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Il 17 e 18 febbraio a Catania studentesse e studenti di tutt’Italia si incontrano per rivendicare un’istruzione femminista. Ne abbiamo dialogato con Elisa, Olivia e Anita di Spazio Futura, il collettivo femminista del liceo Mamiani di Roma

Con il femminicidio di Giulia Cecchettin si è riacceso il dibattito intorno all’educazione sessuale e all’affettività nelle scuole. Eppure le risposte del ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara e del governo Meloni sono insufficienti e lacunose, volte a incrementare una giustizia punitiva che guarda ai casi di violenza di genere come a episodi isolati, senza nessuna progettualità rispetto alla prevenzione e all’educazione.

Nelle scuole, però, le studentesse si organizzano dal basso per rendere i luoghi di formazione dei presidi di resistenza al patriarcato. Il 17 e 18 febbraio si terrà a Catania la prima assemblea nazionale sull’educazione sessuale in cui si incontreranno studentesse e studenti da diverse città per rivendicare un’istruzione femminista. Abbiamo dialogato con Elisa, Olivia e Anita di Spazio Futura, il collettivo femminista del liceo Mamiani di Roma, che attraverso azioni, incontri e assemblee sta dando vita a un percorso tra licei romani per rivendicare la scuola del futuro.

Come nasce Spazio Futura?

Questo spazio è nato cinque anni fa, nel nostro liceo, inizialmente per rispondere all’esigenza di una nostra compagna di condividere, in luogo sicuro, un episodio di violenza che aveva subito. Questo bisogno è stato presto sentito anche da altre ragazze e così è nata la voglia di costruire uno spazio transfemminista e non misto, solo femminile. All’inizio era principalmente un luogo di confronto e di condivisione di esperienze personali, poi con il covid le riunioni si sono interrotte fino a due anni fa, quando abbiamo ricominciato a riunirci. Abbiamo iniziato a riattivare un luogo femminista perché era complesso trattare in modo esaustivo le tematiche di genere all’interno del collettivo della scuola. Ci serviva uno spazio di discussione politica che potesse riportare al centro la lotta transfemminista che spesso in un contesto più largo passa in secondo piano. L’esigenza però era quella di dialogare costantemente con il collettivo del liceo, per questo abbiamo deciso di chiamarlo spazio e non collettivo. L’intento non è quello di creare due momenti assembleari scissi ma uno in grado di rimettere al centro del movimento studentesco la lotta transfemminista.

Come si è allargato questo processo? Come siete riuscite a parlare con le altre scuole della città e a costruire una rete intorno a questo ragionamento? 

Abbiamo cominciato a entrare in dialogo con gli altri licei di Roma per costruire una settimana di mobilitazione in vista della manifestazione contro la violenza di genere del 25 novembre e per arrivare a organizzare uno spezzone studentesco al corteo nazionale. Così già dall’inizio dell’anno scolastico abbiamo convocato delle assemblee con tutte le scuole che volevano partecipare e sono state molte. Il coinvolgimento è stato anche più largo del solito, proprio perché è un tema trasversale, non c’è nessuno schieramento. Abbiamo iniziato a vederci più spesso e abbiamo cominciato a confrontarci rispetto alle azioni da organizzare dentro le scuole. Si è creato una sorta di coordinamento che si è rivelato capace di coinvolgere anche le scuole che non hanno un collettivo. La mattina del 25 novembre abbiamo fatto un pre-concentramento studentesco per arrivare al corteo e un’azione sotto il Miur dove abbiamo sfilato con le mani dipinte di rosso per ricordare che bisogna parlare di violenza di genere tutti i giorni e che per incrinare il patriarcato non basta aumentare le pene o gli arresti ma serve fare prevenzione e il luogo da dove iniziare è la scuola.

Si è parlato molto di educazione sessuale e all’affettività nelle scuole dopo gli ultimi femminicidi. Qual è la situazione che vivete in quanto studentesse nel vostro istituto? Sul piano istituzionale Valditara ha fatto una proposta che avete criticato. Qual è la vostra idea di educazione sessuale?

Il tema dell’educazione sessuale e all’affettività e al consenso nelle scuole è al centro delle nostre rivendicazioni da molto tempo, da prima delle occupazioni di  dicembre e da prima che accadessero gli ultimi fatti di cronaca. Nelle nostre scuole non si parla di questi temi, esistono progetti una tantum che sono insufficienti, parziali e arbitrari, ad esempio senza alcun  accenno al tema del consenso. Nella nostra scuola le esperienze più formative sono quelle organizzate da noi studentesse. L’educazione sessuale che pretendiamo deve partire dalla scuola dell’infanzia e deve coinvolgere gli insegnanti in ogni fase dato che anche i professori hanno bisogno di essere formati su questi temi. Servono persone competenti per svolgere questo tipo di formazione e  insegnanti capaci di interagire in modo sano con gli studenti e le studentesse. I docenti  fanno numerosi corsi di aggiornamento per svolgere il loro lavoro, perché non farli anche su questo?

Al posto delle ore di religione fateci fare educazione sessuale e all’affettività. Negli ultimi anni è stata introdotta educazione civica, si può fare, si può istituire una nuova materia.

Insieme alle altre scuole con cui ci coordiniamo abbiamo una proposta congiunta mentre a livello pratico nella nostra scuola abbiamo costruito dei momenti in cui studenti e docenti possono parlare di questi temi per creare un dialogo aperto.

Cosa criticate del piano proposto dal ministro Valditara?

A parte la poca stima che proviamo nei confronti del ministro «del merito», la proposta di educazione sessuale che propone coinvolge solo i licei, dimenticandosi dei gradi di istruzione precedenti e viene presentata come un’attività extra scolastica di poche ore l’anno, non se ne parla in termini curricolari. Un’altra cosa da monitorare sono le figure che sarebbero chiamate a svolgere questi incontri: è necessario che siano formate e competenti e questo non è garantito dalla sua proposta.

Sembra solamente un’altra risposta emergenziale senza progettualità. A noi serve un percorso di educazione sessuale, all’affettività e al consenso che sia costante e per tutti, ci serve un presidio di operatori e operatrici antiviolenza nelle scuole e uno sportello psicologico, che al momento è solo d’ascolto e attivo per poche ore. Questo è fondamentale anche per poter denunciare eventuali violenze. È ovvio che se non esistono questi luoghi all’interno delle nostre scuole le ragazze che subiscono violenza hanno più difficoltà a chiedere aiuto. Non basta diffondere il numero antiviolenza, soprattutto in un momento storico in cui i pochi centri antiviolenza esistenti sono sotto attacco.

Tra le azioni che avete fatto nella vostra scuola ce n’è stata una che ha inciso più di altre e che ha dato inizio a un percorso esemplare nel vostro liceo. L’azione aveva come tema centrale il rispetto e ha denunciato come la scuola non sempre sia un luogo sicuro e inclusivo.

All’interno delle assemblee di Spazio Futura ci siamo ritrovate spesso a confrontarci sulle espressioni quotidiane  sessiste, grassofobiche e inappropriate di alcuni nostri professori, fino a quando abbiamo deciso di raccogliere queste frasi: «Con quelle gambe non ti troverai mai un uomo»; «non ho mai bevuto, non ho mai esagerato sarà per questo che a me non è mai successo nulla»; «se ti vesti così poi è ovvio che i professori ti guardano»; «non puoi venire a scuola vestita così sennò i ragazzi si distraggono»; «dovresti mangiare meno e vedrai che non ingrassi»; «dovresti ingrassare qualche chilo»; «i corpi burrosi non piacciono a nessuno»; «abbiamo due veline che vengono a scrivere alla lavagna?»; «sei lento come una femmina».

Così  abbiamo deciso di denunciare la cosa e abbiamo riportato tutte queste frasi su dei fogli che abbiamo appeso ai muri nell’atrio della scuola e durante la ricreazione siamo scese con uno striscione – «Il rispetto è bilaterale» – facendo  un intervento.

Volevamo aprire un dibattito denunciando non solo la violenza di queste frasi ma soprattutto il fatto che fossero uscite dalla bocca dei nostri professori. Queste frasi sono la dimostrazione di un’istituzione che ci manca costantemente di rispetto, nella quale i nostri bisogni vengono sminuiti, il dress code viene usato come pretesto per umiliarci, il nostro benessere psicologico viene sempre messo all’ultimo posto.

Era presente tutta la scuola quindi abbiamo provato a spingerci un po’ oltre e abbiamo fatto un sit-in nell’atrio chiedendo un confronto diretto con la preside e con i professori che solitamente ci ignorano e con cui è difficile instaurare un dialogo. Alla fine la preside è scesa, insieme a qualche professore, e a quel punto abbiamo fatto un’assemblea straordinaria che è durata due ore ed è stata molto partecipata, con interventi anche da parte di persone che non avevamo mai sentito parlare prima. La preside e i professori erano scossi, non avevano capito subito che si trattava di frasi dette da loro e quell’azione ha ribaltato i rapporti di forza. Abbiamo concluso l’assemblea chiedendo un ulteriore momento di confronto tra docenti e studenti in modo da poter portare avanti la discussione. Lo striscione è rimasto nell’atrio della scuola per un po’ di settimane nonostante la preside continuasse a chiederci di toglierlo, per preservare l’immagine del liceo.

Qualche settimana dopo si è tenuta l’assemblea a cui hanno partecipato solo alcuni professori però è stato un momento positivo e ha dato inizio a un percorso: abbiamo richiesto che questi momenti diventino una costante e questo sta succedendo. Un dialogo di questo tipo tra studenti e corpo docenti è un unicum e può diventare un’esperienza esemplare da riproporre anche nelle altre scuole. Questo spazio di confronto è fondamentale per pensare a una scuola diversa sul piano della didattica e sul piano educativo in toto.

Qual è il vostro ragionamento rispetto alla didattica? Ritenete che la formazione proposta nelle scuole sia sessista?

Siamo pienamente consapevoli della parzialità della nostra didattica da un punto di vista di genere. Non studiamo le scienziate, le filosofe, le scrittrici: eppure esistono e vogliamo parlarne, costruire iniziative specifiche. Come vogliamo soffermarci, in futuro, su un ragionamento rispetto alla comunicazione e alla narrazione mediatica dei casi di violenza di genere. Vogliamo che se ne parli ogni giorno, non solo ogni tanto quando un femminicidio diventa più mediatico di un altro. Il nostro obiettivo è che il tema rimanga sempre presente nelle nostre scuole e non solo.

Quali sono i prossimi passi?

Stiamo lavorando su più piani. Con l’occupazione di inizio dicembre che è avvenuta nel nostro e in altri otto licei a Roma abbiamo presentato delle richieste alla Città metropolitana, all’Ufficio scolastico regionale e al ministero dell’Interno. Abbiamo proposto loro delle idee concrete su come vorremmo che fosse la nostra istruzione. Il primo obiettivo è ottenere la forma, il contenitore entro cui muoverci, a quel punto potremmo lavorare sul contenuto costruendolo dal basso, nelle scuole, con i docenti e pretendendo che un eventuale corso di educazione sessuale e all’affettività o uno sportello siano realizzati come vogliamo noi. E per questo è importante il dialogo con i docenti, che abbiamo consolidato dopo l’azione. Se in tutte le scuole si riuscisse ad attivare un percorso del genere e un processo di consapevolezza collettiva, alla fine sarebbe più facile fare dei ragionamenti progettuali su come sostanziare le nostre richieste. Creare consapevolezza rispetto ai temi della violenza di genere, rispetto al consenso, tra studenti e studentesse, professori e dirigenza scolastica è strategico per cercare di modificare anche le proposte, insufficienti e carenti, del ministero.

In generale ci proponiamo di continuare a percorrere queste tre strade: la prima è quella interna al movimento studentesco che ha come obiettivo quello di mantenere il tema transfemminista centrale nell’agenda politica dei collettivi; la seconda strada è quella delle assemblee femministe con le altre scuole che ha l’intento di caratterizzare le piazze e il movimento transfemminista anche da un punto di vista studentesco; mentre l’ultima è quella che coinvolge il nostro liceo e che si sostanzia nell’assemblea tra docenti e studenti e nelle nostre iniziative con cui proveremo quotidianamente a portare a scuola questi temi.

Il problema è che ora la preside sta restringendo ancora una volta lo spazio di confronto, utilizzando  strumentalmente l’occupazione. Noi per adesso stiamo continuando a riunirci a scuola e a discutere di come rendere le nostre scuole dei presidi di resistenza al patriarcato. Non siamo disposte a fare passi indietro.

*Emily Zendri, attivista studentesca e femminista, è laureata in filologia moderna con una tesi sulla letteratura working class. Fa parte della redazione di Edizioni Alegre.

Sorgente: La scuola del futuro – Jacobin Italia

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