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di Marco Cremonesi

Bocciato l’emendamento sul terzo mandato per i governatori di Regione. Il governo ha poi chiesto alla Lega di ritirare un altro emendamento con il quale si propone di cancellare il ballottaggio per i comuni al di sopra dei 15 mila abitanti

E la Lega si ritrovò da sola. Se lo aspettava, è vero. Anche se forse, si è scoperta un po’ più isolata di quel che pensava. Ieri sera il Senato ha bocciato l’emendamento leghista (al decreto Elezioni) sul terzo mandato per i presidenti di Regione con 112 voti contrari, 26 favorevoli (Lega e Italia viva) e 3 astenuti della Svp. Ma a pochi minuti dall’inizio della seduta a Palazzo Madama, oplà, ecco la sorpresa: la Lega presenta un altro emendamento per escludere i ballottaggi nei grandi Comuni (al di sopra dei 15 mila abitanti) qualora un candidato raggiunga il 40% dei voti. Le opposizioni si indignano. In serata, su richiesta esplicita del relatore del decreto, Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, la Lega trasforma l’emendamento in ordine del giorno. Meno impegnativo e soprattutto dal punto di vista formale meno impervio. L’odg viene approvato dall’Aula, ma senza il voto delle opposizioni.

La Lega ha a lungo meditato se tenere l’emendamento in campo anche ieri. Per il partito la norma sarebbe indispensabile per blindare il Veneto per Luca Zaia. Con l’utilità marginale di togliere carburante al fronte interno «nordista». Fatto sta che alla vigilia del voto, martedì sera, la decisione: il terzo mandato, dice il capogruppo Massimiliano Romeo, «significa dar voce alla volontà dei cittadini». Ma così, la spaccatura della maggioranza si consuma nella massima sede. Il governo non dà parere negativo e si rimette all’Aula, cosa che la Lega apprezza, con il leghista Paolo Tosato che in ogni caso ribadisce: «Teniamo la nostra posizione e per noi il dibattito non si chiude in questa occasione».

Ma a tenere banco è l’imprevista mossa sui ballottaggi. La segretaria Pd Elly Schlein è netta, parla di «un blitz a tre mesi dal voto, uno sfregio alle più basilari regole democratiche». Ancora più duro il capogruppo dem Francesco Boccia: «Questo emendamento è un’aberrazione, una provocazione, un colpo di mano inaccettabile contro leggi che hanno dimostrato di funzionare bene». Ed è intollerabile «che la Lega, per regolare conti interni alla maggioranza, giochi sulle regole della nostra democrazia». Insomma, «il decreto è diventato un golpe, ci opporremo».

Lo stresso relatore Balboni dice di essere d’accordo «nel merito: non credo sia un attentato alla Costituzione, spiace che alcuni colleghi l’abbiano definito vergognoso». Ma «un discorso diverso è quello sull’opportunità: un intervento così rilevante avrebbe bisogno di maggior approfondimento». Di qui la richiesta di ritiro. La Lega accoglie. E Romeo avvisa: «La prossima volta l’emendamento lo terremo fino alla fine». Del resto, il capogruppo azzurro Maurizio Gasparri dice che «è una questione sulla quale discuteremo ancora e sono certo che questa modifica sarà approvata». Mentre il leader di Noi moderati Maurizio Lupi parla di «tempesta in un bicchiere d’acqua».

In serata l’Aula dà il primo sì al decreto, che istituisce l’election day (8-9 giugno), modifica il tetto dei mandati per i sindaci di Comuni fino a 15 mila abitanti e permette il voto agli studenti fuori sede.

Sorgente: Terzo mandato, bocciato l’emendamento della Lega. E il governo chiede il ritiro di quello sulla cancellazione dei ballottaggi

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