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La ripartenza di Milano è il test per la «Fase 2» sull’Italia. Tutti abbiamo capito che, se la drammatica emergenza vissuta nella regione più colpita dal Covid-19 travolgesse davvero la città metropolitana con i suoi oltre 3 milioni di abitanti (cosa finora non avvenuta), le ripercussioni anche economiche potrebbero investire l’intero Paese. È il motivo per cui nella capitale lombarda, più che altrove, nulla da oggi può andare storto. Dataroom è in grado di anticipare gli scenari su cui sta ragionando la task force regionale per monitorare l’evoluzione dell’epidemia e decidere come procedere con le graduali riaperture o, nella peggiore delle ipotesi, ribloccare tutto. La stessa previsione la stanno facendo in Veneto, altro cuore pulsante dell’economia italiana.

I numeri della ripartenza

La mattina del 4 maggio a Milano si rimettono in moto 104 mila attività imprenditoriali e commerciali che fanno tornare in circolazione 339 mila lavoratori. Si aggiungono a quei 1,2 milioni che non si sono mai fermati, perché alle dipendenze di 180 mila aziende rimaste attive per fornire servizi essenziali. Complessivamente le imprese che gravitano sulla città metropolitana sono 306.500. Dunque il livello aperture complessivo sale a oltre il 90%. Poi ci sono i dipendenti degli uffici pubblici che tornano al lavoro e gli spostamenti personali. Le stime di Regione Lombardia, che prendono in considerazione anche i dati della piattaforma Open Innovation, fissano la quota di smart working intorno al 30%. Ci si aspetta che il 20% utilizzi il trasporto pubblico, mentre l’80% mezzi propri.

Il nodo trasporti

Uno dei nodi centrali è senza dubbio il trasporto pubblico. Sette persone su dieci non dovrebbero prendere il treno pendolare e la metropolitana, altrimenti non è fisicamente possibile garantire la distanza di sicurezza. Qualche ente pubblico, dal Comune alla Procura, ha scaglionato gli orari di ingresso e uscita dall’ufficio. Il Comune ha messo 300 persone a controllare i tornelli della metro, sono disponibili mille bici e monopattini in più, che a fine mese arriveranno a 10.000. Via libera alle auto anche nell’area C e non si paga il parcheggio nelle strisce blu. Nessuno però è in grado di controllare il comportamento del singolo. Quali rischi comporta tutto questo?

I cinque scenari

Il punto di partenza sono i circa 20 mila casi positivi di oggi. Nei report riservati allo studio delle autorità sanitarie ci sono le previsioni che dicono se e quando dovrà scattare l’alert. Il periodo preso in considerazione è fino al 30 giugno. Considerati i 14 giorni di incubazione del virus, le prossime due date cruciali sono il 18 maggio e il primo giugno.
Scenario uno (quello ideale): l’evoluzione prosegue come nell’ultimo periodo di lockdown, e quindi nelle prossime due settimane avremo una media di 166 nuovi contagi al giorno, per scendere intorno ai 76 al primo giugno.
Scenario due: la situazione rimane stabile con una media di 280 casi in più al giorno ed è considerata sotto controllo.
Scenario tre: la media dei contagi giornalieri comincia salire fino a superare i 359. In questo caso scatterebbe l’alert: vuol dire che al 18 maggio avremo oltre cinquemila positivi in più rispetto ad oggi, che diventerebbero oltre dodicimila al primo giugno, con il sistema sanitario che entra in sofferenza.
Gli scenari quattro e cinque vanno da quello considerato rischioso (457 casi), a quello classificato come catastrofico: 578 nuovi casi al giorno in due settimane.
Il conto su cui si basano le previsioni è un calcolo matematico: numero dei casi positivi di oggi diviso per la media della settimana precedente. È il cosiddetto «indice di contagio», che attualmente è di 0,8. Se il rapporto va all’1 vuol dire che a fine giugno avremmo oltre 16.000 casi in più. All’1,1 oltre 37 mila, che diventano 94 mila all’1,2, mentre all’1,3 si superano i 245 mila in più. Si ritorna cioè al punto di partenza. Una catastrofe per la tenuta delle strutture sanitarie.

La tenuta degli ospedali

Il sistema ospedaliero su Milano si presenta all’appuntamento con la Fase 2, con 425 posti di Terapia intensiva Covid-19 occupati su 551 disponibili (fra ospedali pubblici e privati accreditati). Liberi, insomma, ce ne sono 126, ma le dimissioni continuano di ora in ora. Nell’ultimo mese è finito in rianimazione il 10% dei ricoverati, vuol dire che oggi, verosimilmente, il sistema è in grado di reggere fino a 1.200 nuovi ricoverati. Per questo, un possibile ritorno al lockdown su Milano è strettamente collegato al numero di contagiati che necessita di un ricovero, che è in media il 20% dei positivi. Una percentuale che potrebbe scendere, grazie a diagnosi più precoci: nelle ultime settimane infatti il numero dei tamponi nella città metropolitana è raddoppiato, passando da 2 a 4 mila al giorno.

Il sistema di mappatura

In questa fase è cruciale il perfetto funzionamento del sistema di mappatura e di sorveglianza dei positivi e dei loro contatti. Tra domani e mercoledì la Regione approverà la nuova apposita app con la quale ogni medico ha l’obbligo di segnalare immediatamente un paziente con sintomi anche lievi, per identificarlo. La sperimentazione, che riguarda la città metropolitana, partirà subito. Alla app, che si chiama SMainf (e sta per segnalazione Malattie infettive) avranno accesso, su Milano, oltre 5000 medici (di famiglia, pediatri, case di riposo, ospedalieri, medici del lavoro). Per il paziente sintomatico scatta subito l’isolamento, ancor prima di eseguire il tampone e attenderne l’esito. Così per i contatti stretti, compresi i colleghi di lavoro. La segnalazione è visibile anche al Comune e al medico di base per la sorveglianza. Per rintracciare i contatti invece l’Asl, al momento, usa ancora metodi tradizionali: telefonata ai familiari e al datore di lavoro. Le disposizioni che riguardano la mappatura saranno estese anche all’intera regione, ma per l’utilizzo della app bisognerà attendere qualche giorno.

Il banco di prova del Veneto

In Veneto la ripartenza ha gli occhi puntati su un dato: i ricoveri. Il campanello d’allarme scatterà a quota 1.400. Da qualche giorno il numero di pazienti dei reparti Covid-19 presenti negli ospedali territoriali oscillano intorno a quota mille (esclusi un centinaio in terapia intensiva, e in costante calo). Se con la riapertura massiccia delle aziende, che vede circa 1,6 milioni lavoratori teoricamente ai cancelli (cioè l‘84% dei dipendenti totali di circa 351 mila imprese), la curva degli infetti ricoverati dovesse risalire di un 40%, l’Unità di crisi disporrà una nuova chiusura. Tutto dipenderà dalla distribuzione dei nuovi contagi: se sarà concentrata in poche zone, si chiuderanno quelle, se sarà più diffusa si torna al lockdown.

Il Cruscotto

La situazione verrà monitorata da un programma potente e velocissimo, messo in pista dalla Regione il 24 febbraio, subito dopo il primo decesso per Covid-19 a Vo’ Euganeo, e attivo dall’8 marzo. Funziona così: su ognuna delle sette province c’è un pallino rosso con il numero di contagi aggiornato di ora in ora. Clicchi ed escono i Comuni, e per ogni Comune il dettaglio dei casi positivi. L’ultimo clic stringe il focus sui quartieri, con le vie e i numeri civici dove ci sono gli infetti. Spunta l’identità di ogni caso positivo e una lista di informazioni: età, tessera sanitaria, medico curante, conviventi, e da ultimo luogo e datore di lavoro. Una radiografia del soggetto, ordinata, capillare, inedita.

Le persone mappate da questo sistema di geolocalizzazione oggi sono 18 mila, ma aumentano di giorno in giorno. Sapere dove abitano i positivi consente di identificare i loro contatti stretti, di scovare i micro focolai di contagio, e spegnerli sul nascere. La sorveglianza è stata accompagnata dalla politica dei tamponi diffusi, anche sugli asintomatici. Ora se ne fanno 12 mila al giorno, e grazie ad una quota di reagenti che l’ospedale di Padova si produce in casa, aumenteranno a 20 mila nelle prossime settimane. Molti sono già stati destinati ai lavoratori che tornano alle loro occupazioni.
Meno privacy per la salute pubblica

Il sistema è stato ideato da una società di ingegneria informatica sotto il coordinamento dall’ingegner Lorenzo Gubian, responsabile dei sistemi informativi di Azienda Zero, l’ente sanitario cui fanno capo le Asl venete, che hanno collaborato alla messa in funzione della piattaforma. Sono stati incrociati i dati di tre archivi: l’anagrafe sanitaria per avere i numeri civici dei contagiati e dei conviventi, quella del personale sanitario, e il database di Veneto Lavoro, l’agenzia regionale che raccoglie le informazioni di tutti i dipendenti delle aziende e dei datori. I dati sono visibili solo dal capo della task force, dal governatore Luca Zaia, dall’assessore alla Sanità regionale e dal direttore generale, mentre ad aziende sanitarie, Comuni e Prefetture vengono trasmessi solo quelli di loro competenza per attivare l’isolamento fiduciario, i tamponi, e la sorveglianza della quarantena. Domanda: non c’è un problema di privacy? «In tempi normali non si incrociano tutte queste banche dati – riconosce Gubian – L’abbiamo fatto nell’interesse superiore della salute pubblica. È chiaro che finita l’emergenza tutto dovrà rientrare». Per il ritorno alla normalità sarà dunque dirimente l’efficienza delle misure messe in campo dalle autorità politiche e sanitarie. Ma lo sarà altrettanto il comportamento dei singoli. Solo la costante e individuale consapevolezza che il virus è sempre fra noi, in attesa della più piccola disattenzione, potrà alla fine ucciderlo.

Sorgente: corriere.it

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