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di Ugo Tramballi

A voler pensar male, e dando peso ai concreti sospetti dell’Fbi, la decisione di Donald Trump di ritirarsi dal trattato sull’eliminazione degli Euromissili, sembra un altro regalo a Vladimir Putin. Poiché uno dei due firmatari del trattato si ritira unilateralmente, l’altro, la Russia, sarà libero di dispiegare i suoi missili di raggio intermedio nel continente europeo.

Come ai bei tempi della Guerra Fredda.

È un regalo inaspettato. Mosca è storicamente più debole di Washington riguardo alle forze convenzionali in Europa: il gap si sta riducendo ma occorre ancora del tempo e le difficoltà economiche del Paese rendono difficile l’obiettivo. La potenza della Russia, il suo unico vantaggio competitivo globale, la sola ragione per potersi dichiarare superpotenza, è invece il suo arsenale nucleare: i missili a medio raggio che caricano testate atomiche, ne fanno parte.

Ma la questione è più complessa di un ipotetico “semplice” tradimento del presidente degli Stati Uniti. L’accordo fu firmato nel 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov. Nel vertice di Reykjavik dell’anno precedente, i due leader erano arrivati a un passo da una miracolosa eliminazione delle armi atomiche. Ma in Islanda nacque comunque quella fiducia reciproca necessaria per arrivare pochi mesi dopo al trattato INF, l’Intermediate-range Nuclear Forces Treaty. Gli Euromissili che negli anni Ottanta avevano causato l’ultimo pericoloso rigurgito di Guerra fredda, scomparivano dal suo naturale campo di battaglia: il vecchio continente.

Inaspettata come ogni decisione, lo scorso dicembre Donald Trump aveva ordinato l’uscita degli Stati Uniti dal trattato. La ragione era che la Russia lo aveva già violato, dispiegando il sistema missilistico 9M729. Ma anche gli americani non erano del tutto innocenti, dispiegando i suoi sistemi anti-missile in Polonia e nelle repubbliche baltiche. Vanificare la minaccia missilistica dell’avversario co in sistema antimissilistico, viola il fondamento dell’equilibrio nucleare Usa-Urss/Russia dalla sua nascita: la mutua distruzione assicurata, cioè l’equilibrio del terrore.

A dicembre Trump aveva annunciato che gli Stati Uniti sarebbero usciti dal trattato INF il 2 febbraio. Quindi sarebbero passati altri sei mesi prima dell’applicazione definitiva. Questo significa che il tempo per riaprire un negoziato, c’è. Il problema sono i due leader. Nella sua ambizione di consolidare l’imperialismo russo che fu degli zar e poi di Stalin, Krushev e Breznev, Vadimir Putin potrebbe avere l’interesse di tenere sotto la minaccia del suo arsenale un’Europa che non è più nella sua sfera d’influenza come ai tempi dell’Unione Sovietica. Donald Trump al contrario, non ragiona da statista ma da uomo d’affari: tratta le minacce che possono destabilizzare il mondo come stesse negoziando l’acquisto di una proprietà milionaria da edificare. Ha minacciato un intervento militare – l’equivalente civile di alzare esageratamente il prezzo – contro la Corea del Nord e i suoi missili nucleari; ha imposto pesanti tariffe alla Cina per spingerla alla trattativa sugli scambi commerciali; ha portato l’ambasciata americana a Gerusalemme; ha annunciato il ritiro dalla Siria e probabilmente dall’Afghanistan, senza valutare le possibili conseguenze; è uscito dal trattato sul nucleare iraniano indispettendo più gli alleati che i nemici.

In una trattativa commerciale il partner insoddisfatto si alza e se ne va; in quelle fra gli Stati su questioni fondamentali come sicurezza, pace e Pil, chi si sente defraudato schiaccia un bottone e apre i silos dei suoi missili.

Sorgente: Missili nucleari, la scelta di Trump un regalo inaspettato a Putin – Il Sole 24 ORE

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