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Il presidente del Consiglio europeo alla vigilia del voto: «Gli imprenditori della paura hanno la meglio, ma non tutto è perduto»

Adam Michnik –  Jarosław Kurski –  Bartosz T. Wieliński – Varsavia

La «Gazeta Wyborcza» è il più importante quotidiano polacco. Di ispirazione progressista, è stato fondato ed è attualmente diretto da Adam Michnik, ex dirigente del movimento Solidarność. Gazeta Wyborcza compie in questi giorni trent’anni. Per l’occasione e in vista delle elezioni europee, il presidente del Consiglio Ue, il polacco Donald Tusk, si è confrontato con Adam Michnik, Jarosław Kurski e Bartosz T. Wieliński sui fondamentali temi europei.

Donald Tusk, nel 2014 lei aveva osservato che in Europa la storia stava facendo ritorno. Non le sembra che dopo cinque anni la storia abbia sopraffatto l’Europa? I nostri avversari sono sempre più forti e noi siamo sempre più divisi.

«Senza dubbio è finito il tempo delle illusione. Per i polacchi è un punto dolente perché abbiamo sognato a lungo di entrare nell’Unione europea. Dopo il 2004 molti di noi hanno creduto che sarebbe stato il nostro lieto fine della storia. L’Occidente politico doveva rappresentare la fine dei contrasti che ci hanno accompagnato da sempre, il luogo in cui ci sarebbero state date stabilità e sicurezza. Negli ultimi anni l’Europa si è trovata ad affrontare delle sfide drammatiche. Tuttavia non sono pessimista. Il ritorno della storia, il ritorno di una politica più austera per l’Europa non significano necessariamente qualcosa di negativo. L’accelerazione della storia può preoccuparci, ma non deve paralizzarci. In ogni caso non è niente di nuovo».

Nel 2004 l’Europa non doveva fare i conti con la Brexit.

«La Brexit è la storia che dura incessantemente dal primo giorno in cui il Regno Unito è entrato a far parte della Comunità europea. Il referendum non poteva tenersi in un momento peggiore, è l’effetto di un errato calcolo politico. Il vero e proprio dibattito sui risultati della Brexit non è iniziato prima o durante la campagna referendaria, ma dopo il voto. Oggi il risultato sarebbe sicuramente diverso».

Quando la Polonia è entrata nell’Ue, 15 anni fa, non c’era quest’ondata di populismo. Oggi Matteo Salvini, il leader della Lega, sta creando un internazionale populista. Il partito Alternativa per la Germania dice alla gente che occorre andar fieri dell’esercito tedesco del periodo bellico. Non è una novità.

«No, non è una novità. Ricordo il partito della coalizione di governo di Jörg Haider [il politico austriaco noto per le dichiarazioni razziste]. Allora l’Austria si era vista sospendere i diritti come membro dell’Unione europea, perché nel paese governava la destra radicale».

Prevale il sentimento anti europeo?

«In molti Paesi i cittadini sono più filoeuropei dei loro governi, ma avviene anche il contrario. In Polonia l’attuale governo ha un comportamento ambiguo. Le ultime dichiarazioni sono incredibilmente filoeuropee. Il tempo ci dirà se si tratta di cinismo elettorale o se è qualcosa di duraturo, ma siamo certi dei sentimenti filoeuropei dei polacchi. Nonostante le critiche nei confronti di Orbán, non dimentichiamo che anche gli ungheresi sono degli euroentusiasti. Molto critici sono ad esempio i danesi. Non c’è nulla di semplice né di nuovo».

Si può ancora parlare di un’anima europea?

«Ho visto le reazioni degli europei all’incendio di Notre Dame. In certi momenti si sente che in fondo in fondo sappiamo perché siamo europei. E per questo, senza sottovalutare la situazione drammatica, rimango ottimista. L’essenza dell’europeismo gode di buona salute».

Secondo i sondaggi un terzo degli elettori intende appoggiare alle Europee i partiti anti-Ue. I populisti vogliono prendere l’Unione europea democraticamente.

«Forse un po’ meno di un terzo, anche se è comunque troppo. Questo deve significare forse che tra cinque anni, alle prossime elezioni, queste forze prenderanno già la metà dei seggi e tra 10 anni ci condurranno alla catastrofe? Lo dico come provocazione, ma tutto dipende da come reagiremo. Le giovani generazioni devono chiedersi se vale la pena difendere l’Europa e le sue tradizioni, valori assolutamente attuali. Se non saremo in grado di difendere valori così fondamentali significa che non la meritiamo».

Secondo Macron i Paesi che non dimostrano solidarietà nei confronti del problema dei rifugiati dovrebbero essere esclusi dallo spazio Schengen.

«Apprezzo molto chi invita a rispettare i principi su cui è fondata l’Ue. Ma cominciamo dalla stessa Francia e Germania. In passato in questi grandi Paesi sono state violate delle norme del diritto comunitario. Non condivido la tesi secondo la quale la Polonia dovrebbe essere esclusa da Schengen perché non accoglie i rifugiati previsti dalle quote europee. La retorica antimigranti di Kaczyński sulle malattie e parassiti trasmessi dai migranti mi fa orrore. Ma il rispetto dei principi dello spazio Schengen significa anche un controllo efficace delle frontiere e il contenimento dell’immigrazione illegale. Non si può escludere un Paese dallo spazio Schengen solamente perché non accoglie al suo interno i migranti illegali. Occorre cercare soluzioni comuni per far continuare a esistere Schengen e non minacciare sanzioni».

Non si tratta solo di rifugiati. Il PiS, il partito di Kaczyński, ha dimostrato che nell’Ue si possono sottrarre i governi dal controllo democratico, distruggere la magistratura, ridurre il Parlamento al ruolo di macchina da voto. L’Ungheria e la Romania vanno in questa direzione. I populisti austriaci vorrebbero fare lo stesso.

«L’immigrazione illegale non può diventare il principale oggetto del contendere in Europa. In questo clima gli imprenditori della paura hanno facilmente la meglio sui promotori della tolleranza e dell’apertura. Perciò lo ripeto ancora una volta: se l’Europa deve restare uno spazio di libertà deve ottenere il controllo sulle frontiere di tale spazio ed essere in grado di far rispettare le sue leggi. Altrimenti coloro che mettono in dubbio la tradizione di libertà dell’Europa prevarranno. E daranno origine a una nuova versione di democrazia autoritaria. Questa a mio avviso è la sfida principale per l’Unione europea».

I suoi rapporti con il premier ungherese Orbán sono più stretti di quelli che lui ha con Kaczyński. Quando era premier ha potuto avere una qualche influenza su di lui, arginare le sue tendenze autoritarie.

«Abbiamo giocato a calcio, una cosa che unisce anche se la visione politica è diversa. Su come si comporteranno i governi di Polonia e Ungheria saranno i polacchi e gli ungheresi a decidere e non certo io. A Orbán dico molto chiaramente cosa non condivido. Perlomeno è disposto al dialogo».

L’opinione pubblica conta ancora?

«In Polonia, in Ungheria, in Romania c’è una forte opinione pubblica. Anche se viene soffocata, tiene in pugno i democratici autoritari. Grazie a questo non tutto è perduto. Ricordate le mie parole: i leader attuali delle “nuove democrazie sovraniste” nella politica europea puntano ancora al centro e cercheranno di tornare indietro perché i veri radicali per molti dei loro elettori diventeranno più attraenti. La storia pullula di esempi di politici che avevano creduto nella loro missione di civilizzazione o controllo delle frange più estreme attraverso i loro slogan, idee e metodi. Sappiamo poi come è andata a finire».

Sorgente: “Accordi su migranti e frontiere Così possiamo fermare i sovranisti” – La Stampa

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