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di Luciano Fuschini

Nel polverone accecante della politica è utile fissare alcuni paletti a delimitare il campo e ad aiutare l’orientamento.
Primo paletto: la globalizzazione, di cui l’UE è parte integrante, è il male. È male perché tende a omologare le culture, è male perché è il contesto del dominio della finanza speculatrice e del capitale transnazionale proteso unicamente al profitto, è male perché la logica della finanza e del mercato senza regole per sua natura tende all’illimitato, all’eccesso, all’abbattimento di ogni barriera e confine, la hybris che è causa del sovvertimento dei fondamenti del vivere civile e del dramma esistenziale che l’umanità sta vivendo.
Secondo paletto: gli USA, nonostante qualche sintomo di crisi, restano la forza egemone nel mondo. Lo sono non soltanto per le centinaia di basi militari sparse per il globo, non soltanto per il ricatto delle sanzioni che impongono a chi non si allinea, non soltanto per la centralità del dollaro nelle transazioni commerciali, non soltanto perché attirano cervelli da ogni parte del pianeta per farli lavorare nei loro centri di ricerca. Lo sono soprattutto perché dominano l’immaginario collettivo dei giovani di tutto il mondo, con la capillarità di una propaganda veicolata da Hollywood, dalla musica di consumo, dalla diffusione universale della loro lingua, che è anche la lingua dell’informatica, perfino dai messaggi in inglese stampati sulle magliette. I giovani russi, cinesi, indiani, turchi, iraniani, cubani, venezuelani, sono imbevuti di miti americani, sognano l’America.
Terzo paletto: l’unico ideale forte, emotivamente coinvolgente, capace di opporsi all’americanismo e alla soggezione all’impero yankee, è il patriottismo. I governi russo, cinese, indiano, turco, iraniano, cubano, venezuelano, sanno di poter resistere alle pressioni dell’impero solo perché in nome del patriottismo la loro gioventù sarebbe pronta a mobilitarsi. Senza il sentimento patriottico dei venezuelani Maduro sarebbe stato travolto in poche ore.
Quarto paletto: il patriottismo non basta, deve essere riempito di contenuto se non vuole restare pura retorica sfociante nel nazionalismo. Questo contenuto deve essere il socialismo, inteso come il sistema che permette ai poteri pubblici di regolare economia e finanza, ai fini di una più giusta distribuzione dei redditi e ai fini della fissazione di limiti alla crescita e ai profitti. Il nuovo socialismo non potrà essere né il superato collettivismo sovietico né il modello keynesiano, che colse straordinari successi quando esistevano condizioni oggi tutte assenti: materie prime a basso costo, debiti pubblici sostenibilissimi, assenza di sensibilità ambientalista, fiducia nel futuro durante la ricostruzione successiva al disastro della guerra, attitudine al sacrificio e al risparmio, disponibilità di governi e imprenditori ad accogliere rivendicazioni sindacali per sconfiggere anche ideologicamente la propaganda sovietica, essendo l’URSS una minaccia da scongiurare anche a prezzo di cedimenti alle richieste dei salariati. Tutto ciò non esiste più. Il nuovo socialismo dovrà essere attento all’ambiente e dovrà gestire l’inevitabile decrescita.

Giovani a difesa della Patria in Siria

Conclusione: la parola d’ordine del partito capace di guidare una vera svolta dovrà essere quella antica ma sempre valida: patria e socialismo.
Occorrono considerazioni a parte per quanto riguarda l’Italia. Gli italiani storicamente hanno dato il meglio di sé nel localismo. La grande civiltà italica, che tanto ha dato alla storia del mondo, è quella delle Repubbliche marinare, dei Comuni, delle Signorie, degli Stati regionali. È vero che quella frammentazione permise a Stati nazionali stranieri di assoggettarci, ma è pur vero che ancora nel Settecento la penisola restava faro di civiltà e monarchie e granducati di origine straniera, come i Borbone di Napoli o i Lorena di Firenze, si erano del tutto italianizzati. Viceversa, la storia dell’Italia unita è il racconto di un fallimento. L’Italia liberale avviò sì l’industrializzazione, ma imponendo un accentramento amministrativo deleterio e in un quadro talmente squilibrato che proprio nella crescita industriale si verificò l’apparente paradosso di un’emigrazione massiccia dalle regioni meridionali, ma anche da Veneto e Friuli. Quell’Italia liberale si avventurò in imprese coloniali insensate e trascinò il Paese nell’ “inutile strage” della Grande Guerra. L’Italia fascista negli anni Trenta ha promosso una buona ristrutturazione finanziaria ed economica sotto l’egida dello Stato, ereditata dopo la seconda guerra mondiale da chi ha potuto vantare il “miracolo economico”, ma ha riempito il vuoto ideale con una ridicola retorica imperiale sfociata in una serie di conflitti, fino alla catastrofe finale. L’Italia repubblicana per un trentennio ha fatto registrare una crescita economica spettacolare, ma nel quadro di una sottomissione a potenze straniere che hanno ridotto l’indipendenza nazionale a pura apparenza. E l’ultimo quarantennio ha visto una progressiva putrida decadenza che fa presagire la possibile estinzione della nazione. Le energie degli italiani storicamente traggono la loro linfa dal localismo.

Eppure una ribellione al globalismo della finanza, che dovrà avere una dimensione internazionale, non potrà che cavalcare l’onda del patriottismo. La ristrutturazione del nostro Stato verso una federazione di regioni potrà essere soltanto un passo successivo.
Il partito patriottico e socialista è tutto da costruire. Affidarsi a una delle forze politiche esistenti nel nostro parlamento sarebbe farsi complici di un grande delitto: la distruzione del nostro Paese.

 

Sorgente: controinformazione.info | Patria e socialismo

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