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La cancelliera studia una soluzione per aggirare il veto dei due Paesi sovranisti

«Cosa deve fare di altro Fidesz perché tutti capiate che non è adatto alla nostra famiglia politica?». Il caso lo apre Donald Tusk, il presidente del Popolari europei dopo che il braccio destro di Orbàn, l’eurodeputato omofobo József Szájer, è finito appeso a una grondaia scappando da un’orgia gay a Bruxelles. Tusk rilancia il tema dell’espulsione dal Ppe della forza politica del premier ungherese. Poco importa che l’autocrate di Budapest abbia fatto dimettere Szàjer dal partito, oltre che dall’Eurocamera: tra tensioni nel Ppe e scontro sul Recovery Fund, in Europa sta succedendo qualcosa che potrebbe cambiare per sempre gli equilibri politici del continente.

Nel Ppe la tensione è alle stelle dopo che l’austriaco Othmar Karas si è scagliato ieri contro Tamas Deutsch, capo di Fidesz al Parlamento Ue che aveva accusato il numero uno del Ppe, il tedesco Manfred Weber, di usare “slogan da Gestapo” e aveva paragonato la Ue alle dittature totalitarie. Karas chiede l’espulsione di Deutsch dai Popolari e ha già raccolto 30 firme. I vertici del Ppe stanno però cercando di spegnere l’incendio. Per ora.

Fino al summit del 10 dicembre, Fidesz non si tocca. Prima bisogna consumare la battaglia sul Recovery Fund, bloccato dal veto di Orbàn e del premier polacco Morawiecki per la clausola sullo stato di diritto. I vertici del Ppe, informalmente, hanno deciso che se giovedì prossimo Orbàn non toglierà il veto, la sua espulsione dal centrodestra moderato sarà certa.

A Berlino, da sempre cautissima, un filo si sta spezzando: la pazienza di Angela Merkel verso il duo Orban-Kaczynski, padrino politico del governo Morawiecki. E così ormai si è deciso di preparare anche l’arma atomica sul Next Generation Eu: andare avanti a 25, senza Budapest e Varsavia se non toglieranno il veto. O con una cooperazione rafforzata, oppure scrivendo un trattato a parte senza i due dell’Est.

Così, Ungheria e Polonia non vedrebbero un centesimo dei 750 miliardi del Recovery. Visto che il loro veto blocca anche il Bilancio Ue 2021-2027 da quasi 1.100 miliardi, l’Europa andrebbe in esercizio provvisorio e loro perderebbero decine di miliardi di fondi di coesione. Insomma, tra minaccia di espulsione al Ppe per Orbàn e colossale perdita di finanziamenti Ue per Morawiecki, gli europei calano l’artiglieria pesante.

Il problema è che anche ieri, al termine di un giro di telefonate tra i vertici dell’Unione, è emerso che Varsavia e Budapest non intendono mollare e confermano il veto in vista del summit che si aprirà tra 7 giorni a Bruxelles. Dal canto suo Merkel non può chiudere la sua presidenza di turno dell’Unione a mani vuote, senza accordo sul Recovery, visto che anche a causa del Covid non ha centrato i grandi obiettivi che si era posta (migranti, Cina e accordo Brexit in bilico). Su questo non transige, niente rinvii o sconti ai due ribelli.

Ecco che la questione è seria, tanto che espulsione dal Ppe e Recovery a 25, da minacce negoziali potrebbero diventare realtà. Sarebbe una rivoluzione degli equilibri in Europa, l’epilogo peggiore degli scontri degli ultimi anni tra fondatori e i due leader di Visegrad. Che a quel punto si ritroverebbero senza finanziamenti e con un piede fuori dall’Ue. Berlino non può permettersi di perdere la Polonia, paese legato a doppio filo con la Germania. Ecco perché la Commissione Ue di Ursula von der Leyen studia il “bridge”, il modo di andare avanti a 25 ma di tornare a 27 se, più avanti, Polonia e Ungheria dovessero tornare nel gruppo. Sarebbe l’ultima chance.

Sorgente: Il piano B di Merkel, patto per dividere i fondi senza Ungheria e Polonia – la Repubblica

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