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Eric Salerno

Donald Trump e gli apprezzamenti per Adolf Hitler: «Ha fatto cose buone». Secondo il generale John Kelly, ex capo di gabinetto di Trump, «Lo considerava un tipo tosto, per questo lo ammirava». L’ex presidente ha sostenuto di non aver mai letto il ‘Mein Kampf’, salvo poi ribadire in tutti i comizi, anche negli ultimi, la famigerata frase «i migranti avvelenano il sangue degli Stati Uniti». Mentre lui cerca di avvelenare il mondo.
Lungo prologo americano, sapendo che Netanyahu conta sulla possibile vittoria di Trump per non finire la guerra e non finire in galera. La tragedia palestinese pensata con ferocia. Un peso enorme per Israele, il suo popolo e la storia di tutto l’ebraismo nel mondo.
Come ci spiega raccontando di sé stesso, Eric Salerno, giornalista e non soltanto, nell’Israele che fu, dove certi personaggi attualmente al governo, se mai nati, sarebbero stati emarginati immediatamente e rigorosamente escluso. Memorie personali: 50 anni fa, ‘visita guidata’

Hitler e Mussolini non letti da Trump

«Hitler, Mussolini – due assassini – non avrebbero avuto dubbi: potevi finire anche tu nelle camere a gas. E se dovesse arrivare un altro come loro…». L’uomo del Mossad era di quelli vecchio stampo. Duro, secco, non sapeva scherzare e quasi venti anni da quell’incontro era ancora lo stesso, ex paracadutista che mi venne a prendere agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso nel mio albergo a Gerusalemme «per farmi vedere e apprezzare, disse, il suo paese». Per anni avevo girato Africa e mondo arabo. Ero già stato in Israele. Varie volte avevo raccontato per il mio giornale quello che vedevo e che mi sembrava di capire del paese e del conflitto con i palestinesi. Questa doveva essere una specie di lezione di parte.

Cognomi di città in Italia, tutti ebrei?

La mia guida pensava che Salerno fosse un cognome ebraico. Gli dovetti spiegare che la regola dei nomi di città uguale origini ebraiche riguardava soltanto una parte di popolazione italiana. Mio padre veniva da una famiglia cattolica calabrese. Nei forni hitleriani, ammisi, però, avrei potuto finire se invece di nascere a New York fossi nato nell’Italia di Mussolini: mamma, infatti, era un’ebrea russa. Il mio fascicolo nell’ambasciata israeliana a Roma, gli spiegai, andava corretto.

La Gerusalemme divisa di allora

Prima di partire, quelli dell’ufficio stampa mi avevano chiesto di prenotare una struttura moderna nel cuore di Gerusalemme Ovest, la parte ebraica anche se la maggioranza dei giornalisti italiani frequentavano l’American Colony, a Gerusalemme Est. Le due parti divise della città santa, allora, erano ancora molto divise. «Un covo di palestinesi, uomini di Arafat», mi fu spiegato. E così arrivai un venerdì sera in albergo e fui bloccato nell’atrio da un portiere in livrea che gridava «shabbat, shabbat, il sigaro, no, no!». Dalle mie labbra pendeva un toscano ma anche se era spento poteva dare fastidio, spiegò, mentre mi accompagnava all’ascensore che impiegò una decina di minuti per salire all’ultimo piano. Avrebbe impiegato lo stesso tempo, più a meno per scendere.

L’ascensore dello shabbat

L’ascensore, ogni sabato, andava su e giù in automatico per rispettare la regola che impedisce agli ebrei religiosi di azionare meccanismi – come accedere la luce o il fuoco – dal tramonto del venerdì all’apparizione della prima stella del giorno successivo. Poco più tardi avrei scoperto che per mangiare qualcosa di caldo dovevo attraversare la città e andare nella zona palestinese. La domenica mattina saremo andati a nord, attraverso i territori occupati, passando alla periferia di Ramallah e non distante dall’insediamento dove qualche anno prima avevo intervistato il portavoce della colonia per sentirmi dire che «noi ebrei abbiamo già rinunciato a molte delle nostre terre… vedi Damasco, vedi Bagdad, vedi…».

Al confine col Libano

Fu quando ci stavamo avvicinando al confine con il Libano che il mio cicerone si fermò ai margini della strada e con un gesto teatrale tirò fuori da sotto il sedile la sua pistola, mise un colpo in canna, e disse che «ogni tanto gli uomini di Arafat attaccavano le vetture di passaggio». Un giorno, disse alla fine del mio tour esclusivo, ci sarà pace. Allora in Cisgiordania gli insediamenti erano pochi e abitati in gran parte da americani messianici con doppio passaporto. Oggi sono tanti, vere città, con una popolazione di oltre mezzo milione di israeliani trascinati dalla fede o dal costo relativamente basso degli alloggi.

Tanti anni dopo… a rimpiangere Sharon

Tanti anni dopo quella lezione, la mia guida era salito di rango e mi spiegava che Ariel Sharon, generale cattivo, responsabile della strage di Sabra e Chatilla in Libano, divenuto primo ministro, aveva deciso di chiudere le colonie israeliane nella striscia di Gaza e di ritirare tutte le truppe d’occupazione.

«È solo un primo passo» fece capire Sharon, uomo di destra che guidava Israele. Poco dopo un ictus bloccò lui e il suo progetto di chiudere due insediamenti in Cisgiordania e di trovare il modo – due stati per due popoli – per far convivere in pace israeliani e palestinesi.
Difesa ed Esteri italiani e la crisi medio orientale

A dicembre oltre un milione in armamenti italiani verso Tel Aviv

La Farnesina promette imprecisati ‘corridoi marittimi’ per gli aiuti a Gaza ma poi congela tutti i fondi destinati alla Palestina. L’aiuto vero italiano va a Israele: un altro milione di euro in armi a dicembre, 15 milioni in tre mesi. L’inchiesta di Altreconomia ha aggiornato ieri i dati Istat riferiti alle esportazioni di armamenti italiani verso Tel Aviv. Dati che parlano di un commercio militare florido tra il nostro paese e lo stato ebraico, nonostante il massacro a Gaza prosegua senza tregua e nonostante gli appelli della società civile per il cessate il fuoco, denuncia Alba Nabulsi sul Manifesto. Oltre un milione di fatturato soltanto nel mese di dicembre. Armi ad uso e consumo dei coloni in Cisgiordania, ma anche forniture di armamenti pesanti. L’analisi di Opal e di Rete Pace e Disarmo, afferma come nella categoria merceologica «Aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi», tra ottobre e dicembre 2023, sono stati esportati verso Israele materiali del valore complessivo di 14.800.221 euro.

 

Sorgente: Trump apprezza Hitler, Netanyahu ama Trump: Israele ‘come eravamo’ –

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