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Le munizioni per cannone sono diventate uno degli oggetti più richiesti dal mercato internazionale. E con l’inizio dell’offensiva a Gaza una nuova da 155 millimetri può arrivare a costare fino a 8mila euro l’una

di Gianluca Di Feo

Un gran bazar mondiale, popolato da mercanti scaltri che offrono prodotti di dubbia qualità e pretendono prezzi altissimi. Sanno che oggi ci sono poche alternative per trovare l’oggetto più richiesto del pianeta: le munizioni per cannone. Il costo dei proiettili da 155 millimetri ormai è decollato rispetto al 2022 e potrebbe salire ancora: adesso è ricercato pure dagli israeliani. Prima dell’attacco a Kiev quelli nuovi venivano circa 1200 euro l’uno; l’anno successivo la tariffa è arrivata a 3.300 euro e dopo l’inizio dell’offensiva a Gaza è schizzata a 8000 euro.

 

 

Fame di colpi

L’Ucraina ne ha un bisogno disperato. Ma gli Stati Uniti non le forniscono più, perché l’opposizione repubblicana ha bloccato gli aiuti. Così è nata una caccia al tesoro senza confini, che mescola alleanze nell’ombra, tradimenti e triangolazioni spregiudicate: tutto pur di procacciarsi proiettili per garantire la resistenza delle fragili linee ucraine. I Paesi della Nato da tempo hanno esaurito le scorte della Guerra Fredda: si è cominciato persino a resuscitare i colpi scaduti, riempendo i bossoli vintage prelevati dai depositi con nuovo esplosivo.

E l’Unione europea non riesce a mantenere l’impegno solenne di consegnarne un milione entro l’anno: al massimo ne manderà 400 mila. Le fabbriche del continente sono poche e lente, con un ritmo che non è cresciuto neppure dopo il finanziamento da mezzo miliardo messo sul tavolo da Bruxelles per potenziare gli impianti.

 

 

Il ministro degli Esteri di Kiev Kuleba è stato chiaro: c’è bisogno di almeno 7 mila colpi al giorno, con un fabbisogno per il 2024 pari a due milioni e mezzo. Attualmente gli ucraini ne sparano duemila ogni 24 ore, mentre il volume di fuoco russo è cinque volte superiore: un tiro di sbarramento che apre la strada all’avanzata di Mosca.

La lista di Praga

Che fare? Il comandante dell’esercito olandese, Onno Eichelsheim, è stato chiaro: «Dobbiamo darci un mossa. Consegnarne di più e più rapidamente». Due settimane fa il governo di Praga ha preso l’iniziativa: ha fatto una ricognizione di mercato e individuato giacimenti sparsi per il globo dove reperire tra 7 e 800 mila colpi. I cechi sono rimasti protagonisti dell’industria bellica pesante, una tradizione che risale all’impero austro-ungarico e non si è interrotta neppure in epoca comunista: l’invasione dell’Ucraina si è trasformata in un’opportunità per le sue aziende private, che restaurano mezzi d’ogni tipo e adeguano gli armamenti agli standard della Nato per poi girarli all’esercito di Kiev.

 

 

D’altronde le truppe ucraine hanno una doppia dotazione: hanno cominciato il conflitto con arsenali di matrice sovietica e ora ricevono dagli alleati equipaggiamenti occidentali. E il premier ceco Petr Pavel ha dichiarato che il “paniere” localizzato da loro comprende mezzo milione di proiettili da 155 millimetri, il calibro Nato, e 200 mila da 122 millimetri, quello sovietico. Il costo complessivo però sarà di un miliardo e mezzo di euro.

La colletta internazionale

L’elenco di Praga è diventata l’extrema ratio per la sopravvivenza dell’Ucraina. Il meccanismo varato al volo è in apparenza semplice: i partner di Kiev ci mettono i soldi e i cechi provvedono all’acquisto. Nel giro di pochi giorni tante cancellerie hanno deciso di aprire il portafoglio: Olanda, Canada, Danimarca, Lituania, Gran Bretagna, Belgio, Francia, Germania.

I Paesi sottoscrittori scelgono come in una lista di nozze quali munizioni finanziare: belgi e olandesi hanno stanziato 300 milioni, i tedeschi hanno parlato di “un numero di milioni a tre cifre”. In Italia della questione non si è parlato, ma la linea del governo Meloni è di donare solo armi difensive.

Mercato nell’ombra

Le transazioni però vengono tutte condotte nell’ombra, con un segreto ferreo per evitare che i russi compiano azioni di disturbo. Molti dei venditori più corteggiati infatti restano legati a Mosca: è il caso dell’India, tra i pochi a realizzare i ricercatissimi 155 millimetri. Pure Berlino avrebbe avviato contatti discreti con le autorità di New Dheli per convincerle ad aprire gli arsenali. Il Pakistan invece non ha mai avuto relazioni russe e sta cedendo blocchi della sua santabarbara, prodotta da aziende appartenenti all’esercito.

 

 

Un ponte aereo britannico li trasferisce in Polonia ma i soldati ucraini non amano queste munizioni, perché spesso sono difettose. Ambigua la posizione del Sudafrica: un anno fa gli Stati Uniti l’hanno accusata di spedire materiali bellici ai russi, con una sonora smentita. Adesso sembra che la filiale locale della Rheinmetall tedesca possa fabbricarne su ordine di Berlino, che poi si farebbe carico di darle a Kiev.

La Corea del Sud ha le riserve più grandi del mondo, ma le considera strategiche per difendersi dal Nord e pare resistere alle proposte sollecitate anche da Washington.

Silenzio sul ruolo di Singapore, che ha sicuramente dato a Kiev apparati anti-tank. Non ci sono notizie neppure sulla Turchia, che dopo un’iniziale neutralità ha venduto agli ucraini droni Bayraktar e veicoli blindati.

Grandi attenzioni sono rivolte all’Egitto, altro Paese con una robusta industria bellica che confeziona calibri sovietici e Nato, che però non vuole indispettire Putin. Negli scorsi mesi sono circolati rumors su contratti con ditte private americane, che rivendevano a Kiev: il Cairo ha sempre negato.

Gli Stati Uniti mantengono un flusso di rifornimenti attraverso un fondo speciale da mezzo miliardo: non possono attingere dalle catene di montaggio in Texas e Pennsylvania, che ora sfornano 36 mila colpi al mese, ma si sono affidati a società che fanno incetta in Europa – ad esempio rivolgendosi a broker romeni e bulgari – e altrove. La caccia è sistematica e minuziosa: dal Marocco all’Argentina, dal Sudan all’Ecuador, dal Bangladesh alle Filippine. Avrebbero persino sondato la disponibilità dei talebani a vendere le scorte dell’esercito afghano.

Qualsiasi cosa è buona, pur di far funzionare cannoni e mortai: gli americani hanno trasferito a Kiev pure le munizioni iraniane sequestrate sulle navi destinate alle milizie jihadiste del Medio Oriente.

Sorgente: Prezzi alle stelle e dubbi intermediari. Ecco come funziona il gran bazar mondiale dei proiettili per sostenere Kiev – la Repubblica


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