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Massacri e fame, come e peggio che a Gaza, ma lì è Africa, il pensiero comune. Oltre al po’ di razzismo nascosto in molti di noi, lì oggettivamente manca il ‘bianco evoluto e democratico’, a compire la feroce vendetta. E le minacce dirette alle nostre sicurezze occidentali. Ma restiamo in Africa. I giornalisti della Bbc sono entrati a Omdurman, nella capitale Khartum, sottratta dall’esercito ai paramilitari dell’Rsf: distruzione, saccheggi, tombe improvvisate. E racconti di stupri, ci svela Avvenire, per vocazione più attento alla sorte degli ultimi.

Guerre da fondo pagina, quasi un trafiletto

«Ci sono guerre da prima pagina, perché raccontate dai numerosi reporter stranieri presenti sul posto (è il caso dell’Ucraina) o perché sono in gioco gli equilibri europei e mondiali (come in Ucraina e a Gaza) anche se lo schieramento più forte impedisce l’ingresso dei giornalisti sul campo (è il caso di Israele a Gaza). Ci sono poi guerre che si combattono lontano dai riflettori, in qualche Paese dimenticato. Magari africano. È il caso del Sudan. Dove non ci sono giornalisti a testimoniare». Anna Maria Brogi è severa, ma ne ha tutte le ragioni.

Contabilità di guerra e i record di efferatezza

La gara delle sofferenze. «Scoppiata a metà aprile dell’anno scorso, la guerra civile sudanese ha causato almeno 20mila morti e più di 100mila feriti e più profughi che in Ucraina». I numeri sono impietosi e incontestabili, senza il trucco di Hamas che li gonfierebbe. Nel Paese c’è il più grande numero di sfollati interni al mondo: oltre 11 milioni. I profughi sono oltre 3 milioni, sparsi alla fame e all’ostilità tra Egitto, Libia, Ciad, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea. Distrutte le poche infrastrutture e le grandi città. Bloccata l’agricoltura. «E così, dopo undici mesi di guerra, si affaccia l’incubo della carestia: a rischio una popolazione di 45,5 milioni sparsa su una superficie di 1,8 milioni di chilometri quadrati (più di 6 volte l’Italia)».

Primi testimoni terzi

Per la prima volta giornalisti della Bbc, sono riusciti a raggiungere il fronte dei combattimenti a Omdurman, la città ‘gemella’ lungo il Nilo della capitale Khartum, al seguito dell’esercito. Per dissipare la ‘cortina di fumo’, e di silenzio, che nasconde lo scontro sanguinario tra l’esercito e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), ma soprattutto impedisce di sapere delle vittime civili mai comprese nelle rare contabilità di guerra: famiglie, anziani, bambini ridotti alla fame, senza accesso ai medicinali e all’istruzione, costretti alla lotta per la sopravvivenza.

Dentro Omdurman

Il vecchio mercato di Omdurman un tempo affollato si presenta in rovina – riferiscono i reporter della Bbc -, con i negozi completamente saccheggiati. Per le strade si vedono quasi solo veicoli militari. I pochi residenti rimasti sono anziani. Uno di loro, indica uno spazio coperto di tombe improvvisate vicino a una moschea diroccata: tumuli di terra contrassegnati da pezzi di mattoni e lastre di cemento. «Qui ci sono 150 persone, ne conoscevo molte: Mohamed, Abdullah… Jalal», dice, fermandosi a lungo davanti a un nome, il dottor Youssef al-Habr, noto professore di letteratura araba. «Sono rimasto solo io».

Si combatte a meno di un chilometro

Il fronte è a meno di un chilometro ma le armi non sono quelle sofisticare che fanno strage in Ucraina che stanno spianando Gaza. Qui in guerra ci si scanna alla vecchia maniera, faccia a faccia. Kalashnicov, coltello e poco altro da lontano. La zona ora è in mano all’esercito, che l’ha sottratta al controllo dei paramilitari. Un residente, Muhammad Abdel Muttalib, li accusa di saccheggio: «Hanno ripulito le case, rubato automobili e televisori. Hanno picchiato gli anziani, le donne». «La gente moriva di fame – racconta -, alcuni li tiravo fuori dalle case perché i corpi non marcissero». E aggiunge che «è ampiamente noto che le donne sono state violentate».

L’offesa inconfessabile

«Nella società sudanese è più difficile che altrove parlare di stupri, considerati motivo di vergogna per chi li ha subiti: la vittima è a rischio di stigmatizzazione». Ma più di 1.000 chilometri a ovest, nei campi profughi in Ciad, la quantità delle testimonianze dimostra invece che il numero dei casi è eclatante. Ma strettamente anonimo. Le Nazioni Unite hanno documentato 120 casi di violenza sessuale, ma è solo la punta di un iceberg. Donne fuggite dal Darfur hanno raccontato alla Bbc delle violenze dei miliziani. Gli uomini hanno detto di essere sfuggiti a esecuzioni sommarie.

Indietro nel tempo per capire

Perché si combatte a Khartum? prova a spiegare Fabio Carminati. Perché il controllo della capitale è fondamentale nella gestione di un Paese che in una manciata di anni ha vissuto tre colpi di Stato, serviti per scalzare dal potere il dittatore sanguinario e ricercato dall’Onu per crimini contro l’umanità che risponde al nome di Omar el-Bashir. Ma se si va a scavare si scopre che dietro i protagonisti ci sono interessi esterni, rivalità all’interno di uno stesso sistema di potere che continua a reggersi sulla paura e la violenza, come ai tempi dei massacri etnici nel Darfur.

L’inizio dello scontro, golpe su golpe

Gli scontri sono cominciati nella capitale Khartum quando le Forze paramilitari del generale Mohamed Hamdan Dagalo hanno attaccato il quartier generale dell’esercito regolare comandato dal generale Abdel Fattah al Burhan, numero uno di fatto del Paese (formalmente è il leader della transizione) dopo il colpo di Stato del 25 ottobre 2021 che ha rovesciato il governo di Abdalla Hamdok che, a sua volta, era succeduto alla defenestrazione del dittatore Omar el-Bashir l’11 aprile 2019.

Chi finanzia il conflitto?

Paradosso, ma a parere di molti osservatori decine di milioni di euro dell’Ue versati al Sudan in cambio della ‘cooperazione’ sui migranti avrebbero finanziato i paramilitari delle Rsf, accusate in genere di assere finanziate da Mosca. Forse, ma anche e non soltanto loro.

Sorgente: Guerra civile in Sudan, massacri e fame. Come Gaza, ma lì è Africa –

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