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Caso Regeni, la Consulta sblocca il processo: gli 007 egiziani a giudizio. La famiglia: “Avevamo ragione, ripugnante il no al processo”

La svolta della Corte costituzionale. Serracchiani: uno Stato di diritto difende i suoi cittadini

ROMA. La Corte costituzionale ha deciso che il processo Regeni può andare avanti. C’era una questione di legittimità costituzionale sollevata dal gip di Roma, che si era fermato doverosamente perché manca la notifica formale agli imputati. Eppure si può e si deve presumere a questo punto che gli imputati in Egitto siano stati informati. E se manca la notifica formale, ciò accade solo perché l’Egitto strumentalmente fa melina. Un ostruzionismo istituzionale che secondo la Corte costituzionale non deve trasformarsi in giustizia negata in Italia.

Dopo attenta e sofferta decisione, i giudici costituzionali hanno quindi deciso che è incostituzionale il comma 3 dell’articolo 420-bis del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dalla Convenzione di New York contro la tortura».

Solo in questo caso, che in pratica si attaglia esclusivamente al processo Regeni, il processo può andare avanti, quando «a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato (e qui non si dice, ma si legge Egitto, ndr) è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo»,

Siccome però la nostra legge prescrive che l’imputato ha sempre diritto a presenziare al suo processo, e qui invece si procederebbe in assenza degli imputati egiziani, la Corte aggiunge la postilla che è «fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa». Visto come è andata, i depistaggi, gli ostruzionismi, e poi lo scontro aperto tra la magistratura del Cairo e quella di Roma, sarà molto difficile vedere in un processo italiano gli ufficiali dei servizi di sicurezza imputati di avere sequestrato, torturato atrocemente, e alla fine ucciso il giovane innocente Giulio Regeni.

«Avevamo ragione noi» dice ora la famiglia di Regeni: «ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro le torture e l’uccisione di Giulio non potesse essere celebrato a causa dell’ostruzionismo della dittatura di al-Sisi per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti. In effetti come ha scritto il Gup Ranazzi nella sua ordinanza ‘non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di governo’. Abbiamo dovuto resistere contro questa volontà dittatoriale per sette anni e mezzo confidando comunque sempre nei principi costituzionali della nostra democrazia. Ringraziamo tutte le persone che hanno sostenuto e sosterranno il nostro percorso verso verità e giustizia: la procura di Roma ed in particolare il dottor Colaiocco, la scorta mediatica, e tutto il popolo giallo».

«La sentenza della Consulta permette di continuare a credere che verità e giustizia sono un obiettivo al quale non dobbiamo mai smettere di puntare», commenta Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd. «Vedremo le motivazioni per capire in dettaglio la ratio della decisione, ma nel frattempo prendiamo atto con soddisfazione che l’autorevole interpretazione della norma ci dice che il processo può essere celebrato e gli imputati chiamati a rispondere delle accuse. Uno Stato di diritto difende i suoi cittadini secondo le leggi e non li abbandona all’arbitrio di poteri oscuri».

Sorgente:lastampa.it

 

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