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La requisitoria nel processo bis in Corte d’Assise contro i cinque carabinieri accusati di aver picchiato il geometra romano di 31 anni morto nel 2009 all’ospedale Pertini sei giorni dopo essere stato arrestato. L’accusa: “Primo processo kafkiano. Il verbale di arresto primo atto scientifico depistaggio”

“Il primo processo, quello che vedeva imputati per il pestaggio di Stefano Cucchi tre agenti di polizia penitenziaria, fortunatamente sempre assolti, è stato un processo kafkiano, con gli attuali imputati seduti all’epoca sul banco dei testimoni, con cateteri applicati a Cucchi per comodità e fratture lombari non viste apposta da famosi ‘professoroni’. Tutto ciò non è successo per sciatteria, ma per uno scientifico depistaggio cominciato la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009 alla stazione Appia dei carabinieri, quando il ragazzo venne arrestato”. E’ iniziata così la requisitoria del pm Giovanni Musarò nel processo bis in Corte d’Assise contro cinque militari dell’Arma accusati del pestaggio di Stefano Cucchi, geometra romano di 31 anni morto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Pertini sei giorni dopo essere stato arrestato dai carabinieri per droga.

Le lesioni riportate da Cucchi durante il pestaggio in caserma, secondo la procura, “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che lo avevano in cura all’ospedale Sandro Pertini”, portarono Cucchi alla morte. “Le lesioni più gravi sono state prodotte dalla caduta di Cucchi, dopo un violentissimo pestaggio. Quella caduta – spiega Musarò – è costata la vita a Stefano Cucchi, si è fratturato due vertebre. Lui stesso, a chi gli chiese cosa fosse successo, disse: ‘Sono caduto'”.

Cucchi, Musarò: “Il primo processo fu kafkiano, condizionato da depistaggio scientifico”

Sono cinque i militari alla sbarra nel procedimento bis: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco, che nel corso del procedimento ha accusato i due colleghi del pestaggio ai danni del geometra romano, risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto e calunnia insieme al maresciallo Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

Caso Cucchi, da “Stefano gonfio come una zampogna” ai passi falsi degli imputati: la ricostruzione dell’inchiesta

Stefano Cucchi fu vittima “di un pestaggio violento e repentino, roba da teppisti da stadio. I carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, autori di un’aggressione cosi’ vile, non e’ che sono stati sfortunati in quella circostanza. Se la sono presa con una persona che sotto peso, di appena 40 kg, che consideravano un drogato”, ha detto Musarò. “Cucchi, che aveva rifiutato il fotosegnalamento,  comincia a battibeccare con Di Bernardo che gli molla uno schiaffo. Cucchi barcolla indietro. D’Alessandro gli da’ un calcio e Cucchi va in avanti. Poi arriva una violenta spinta e il ragazzo cade indietro, sbattendo a terra sedere e nuca e viene colpito con un calcio in faccia che gli provoca una frattura della base cranica. A quel punto, Francesco Tedesco, il terzo carabiniere che assiste alla scena – prosegue il pm – interviene, blocca i colleghi, evita che a Cucchi arrivi un altro calcio, aiuta il ragazzo a tirarsi su e avverte subito il maresciallo Roberto Mandolini, comandante della stazione Appia, per raccontargli quello che era successo”.

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“Se Stefano Cucchi è morto lo si deve anche al falso contenuto del verbale d’arresto, redatto dal maresciallo Roberto Mandolini, il comandante della stazione Appia, secondo il quale il 31enne geometra era nato in Albania il 24 ottobre 1975 ed era in Italia “senza fissa dimora”. “Nel processo di convalida dell’arresto il giudice applicherà la custodia cautelare in carcere di Cucchi – ha spiegato il pm – proprio perchè risultava che l’arrestato risultava senza fissa dimora. Circostanza non vera, anche perchè Cucchi non lo ha mai detto. Se fosse finito ai domiciliari, non avremmo mai celebrato questo processo. Anche questo giochetto è costato la vita al ragazzo”. Cucchi in realtà era nato a Roma, in altra data, e risultava residente in una abitazione che era stata subito perquisita dai carabinieri dopo l’arresto, alla presenza dei suoi genitori.

“Non possiamo fare finta che quella notte non sia successo niente e non capire che si stava giocando una partita truccata all’insaputa di tutti, ha aggiunto il magistrato. In aula anche il procuratore vicario di Roma, Michele Prestipino, oltre a Musarò, pm titolare del procedimento, a rappresentare l’ufficio della pubblica accusa. “Stefano Cucchi non è caduto accidentalmente, è stato pestato”, ha detto Musarò. “Non è semplice sintetizzare due anni di un processo così complicato, dopo la morte di Stefano Cucchi è iniziata una seconda storia, nel frattempo ci sono stati altri processi con imputati diversi, per il pestaggio furono accusati prima tre agenti della penitenziaria e poi i medici dell’ospedale Pertini”.

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Quando venne arrestato, Stefano Cucchi pesava 43 kg. Ne pesava 37 quando morì. “Questo notevole calo ponderale – ha spiegato il pm Giovanni Musarò – è riconducibile al trauma dovuto al violento pestaggio, non certo a una caduta come si disse all’epoca. Lui perse 6 kg in 6 giorni. Non mangiava perchè aveva dolore, stava male. E per il dolore non riusciva neppure a parlare bene”. Il pm indica tra i testimoni Luigi Lainà, un detenuto alle prese con varie varie patologie, che la sera del 16 ottobre 2009, incrociò Cucchi al centro clinico del carcere di Regina Coeli: “Stava proprio acciaccato de brutto – disse Lainà al pm cinque anni dopo con la riapertura dell’inchiesta -, era gonfio come una zampogna sulla parte destra del volto. Anche io sono stato massacrato, ma massacrato a quel livello come Cucchi no. A ridurlo così dovrebbe essere stato un folle o più folli senza scrupoli”. Dichiarazioni poi ribadite da Lainà nel marzo del 2018 nel processo bis in corte d’assise.

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“Gli ho chiesto di alzarmi la maglietta. E lui mi ha mostrato la schiena: era uno scheletro, sembrava un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz”, continua Musarò citando Lainà. “Aveva il costato di colore verdognolo-giallo, come quello di una melanzana – era stato il ricordo di Lainà -. Gli ho chiesto se a ridurlo così fosse stato qualcuno della penitenziaria… ero pronto a fare un casino… e invece lui rispose che erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato… ‘Si sono divertiti’, mi aggiunse”.

Sorgente: Caso Cucchi, il pm in aula: “Pestaggio degno di teppisti da stadio” – Repubblica.it

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