0 8 minuti 5 anni

L’unanimismo Pd verso la lista Calenda si spiega da sé. È una sottrazione di responsabilità dei democratici. Nel momento più basso, in cui non c’è un leader, langue la proposta politica, la corsa delle primarie come ha scritto (Il cuore spento del Pd), su la Repubblica, Piero Ignazi non appassiona, quale miglior soluzione di un bel listone unico per le europee?

Un melange tutti dentro che sa tanto di Arca di Noè, tanti ‘trombati’, anche, fuori dalla politica da un po’, o che avevano promesso di andarsene, altri, leader promettenti, per ora solo promettenti, che puntellano il listone di Calenda. Vorrei chiedere all’ex ministro dell’Industria: e se volesse aderire pure il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, che lei ha ritenuto più volte, ultroneo al Pd, che fa? Dentro pure lui sulla tolda di comando?

Suvvia, stupisce che una persona accorta, determinata e con un chiaro progetto culturale in testa, Calenda, appunto, si sfoghi con questa uscita della lista unica contro i populismi, per l’Europa. Praticamente le elezioni europee, con il sistema proporzionale puro, sono una conta tra partiti e, Calenda, chiede di fare un minestrone, oggettivamente, nel nome di Juncker, oppure nel nome di questa Europa, che non va bene nemmeno al più conservatore dei conservatori popolari.

Il modo migliore per andarsi a schiantare. Agli occhi della gente, pure coloro che sono lì lì, sospesi, incerti, oppure che sono già di là, con i grillini, si chiede di aderire a una riedizione, stile gioiosa macchina da guerra di Occhetto, con la lista dei progressisti nel 1994, un pastrocchio in termini, quello stare insieme chiesto da Calenda che esprime l’impossibilità di realizzare, in pratica, alcunché, per contrastare il nemico sovranista.

Siamo a un bivio come nel 1948. Ha detto il patron del listone. Una manifesta volontà di mistificare il momento senza vedere e sapere che gli italiani su questi aspetti pedagogici sono sgamati da tempo.

Intanto il sovranismo non c’è. Un rischio pericoloso di populismo nemmeno. Di realizzato ora c’è esclusivamente la politica della commissione europea che ha fatto molti danni. Evidenti. Per sua ammissione. Ne sono una testimonianza le parole di Juncker, che nei giorni scorsi ha detto che nei confronti della Grecia, ritornasse indietro, sarebbe stato più cauto, meno intransigente, prestando attenzione ai problemi della gente.

Difficile abbracciare un manifesto come quello di Calenda dopo una ammissione del genere. Tanto è vero che Enrico Letta, in stanza a Parigi, ha ben messo sull’altolà, durante una intervista, sui rischi che si corre a impostare una campagna elettorale in difesa dell’Europa che c’è. È come dire siamo con Macron, en marche.

L’ha già detto qualcuno? Sì, Renzi. La solita sinistra che non capisce le lezioni. Più prende pacche e più continua a rimestare le assurde e melense infornate ideologiche. Un po’ come leggere le e.news dell’ex premier di Pontassieve, quando insiste nella difesa della fattura elettronica (ha già detto evviva il canone Rai in bolletta, quando è da ricordargli che alla Leopolda, lustri fa, proponeva di togliere l’abbonamento alla tv), un mostro burocratico assurdo, in uso solo in Italia, che catapulta fastidi, intralci, costi sui contribuenti per recuperare, si presume, due miliardi di euro.

Ma è, questa, una strategica politica fiscale di sinistra (perché è vero che Salvini-Di Maio la fattura elettronica non l’hanno tolta, quando potevano farlo, ma la genialata telematica ha il marchio renziano, al cento per cento), quella di gravare sulle partite Iva, che in termini di scadenze giornaliere sono ossessionati, invece di lasciarle in pace al lavoro, a produrre per alzare il Pil del Paese.

Tant’è, abbiamo assistito al format della sinistra tradizionale, che produce programmi macchinosi, burocratici, incomprensibili. Con, al primo punto, il solito e stantio refrain del ‘pericolo’ per la democrazia. Quasi che con questi escamotage si riesca sbarcare il lunario.

È inevitabile che la proposta di Calenda chieda conto, quasi esclusivamente, alle mosse del Pd. Che vuol dire, Gentiloni, Martina e Zingaretti, correre ad aderire al listone unico di ‘salvezza nazionale’? Serve per salvare il salvabile, attutire il trauma elettorale, e rimandare ancora in avanti i problemi del Pd?

A meno che si dica che Calenda è il prossimo leader del Pd, che forse potrà scaturire dalla prossima assemblea del Partito, convocata perché nessuno dei candidati alle primarie supera il 50% più uno. Se fosse così, ci sarebbe qualche ragione.

Ma visto che dubitiamo fortemente vi sia una resa, facile, dei tanti protagonisti del Pd, basta leggere in queste ore i contrasti per le cifre dei voti nelle sezioni per i candidati segretari, allora si ripone, drammaticamente, una riflessione sulle sue sorti, sull’inadeguatezza dei suoi leader, sulla proposta politica, sulle cose da fare, addirittura sui motivi della sua sopravvivenza, sul suo continuare a esistere.

Ed è malinconico assistere a un progressivo desio di quel partito, proprio quando i dati ci dicono quanto lo zoccolo duro e il suo radicamento, di partito nazionale, rimangano apprezzabili. E vuol dire molto quando si tratta di darsi da fare a risalire la china.

Le cifre di questi giorni del 2 per mille segnalano al Pd, su 14 milioni di euro, una donazione, dalle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti, di 7 milioni di euro. La metà esatta della torta. Al secondo posto, a grande distanza, c’è la Lega.

Se l’occhio vuole la sua parte anche per i bilanci, che dicono molto di più delle piazze piene o delle tessere, si tratta di capire se c’è la volontà di avere a cuore le sorti del Pd e del centrosinistra (e in minima parte il risultato delle suppletive di Cagliari danno conforto, seppur la scarsa partecipazione, pure quella un sintomo che gli altri partiti, da Forza Italia ai 5 Stelle, non se la passano granché bene e l’aiuto dei leader nazionali scesi in campagna elettorale non hanno determinato alcun valore aggiunto).

Dai linguaggi, alle idee, che non possono assolutamente avere odore di incenso o perdersi in calderoni primordiali, dal sapore ulivista, per ritrovare il Bertinotti di turno, o teorici del tutto e del suo contrario.

È così vero che ancora prima di prendere forma il listone Calenda, già, ci sono i tuoni di primedonne che pur aderendo si sentono il dovere di dettare la loro visione: una anteprima di quello che sarebbe un patchwork indistinto, comunque così evidente da essere stato messo in piedi per l’occasione delle elezioni europee, per alcuni utile a nascondersi, per altri utile trampolino di lancio per il futuro, per altri ancora un centrosinistra di cui non si sente la mancanza.

Sorgente: Il listone di Calenda è un’ammucchiata, a meno che… | L’Huffington Post

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20