0 11 minuti 5 anni

Era la mattina del 14 Aprile 1982, quando un esponente del Partito Radicale uscì da Montecitorio annunciando a centinaia di persone transessuali e altri attivisti presenti che il Parlamento aveva approvato la Legge 164 in materia di cambiamento di genere.

Abbracci, urla e pianti di gioia scoppiarono tra chi vedeva in quel via libera una prima grande conquista. Una conquista che prese forma grazie al MIT (Movimento Identità Transessuale). Tra le fila di chi combatté (e ancora oggi combatte) la battaglia, c’era (e c’è) Porpora Marcasciano, sociologa, attivista per i diritti umani e presidente onorario del MIT. Sarà proprio lei a guidare il Roma Pride, che attraverserà le strade della Capitale sabato 8 giugno. Ad annunciarlo è stato il Coordinamento Roma Pride con un post pubblicato su Facebook: “Il primo Pride fu rivolta. E rivolta sarà anche il Roma Pride di quest’anno”.

Figura simbolo del transfemminismo italiano, l’attivista ha attraversato e ha fatto la storia del MIT, è stata protagonista e testimone dell’impegno del movimento Lgbtqi+, dagli anni Settanta fino ad oggi.

Spaccati di vita e lotte che, in questa pagina, vengono raccontati dagli scatti della fotografa Lina Pallotta, amica e compagna di battaglie di Porpora dai tempi dell’università a Napoli, negli anni Settanta. La fotografa è entrata nelle vicende di Porpora e in quella del Movimento descrivendo momenti personali, cambiamenti sociali e culturali della nostra epoca.

Ora Porpora Marcasciano guiderà il Pride Roma 2019 per portare avanti ancora una volta un messaggio di resistenza e di orgoglio. Questa la sua intervista ad HuffPost.

È passato mezzo secolo dai moti di Stonewall e sono trascorsi venticinque anni dal primo Gay Pride romano. Che valenza assume essere stata scelta come madrina del Pride Roma in concomitanza con due anniversari così importanti?
Cerco sempre di parlare al plurale e mai in prima persona: il riconoscimento va sicuramente al mio attivismo, ma va anzitutto al percorso collettivo del mondo trans, fatto di lotta e liberazione. I moti di Stonewall furono portati avanti proprio da persone trans e travestite in un periodo in cui mancava perfino il nome per definirci e dominava l’emarginazione. Nel 2000, noi del Movimento Identità Transessuale invitammo in Italia Sylvia Rivera, che fu protagonista di Stonewall, per riprendere il filo di un discorso storico che non si è mai interrotto. La presa di parola è importante, ma le persone trans hanno faticato ad ottenerla: la narrazione è sempre stata affidata agli omosessuali bianchi, borghesi, occidentali. Senza nulla togliere al loro punto di vista, trovo che la nostra narrazione possa aggiungere qualcosa, arricchendo un racconto prezioso. Uno dei limiti del movimento in Italia è stato quello di non aver valorizzato abbastanza la propria storia. La mia presenza in prima fila al Pride serve anche a riempire queste lacune.

Il Coordinamento Roma Pride, annunciando di aver scelto lei come madrina e parlando della manifestazione di quest’anno, ha scritto su Facebook: “Il primo Pride fu rivolta. E rivolta sarà anche il Roma Pride di quest’anno. Rivolta contro i nemici di ieri e quelli di oggi”. Chi sono questi nemici?
I nemici, in fondo, sono sempre gli stessi. Conservatori, destri, estremisti di tutto il mondo che si stanno ri-coalizzando. “Rivolta fu ieri e rivolta sarà oggi”: è chiaro che le lotte mondiali degli anni Sessanta-Settanta si esplicavano anche in termini di agitazioni vere e proprie, oggi la rivolta è intesa come rivendicazione dell’orgoglio e dei diritti. Negli ultimi anni siamo stati sotto attacco, lo ha riconosciuto perfino l’ONU. Nel 2012, infatti, le Nazioni Unite inviarono in Italia una speciale commissione a causa dei crescenti episodi di violenza sulle donne. Quella stessa commissione decise di fare visita a noi del MIT a Bologna poiché episodi incontrollati di violenza si registravano anche ai danni di persone trans. Entrambe le forme di violenza hanno matrice di genere. Questo fa capire come in cinquant’anni, al di là delle conquiste, molti altri sono i fenomeni che devono portarci a riflettere e a fare attenzione. La violenza non è solo fisica, ma anche politica e culturale. E non riguarda solo l’Italia, ma tutto il mondo. La vena fondamentalista e regressiva mette a rischio i diritti di molte minoranze.

LINA PALLOTTA

Concentrandoci sul nostro Paese, in molti sottolineano come la politica attuale abbia “sdoganato” l’omofobia e l’ostilità verso le minoranze. Ha la stessa sensazione?
È molto più che una sensazione. La violenza, l’ostilità e il pregiudizio sono aumentati e sono stati realmente sdoganati. Ora le persone si sentono in diritto di esprimere e di manifestare questi sentimenti negativi. C’è sconcerto nel vivere in un Paese che, non so quanto all’improvviso, si è scoperto di destra nella maniera più becera. Parlo in prima persona e non soltanto come portavoce: succede anche a me di subire scherno e di percepire il pregiudizio. Prima la gente si tratteneva ora, invece, si sente quasi in diritto di guardarti dall’alto in basso, di giudicarti. Dopo anni di battaglie, si nota un’inversione di tendenza legata al populismo dilagante che vorrebbe azzerare la complessità della vita e della società. Il populismo attacca i “nemici di prossimità”: migranti, gay, trans, chiunque sia giudicato diverso. È un fenomeno che attraversa tutta la Penisola. Non c’è più distinzione tra Nord e Sud Italia, tra città e provincia. La mappa del pregiudizio è a macchia di leopardo.

A proposito di violenza e di pregiudizio diffuso, nelle ultime ore ha fatto notizia il caso di una coppia di ragazze omosessuali picchiate su un autobus a Londra da un gruppo di balordi. Un’aggressione omofoba, scattata dopo che le due si sono rifiutate di baciarsi per il diletto del gruppo di uomini. È sintomatico?
L’episodio di Londra avvalora la mia tesi. Se episodi nel genere si verificano in una grande Capitale che riteniamo libera e liberata, è ancora più facile immaginare quanto il pregiudizio sia strisciante. Se si pensa ai Paesi dell’Est, dove l’estrema destra domina, la prospettiva è ancora peggiore. In quei luoghi, la violenza è strutturale al sistema. Su questo ci sarebbe bisogno di una riflessione da parte dei politici ma, almeno in Italia, da loro non ci si può aspettare molto. Ecco che entra in gioco il movimento, chiamato a porre l’accento su episodi che rischiano di minare l’essenza stessa della democrazia.

LINA PALLOTTA

Che ruolo ha o che ruolo dovrebbe avere oggi il movimento?
Il movimento deve essere la spina nel fianco del sistema, deve essere una spinta alla riflessione. Un tempo la parola chiave era “rivendicare”, oggi bisogna accusare, sottolineare e rimarcare. A mio avviso, al momento, il movimento delle donne – che in Italia è rappresentato da Non una di meno – sta portando avanti un lavoro importante in tutto il mondo perché ha colto l’urgenza della sfida. Una sfida trasversale che, per esempio, il 30 marzo ha costituito risposta alle destre che si riunivano a Verona per il Congresso Mondiale delle Famiglie. Credo in questo tipo di protesta che, senza porsi confini, richiama le lotte degli anni Sessanta e Settanta: c’è bisogno di unità affinché le minoranze possano combattere il nemico. È necessario ritrovare convergenza e terreno comune per affrontare un rischio planetario. Le superpotenze foraggiano i peggiori governi di destra: in Uganda è stata varata la pena di morte per lesbiche, gay e trans, così come in diversi altri Stati africani si infliggono pene gravi a queste categorie. Le potenze che attaccano le minoranze sono le stesse che sottovalutano il pericolo ambientale: quando si pensa a un mondo migliore, non si tratta solo di pensare a una società che garantisca i diritti di tutti, ma anche al rispetto della Natura nell’accezione più ampia.

La parola “transfemminismo” che valenza assume attualmente?
Ha un grande valore. Il “transfemminismo” sta portando avanti una riflessione interna, elaborando un pensiero e restituendolo in termini di battaglie e di visibilità. Il movimento lgbt si è un po’ adagiato sugli allori, al contrario il transfemminismo – a lungo visto come esperienza elitaria, riservata a pochi – sta allargando i propri orizzonti e lo sta facendo in maniera trasversale. Il prefisso “trans-” non è più solo riferito all’identità di genere, ma indica il transito attraverso diverse istanze come, per esempio, il genere e il discorso di classe.

 

Le foto presenti in questa pagina sono opera della fotografa Lina Pallotta, amica e compagna di battaglie di Porpora Marcasciano dai tempi dell’università a Napoli, negli anni Settanta. La fotografa è entrata nella storia di Porpora e in quella del MIT descrivendo momenti personali, cambiamenti sociali e culturali della nostra epoca.

  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
  • LINA PALLOTTA
    Silvia Rivera, Gay Pride

Sorgente: Porpora Marcasciano: “Il populismo attacca i ‘nemici di prossimità’: migranti, gay, trans, chiunque sia giudicato diverso” | L’HuffPost

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20