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di Massimo Giannini

Spiace dirlo, ma anche la manovra che vedrà la luce venerdì prossimo è lo specchio deformato dell’Italia. Un Paese a responsabilità limitata. Dove non si sa più chi decide che cosa. Dove la politica fa, disfa, gira a vuoto. A fine settembre il nuovo governo demo-stellato presenta la sua legge di stabilità ad alto impatto “etico”: sugar tax per indurre virtù alimentari e plastic tax per contrastare vizi ambientali, tasse sulle auto aziendali inquinanti e multe agli esercenti che non usano Pos. Soprattutto, rivendica il merito di aver disinnescato 23 miliardi di clausole Iva: “Abbiamo saldato il conto del Papeete”, dice fiero Gualtieri (dimenticando che, al netto dei danni combinati da Salvini, 19 miliardi di quelle clausole erano un lascito di Gentiloni). Due mesi dopo cambia tutto. Addio multe-Pos, sugar tax e imposte sulle auto aziendali, rinviata e dimezzata la plastic tax. L’etica è come il paradiso: può attendere.

Il paradosso è che gli 1,2 miliardi di buco saranno coperti con altre clausole di salvaguardia, stavolta sulle accise per i carburanti. Cioè con una nuova cambiale da saldare domani, simile a quella che i giallo-rossi si vantano di aver neutralizzato oggi. Anche la coerenza può aspettare. Detto questo, sarebbe ingeneroso scaricare tutte le colpe sull’attuale governo. La “Grande Entropia” di cui parla Beppe Grillo dura da quasi mezzo secolo. E a dispetto delle visioni lisergiche del capocomico genovese, vissuta da un cittadino normale è tutt’altro che “meravigliosa”. Basta sfogliare i dossier che marciscono sui tavoli dei ministri, per capire che stiamo pagando il conto di un’eterna e inconcludente “transizione”.

Il Meccanismo europeo di stabilità? Conte tornerà a parlarne oggi alla Camera, dove si voterà una kafkiana risoluzione di maggioranza. Ben venga il dibattito, per evitare scelte inconsapevoli e pentimenti postumi.

Ma perché il “nuovo” Fondo salva-Stati è uno psicodramma solo in Italia, mentre negli altri Paesi non se ne trova traccia? Il motivo è semplice: il Mes è un rischio quasi solo per noi, perché siamo noi che portiamo sulle spalle il secondo debito pubblico del mondo e da vent’anni e 11 governi non siamo stati capaci di ridurlo. L’ultimo che ci riuscì fu Ciampi, ministro del Tesoro con Prodi, che nel ’98 lo fece crescere molto meno del Pil. Poi più nulla. Il macigno continua a schiantare noi, i nostri figli, i nostri nipoti. Da 21 anni. La lotta all’evasione fiscale? Mattarella col suo sacrosanto anatema pareva il Pertini furioso del sisma in Irpinia.

Da Formica in poi, non c’è governo che non abbia sparato cifre sul recupero delle tasse imboscate. Nella manovra in corso il gettito previsto è da record: 7 miliardi. Sono tornate di gran moda le “manette agli evasori”. Ma la prima legge che portava questo nome è del 1982: 37 anni fa. In compenso, dal dopoguerra in poi l’abbiamo sfangata a colpi di condono: 80. In 71 anni. La riforma della giustizia e la prescrizione? Il braccio di ferro tra M5S e Pd non è un inedito ma un grande classico. Il derby tra “manettari” e “garantisti” va avanti da Mani Pulite. Il centrosinistra ci ha provato con la riforma del “giusto processo” nel ’99. Il centrodestra ha risposto con le leggi ad personam di Berlusconi e la ex Cirielli, nel 2005. In mezzo, golpe Biondi e decreto Conso, e poi pseudo-riforma Castelli e contro-riforma Orlando. Risultato: il processo civile dura sempre 7 anni, quello penale quasi 4. Non cambia mai niente. Da 27 anni.

L’Ilva e l’Alitalia? Due fallimenti noti e remoti. Ce li portiamo dietro dalle privatizzazioni malfatte del ’95-’96.

La famiglia Riva nel siderurgico di Taranto, l’Armata Brancaleone dei “capitani coraggiosi” nella compagnia di bandiera. L’acciaio come metafora della “non-politica” industriale, l’aereo come allegoria del mal-governo. Bubboni che esplodono insieme, ciclicamente, e per i quali non c’è mai stata cura. Da 23 anni. Gli appalti? Crollano ponti, franano viadotti, tremano territori. Da quanti lustri lottiamo contro il “dissesto idrogeologico”, affrontiamo la tragedia delle distruzioni e assistiamo alla farsa delle ricostruzioni? Da L’Aquila al Morandi, da Sarno a Venezia, è un continuo e inutile alternarsi di Protezioni Civili e Leggi-Obiettivo, di Salva-Italia e di Sblocca-Italia. Ma tra elefantiasi burocratiche e inchieste giudiziarie, conflitti Stato-regioni e superfetazioni normative, non si salva niente e assai poco si sblocca. Tav e Mose non ci sono ancora, ma sono già vecchi.

Le Grandi Opere sono cantieri mai finiti ma inaugurati più volte dai ministri di turno, da Attila-Prandini a Caterpillar-Lunardi. Ne hanno censite 600, tutte ferme. Da 18 anni.

Si potrebbe continuare, parlando di revisioni costituzionali e di leggi elettorali. Ma cosa deve pensare, l’italiano medio che vive in questa Repubblica preterintenzionale, in cui tutti litigano e nessuno decide? Ha visto all’opera governi di ogni colore. Li ha votati, spesso cambiando idea nella speranza che cambiasse il Paese. È evidente che non tutti i politici sono uguali, e che Salvini è un pericolo da scongiurare. Ma il Paese non cambia, i problemi sono ancora tutti qui, sempre gli stessi. Può darsi che questo dipenda dal fatto che le forze “moderate” siano ormai minoritarie. Ma è probabile che il Pd sia diventato minoritario proprio perché non ha saputo dar voce alle istanze di radicalità che vengono dall’altra Italia, alternativa alla destra estrema e ora egemone. E che il Movimento stia smarrendo se stesso, alla ricerca di una risibile Terza Via, proprio perché si ostina a sfuggire a una contesa politica nuovamente bipolare. In questo oceano di confuso disincanto, non può stupire che a muovere le acque basti un improvviso banco di sardine, o riaffiori la solita tentazione dell’Uomo Forte. È una scorciatoia pericolosa, ancora una volta. Ma c’è un solo modo per non imboccarla. Una democrazia che funziona, un governo che decide. L’unica “verifica” possibile, per Conte, Zingaretti e Di Maio, sta tutta qui.

Sorgente: Il Paese che non decide | Rep

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