0 6 minuti 5 anni

La zona Sar fantasma: nonostante i fondi concessi dalla Ue e le navi fornite dall’Italia, chi è in difficoltà al largo delle coste viene lasciato solo

DI MARCO MENSURATI E FABIO TONACCI

ROMA  – Trecentotrentotto milioni di euro, centoventi morti annegati. In queste due cifre c’è tutto il fallimento della strategia europea sui flussi migratori dalla Libia. Una strategia che, a ben vedere, si riduce a poca cosa: alla finzione, costosissima e pericolosa, che Tripoli sia in grado di tutelare i diritti di chi è in fuga, e di provvedere autonomamente alla sicurezza delle proprie coste e delle proprie acque. Che abbia, cioè, la capacità di governare una “zona Sar” (Search and Rescue). Una farsa internazionale che fa comodo a tutti, in primo luogo all’Europa, che infatti la finanzia a suon di milioni. Ma che oggi, per una motovedetta in avaria e un telefono che squilla a vuoto, si mostra per quello che è: un sistema che non ha funzionato, non funziona e non può funzionare.

La motovedetta in avaria

Dunque, torniamo ancora una volta laggiù, in mezzo a quel pezzo di Mediterraneo senza patria. Il naufragio del gommone che trasporta – secondo i tre superstiti – 120 migranti, avviene nella tarda mattinata del 18 gennaio a 45 miglia nautiche da Tripoli, in piena Sar libica. Che un gommone è in difficoltà si sa già alle 13.15. È allora che l’aereo Moonbird della ong Sea Watch intercetta una comunicazione tra il P72 dell’Aeronautica italiana, in volo sulla zona, e la sala operativa della Guardia costiera a Roma. “Abbiamo immediatamente verificato che la Guardia costiera libica fosse a conoscenza dell’evento, assicurando alla stessa massima collaborazione”, spiegano da Roma. La nave della Sea Watch si trova a circa dieci ore di navigazione, vuole intervenire. “Alla Sea Watch – prosegue la nota degli italiani – è stato comunicato che la loro disponibilità sarebbe stata offerta ai libici, quale autorità coordinatrice dell’evento”.

Sono le 13.15, il mare è calmo. Da Tripoli una motovedetta veloce, di quelle comunemente in dotazione alle capitanerie, ci impiegherebbe poco più di un’ora ad arrivare sul posto. Ma non si vede nessuno. I naufraghi vanno a fondo uno a alla volta, senza più la forza di aggrapparsi a quel che resta del relitto. Alle 18.42 la Sea Watch informa con un tweet che al Centro di coordinamento soccorsi di Tripoli, dopo molti tentativi di chiamata, hanno risposto. “Ma nessuno parla inglese, francese, italiano e neanche arabo…”. Nei successivi tentativi, il telefono squilla a vuoto. Solo quando ormai è notte si vedono avvicinare le luci di un elicottero della Marina italiana, che salva gli unici tre superstiti. E i libici? Secondo quanto ricostruito dall’Ansa, da Tripoli avevano mandato una motovedetta, ma ha avuto un’avaria ed è rientrata.

I milioni dell’Ue

A Bruxelles, se avessero voglia di guardare ciò che è sotto gli occhi di tutti, dovrebbero farsi più di una domanda. A chi stiamo dando i soldi in Libia? Come li spendono? Ebbene dal 2014 ad oggi l’Unione Europea ha riversato nell’abisso dello Stato africano fallito qualcosa come 338 milioni di euro per la gestione dei flussi migratori e la lotta ai trafficanti di uomini. Di questi, 91,3 milioni sono stati investiti nella Sar libica, nel pattugliamento dei confini, nell’addestramento e rafforzamento della Guardia costiera: nel 2017 la prima tranche da 46,3 milioni per la costruzione di un vero Mrcc, un Centro marittimo di coordinamento dei soccorsi (sarà pronto solo nel 2020, adesso ce n’è solo uno provvisorio in una sala dell’aeroporto di Tripoli); la seconda, da 45 milioni, erogata nel dicembre scorso. Sono soldi del Trust Fund for Africa, a cui nel tempo si sono aggiunti 20 milioni versati direttamente dagli stati membri.

Le navi italiane

Nel febbraio del 2017 l’allora premier Gentiloni firmò un memorandum con il governo di al-Sarraj con cui ci siamo impegnati a donare 10 motovedette e addestrare un centinaio di ufficiali. Ne abbiamo consegnate solo 4: sono quelle dismesse della Guardia di Finanza, riadattate per il soccorso. Come racconta anche l’ultima strage, si rompono spesso e hanno bisogno di manutenzione costante. “Non sono adatte a fare i salvataggi, è solo propaganda”, si sono lamentanti anche di recente i libici. Nel luglio scorso, su spinta del ministro dell’interno Matteo Salvini, l’ulteriore donazione di due pattugliatori della classe “corrubia” (il Fezzan e l’Ubari) più 12 gommoni classe 500.

L’appalto di Capodanno

Per alimentare la finzione della sar libica servono altri soldi, altri investimenti. Ed allora ecco che il Governo italiano il 31 dicembre 2018, a poche ore dal capodanno, protocolla una gara d’appalto da circa 9,3 milioni di euro (fondi Ue) per la fornitura di 20 gommoni super veloci (14 dei quali da 12 metri, 6 da 9 metri) con motori da 300 e 250 hp. La ditta che vincerà l’appalto dovrà anche occuparsi di fornire 30 ore di addestramento di almeno quattro operatori. Negli ambienti navali italiani, l’esito del bando è dato per scontato: dal 2017 a oggi, tutte le commesse per Tripoli hanno sempre visto un solo vincitore. Un’azienda veneta, il “Cantiere Navale Vittoria”.

LEGGI – Lodesani, Msf: “Stragi in mare perché ci bloccano”

Sorgente: La farsa dei soccorsi affidati ai libici: 338 milioni per un telefono che non squilla | Rep

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20