzato dal Butantã assieme alla Sinovac cinese. Su 10 vaccinati 9 hanno avuto questo farmaco”.
Funziona?
“Perfettamente. E’ stato approvato dall’Oms”.
Perché non lo avete usato subito?
“Abbiamo trasferito al governo federale 22,7 milioni di dosi ma il presidente le ha bloccate. Era contrario, preferiva la clorochina. Dopo tante resistenze ha accettato l’AstraZeneca ma è riuscito ad ottenere solo 4,6 milioni di dosi. Già il 10 agosto scorso avevamo avvertito Planalto che il Butantã, da solo, non sarebbe stato in grado di proteggere 210 milioni di brasiliani. Dovevamo concordare altri acquisti. Il presidente ha rifiutato Pfizer, Moderna, Johnson&Johnson, Sputnik. E’ rimasto fermo sul suo negazionismo. Ho insistito, sono stato contestato, insultato, minacciato di morte. Per quattro volte. Minacce serie. I responsabili sono a processo. Ho dovuto proteggere la mia famiglia. In Brasile c’è un furore, un clima da destra autoritaria, da fascismo, che fa paura. Solo l’intervento del Tribunale Superiore Federale, con un ordine, ha consentito l’inizio della vaccinazione”.
Come pensa di piegare la curva?
“Vaccinando più persone possibile. E’ l’unico modo. Il 30 aprile avremo a disposizione 43 milioni di dosi di CoronaVac per tutto il Brasile, il 30 agosto altre 6 milioni. Ne compreremo ancora 30 milioni”.
Lo Stato di San Paolo ha 46 milioni di abitanti.
“Abbiamo un piano per vaccinare 36 milioni. Sono esclusi i minorenni, le donne incinta, quelle che allattano, i malati cronici. Abbiamo iniziato con i più fragili e gli anziani, poi con le forze dell’ordine e personale sanitario”.
Incoraggiante.
“Al contrario. Piango nel vedere un Paese privato dell’unico strumento che può salvarlo. Avevamo il vaccino e ci è stato negato. La prospettiva è piena di angoscia: forse riusciremo a vaccinare il 90 per cento dei brasiliani entro la fine del 2022. Ma questo significa decine di migliaia di morti in più. Mai visti numeri così devastanti. Neanche durante la peste bubbonica. Io avevo sei anni e la ricordo bene. Abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale, di altri vaccini, di istituzioni affidabili, di guide competenti. In due anni sono stati cambiati 4 ministri della Salute. Quello appena nominato ha già detto che seguirà in modo scrupoloso le indicazioni del presidente. Ha stracciato la sua laurea di medico, ha rotto il giuramento d’Ippocrate”.
Adesso il presidente Bolsonaro sembra aver accettato la realtà.
“La sua realtà. La stessa di sempre. Il Brasile di Bolsonaro è fallito sul piano economico, ambientale, agricolo, industriale. Sanitario, soprattutto. Agendo prima, senza pregiudizi, credendo nella scienza, guardando cosa facevano gli altri 220 paesi del mondo, avremmo risparmiato metà delle vittime. Qualcuno dovrà rispondere di questo genocidio davanti al Tribunale internazionale. Adesso la priorità è salvare il Brasile. Pregate per noi e aiutateci”.