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Nessuno lo difende. Di Maio lo espelle immediatamente. Raggi: “Da noi non c’è spazio per corruzione”. E nel Movimento c’è chi ricorda Mafia Capitale

 

 

“Per noi è una botta pazzesca”. Le parole “arresto” e “tangenti” piombano sul Campidoglio come un fulmine a ciel sereno. Alle sette del mattino il presidente dell’Assemblea Marcello De Vito, il numero due di palazzo Senatorio, viene arrestato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche il nuovo stadio della Roma, accusato di essere “a disposizione del gruppo Parnasi”.

Nessuno tra i consiglieri e i parlamentari ci può credere. I cellulari impazziscono. Fin dall’alba la war room di Luigi Di Maio tiene un filo diretto con il Campidoglio. I contatti con il mondo esterno per qualche decina di minuti vengono interrotti. È la prima volta che il Movimento 5 Stelle fa i conti con una bomba giudiziaria di tale portata. Passano poche ore. Sono in corso le perquisizioni nell’abitazione di De Vito, nei sui uffici in Campidoglio, in quelli di Acea, Italpol e della SIlvano Toti Holding Spa.Tra i 5 stelle non si può che prendere atto che qualcosa di grosso, molto grosso stia succedendo. Ed ecco “la botta pazzesca”, così definita da un parlamentare di primo piano, talmente trafelato che dà come l’impressione di averla subita fisicamente. Nessuno lo nega. Primo lo shock, poi la reazione. Luigi Di Maio corre ai ripari: “Mi assumo io la responsabilità, De Vito è fuori dal Movimento”.

Una mossa, quella del capo politico M5s, che prova a stroncare sul nascere la vicenda affinché si trascini il meno possibile nel tempo. La speranza, ovviamente, è che non si allarghi e rimanga circoscritta al solo De Vito. Il vicepremier grillino agisce subito, comunicando la sua decisione ai probiviri quando ancora rimbombano le parole pronunciate solo ieri da una carrellata di esponenti M5s contro il segretario del Pd Nicola Zingaretti indagato per finanziamento illecito. “Abbiamo fatto una cagnara infinita per un’indagine. E adesso? Che cosa diciamo per uno di noi che viene arrestato?”, confida a taccuini chiusi un senatore pentastellato che porta su di sé tutto il carico di questa umiliazione subita dall’intero Movimento che in un attimo di vede ritorcere contro anni e anni di battaglie. “Tangenti? Così si torna a Mafia Capitale?”, è l’associazione di idee che fanno in molti. Il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra è il primo a metterci la faccia: “Non si può rimanere in silenzio. I fatti contestati a De Vito sono gravissimi”. Per questo Di Maio, con l’espulsione di De Vito, prova a mettere una pezza, dentro e fuori il Movimento. Anche perché dal Campidoglio sarebbe stato rassicurato: nessuno si aspetta che l’indagine si allarghi, la prima cittadina sarebbe totalmente estranea alla vicenda. “Per me Marcello De Vito è fuori dal M5S, potrà difendersi come vuole, ma lo deve fare a km di distanza dal M5S – ribadisce Di Maio – noi come forza politica non abbiamo mai pensato di cambiare l’anima delle persone ma sicuramente reagiamo in 30 secondi e sbattiamo fuori chi si macchia di questi atti e questa è la cosa che mi rende anche orgoglioso di stare nel Movimento. Questa persona è fuori, deve stare a km di distanza dal Movimento e mi sono preso la responsabilità io, senza neanche passare dai probiviri, di cancellarlo dal M5S per sempre”.

Virginia Raggi si chiude in ufficio con i suoi più stretti collaboratori. Prima il silenzio e la riflessione. Poi la telefonata con Di Maio. Il capo politico va come un treno, subito dopo il sindaco scrive: “Nessuno sconto. A Roma non c’è spazio per la corruzione”. Nessuno difende De Vito. Roberta Lombardi, il cui nome veniva soprattutto associato a De Vito in quanto suo fedelissimo, si dice “assolutamente sconvolta”. E chiede che venga fatta subito chiarezza.

Ma nel principale comune a 5 stelle i primi veleni scorrono già tra le fessure degli antichi marmi. “Come l’ha presa la sindaca? Non lo so, starà festeggiando”, dice tra i serio e il faceto un uomo che conosce bene i corridoi che guardano al Marco Aurelio. Perché nel 2016 la corsa alla fascia tricolore di De Vito fu bloccata da un dossieraggio interno, fatto dai suoi compagni di partito. Gli si contestava un eccesso di disinvoltura, fino a spingersi a segnalare un reato negli anni di opposizione in comune. L’esposto che ne seguì finì in un’archiviazione. Una storiaccia mai chiarita fino in fondo, che gli costò qualunque tipo di chance di correre come sindaco e spalancò le porte alla Raggi. Ferita in qualche modo sanata nel corso degli anni, ma che ha lasciato cicatrici su cui oggi si versa del sale. Perché in fondo De Vito non si è mai scrollato di dosso l’etichetta di lombardiano. E tra la capogruppo in regione Lazio e il sindaco, si sa, non è mai corso buon sangue.

E il caos interno potrebbe essere alimentato man mano che si chiariranno meglio i contorni dell’inchiesta, ancora tutti da definire. Insieme al presidente dell’assemblea capitolina finisce in carcere anche Camillo Mezzocapo. Un avvocato vicino al presidente dell’Assemblea capitolina: molti dicono di non averlo visto mai visto nelle stanze del Campidoglio, tanti dicono di sapere perfettamente di chi si stia parlando. C’è chi lo descrive come una persona che “si muoveva in modo molto disinvolto, talvolta spregiudicato. Hai presente Lanzalone no? Ecco…”. È lui che in una telefonata del 4 febbraio scorso ha detto a De Vito: “Questa congiunzione astrale … è tipo l’allineamento della cometa di Halley, hai capito? Cioè è difficile secondo me che si riverifichi così …. e allora noi, Marcè, dobbiamo sfruttarla sta cosa, secondo me, cioè guarda…ci rimangono due anni”. Sfruttare quindi il Movimento 5 Stelle al governo, parole, una volta lette, che mandano Di Maio su tutte le furie: “E’ vergognoso quanto emerge, non lo possiamo accettare”.

Questa intercettazione tra Camillo Mezzacapo e Marcello De Vito sarebbe la dimostrazione del “valore commerciale” che l’incarico pubblico di De Vito “ha assunto in relazione – scrive il gip Maria Paola Tomaselli – alle responsabilità di governo che il M5S ha sia a livello comunale che nazionale”. Mezzacapo, secondo gli investigatori, è l’avvocato che percepisce le tangenti, che poi spartisce con De Vito, sotto forma di consulenze fittizzie da parte degli imprenditori. Mentre De Vito in Campidoglio si adopera per sbloccare gli iter amministrativi.

Questo è il cuore dell’inchiesta. Secondo la gip, Marcello De Vito avrebbe messo “a disposizione la sua pubblica funzione di Presidente del Consiglio comunale di Roma Capitale per assecondare, violando i principi di imparzialità e correttezza, interessi di natura privatistica facenti capo al gruppo Parnasi”.Gli aiuti all’imprenditore Luca Parnasi, che secondo le accuse si sarebbe poi ‘sdebitato’ con delle consulenze, erano legati in particolare al progetto relativo alla realizzazione del Nuovo Stadio della Roma e all’intervento urbanistico da eseguirsi presso i terreni dell’ex Fiera di Roma. Nella stessa conversazione viene spiegato che il prezzo delle corruzioni viene custodito per poi essere diviso. Quindi De Vito dice: “Va beh ma diatribuiamoceli questi”. E Mezzacapo risponde: “Ma adesso non mi far toccare niente, lasciali lì. Quando tu finisci il mandato, se vuoi non ci mettiamo altro sopra”.

Non solo. De Vito e Mezzacapo sono indagati anche per traffico di influenze illecite per la riqualificazione degli ex mercati generali di Ostiense, si parla di 110mila euro in cambio per il via libera, e per il rilascio del permesso di costruire un edificio in viale Trastevere. Fatti che avvalorano ancora di più la decisione di Di Maio dal momento che l’indagine non riguarda solo lo Stadio, attorno a cui ruotano inchieste e pressioni, ma interessi che coinvolgono singole vicende di cui con ogni probabilità si occupava De Vito per facilitare le pratiche in cambio di denaro. E così M5S si scopre vulnerabile come non mai.

Sorgente: “Una botta pazzesca”. Il mondo pentastellato sconvolto dall’arresto di De Vito | L’Huffington Post

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