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Tutte le tappe della riconversione. Con l’incognita ArcerlorMittal

di Mimmo Mazza

TARANTO – A ottobre, quando il Tar di Lecce esaminerà nel merito il ricorso proposto da gestore (ArcelorMittal) e proprietario (Ilva in amministrazione straordinaria) dello stabilimento siderurgico di Taranto contro l’ordinanza del sindaco Rinaldo Melucci che impone lo spegnimento degli impianti inquinanti c’è il rischio (o l’opportunità, a secondo dei punti di vista) che venga meno l’oggetto del contendere, con addirittura uno dei tre contendenti (Ami) con le valige in mano. Perché mentre infuriava la battaglia legale e ArcelorMittal cercava di ripristinare un minimo di relazioni istituzionali con il Comune con la nomina della professionista grottagliese Maria Teresa Vignola, ecco che online, con le videoconferenze imposte dal distanziamento sociale, veniva apparecchiata la discussione sul progetto di riconversione della fabbrica di Taranto. La Gazzetta ha potuto consultare la versione aggiornata al 17 aprile 2020 del piano ed è evidente l’acciaieria ipotizzata è tutt’altro rispetto a quella odierna, fiaccata dal mercato e portata al minimo tecnico dal Coronavirus.

Premesso che il cronoprogramma potrebbe essere rivisto proprio a causa della emergenza Covid-19, si prevede di fare entro maggio l’accordo sindacale, di avviare entro novembre il rifacimento dell’altoforno 5 (che insieme al 4 dovrebbe garantire la produzione di ghisa tradizionale, a cui affiancare un forno elettrico da poco più di un milione di tonnellate di acciaio liquido all’anno, con avvio previsto per il primo semestre del 2024). Tra maggio e giugno il gruppo di lavoro, coordinato da Ernesto Somma, già capo di gabinetto di Carlo Calenda al Mise e ora responsabile delle innovazioni tecnologiche di Invitalia, conta di completare la redazione del dossier tecnico, inviare la la richiesta per la nuova Aia, avviare il roadshow per identificare i possibili investitori nel veicolo societario che si occuperà della parte green della fabbrica, in vista della definizione entro novembre di un coinvestimento da parte dello Stato in ArcelorMittal Italia, facendo così da un lato non perfezionare il diritto di recesso che la multinazionale, al prezzo di 500 milioni di euro, conserva fino al 30 novembre, e ad anticipare al 2022 il definitivo acquisto dei rami di azienda, ora detenuti in fitto.

Il piano industriale prevede a regime la produzione di 8 milioni di tonnellate all’anno di acciaio in un mix tra impianti esistenti e impianti nuovi, con differenza sostanziali rispetto al piano industriale proposto da ArcelorMittal nel 2017 e con il mantenimento dei livelli occupazionali: 10.700 dipendenti, con il riassorbimento delle risorse in cassa integrazione entro il 2021. Sul piatto ci sarebbero 3,2 miliardi di euro da spendere tra il 2020 e il 2025: 800 milioni per investimenti ambientali (di cui 330 a patrimonio destinato, ovvero vincolati alla riconversione), 260 milioni per i forni elettrici, 830 milioni per l’impianto di produzione del pre-ridotto, 1 miliardo e 360 milioni di euro per investimenti tecnici. Previsti significativi abbattimenti delle emissioni per tonnellata di acciaio prodotto: -28% di anidride carbonica, -60% di polveri, -40% di ossidi di zolfo, -41% di ossidi di azoto, -62% di diossine. Per gestire la partita è stato istituito un comitato direttivo composto da rappresentanti del Mef, del Mise, di Invitalia e di Ilva in amministrazione straordinaria che prevede riunioni settimanali e un confronto stretto con il gruppo di lavoro esteso ad ArcelorMittal (rappresentata dall’amministratore delegato Lucia Morselli). Sempre che ArcelorMittal non cambi idea e decida di mollare il complesso aziendale ex Ilva: in tal caso toccherebbe allo Stato guardarsi attorno e cercare nuovi proprietari per il siderurgico di Taranto.

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LE PAROLE DEL SINDACO MELUCCI – «Siamo fermamente contrari all’ipotesi che il Governo possa fornire altre garanzie per centinaia di milioni su un maxi prestito ad ArcelorMittal. E in un momento come questo, dove tutta la comunità ionica soffre per il coronavirus e lotta per la sua salute proprio contro l’ex Ilva, l’ennesima norma a favore del gestore nel prossimo Decreto Aprile sarebbe davvero insopportabile. Ancora questa settimana lo stabilimento rilasciava pesanti emissioni sulla città, è immorale premiarlo». Lo afferma in una nota il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, aggiungendo che a suo avviso «il Governo deve aiutare finanziariamente e con decisione le centinaia di aziende dell’indotto ionico messe in ginocchio da ArcelorMittal. Ci aspettiamo che su questa richiesta ci sia il sostegno di Confindustria nazionale, il cui presidente è stato appena nominato anche grazie al decisivo appoggio degli industriali meridionali e pugliesi. Apprendiamo anche di un gruppo di lavoro che a Roma si sta occupando del piano industriale. Come sempre, la comunità resta fuori dalla discussione e questo non è foriero di un clima costruttivo».
Se le indiscrezioni «fossero confermate – conclude Melucci – non possiamo che essere, al pari, molto scettici sulla ipotesi della installazione di un solo forno elettrico. Sulla chiusura della inquinante area a caldo non ci saranno passi indietro, il territorio vuole voltare per sempre pagina. Nella fase 2 la priorità deve essere Taranto, non ArcelorMittal».

I SINDACATI – «L’azienda vorrebbe scendere a 3000 dipendenti diretti, determinando un beneficio per ArcelorMittal in termini di abbattimento del costo del lavoro e di attività collegate alle manutenzioni ordinarie e straordinarie. Il calo della produzione viene utilizzato, di fatto, dalla multinazionale per giustificare l’aumento del personale in cassa integrazione». Lo dichiara Francesco Brigati, componente della segreteria provinciale della Fiom di Taranto e coordinatore delle Rsu Fiom dello stabilimento siderurgico.
«A dimostrazione di questa scelta unilaterale da parte di ArcelorMittal – aggiunge – vi è il cambio di pagamento della Cassa integrazione con causale Covid-19 che inizialmente prevedeva lo smaltimento delle ferie a 0 ore prima di accedere all’ammortizzatore sociale. Ciò significa che ci sono circa 5000 lavoratori in cassa integrazione. Inoltre, si pone un problema in merito alla ripartenza, prevista per il 4 maggio con la fase 2, in quanto non vi è al momento nessun intervento su Afo2 che lasci sperare ad un riavvio dello stesso impianto». Per Brigati, è del tutto evidente che ArcelorMittal voglia dettare l’agenda del governo sul futuro di un sito strategico per il Paese. È indispensabile che il governo riprenda in mano le politiche industriali guardando al futuro e programmando un nuovo modello industriale eco compatibile».

Sorgente: Taranto, come sarà la nuova Ilva? Ecco il piano del Governo – La Gazzetta del Mezzogiorno