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«Non siamo Amazon», anche i falchi contro le pretese dell’Ucraina

VERTICE NATO. Il ministro britannico Wallace (papabile prossimo leader) sbotta per la lista di  richieste di Kiev

Fabrizio Vielmini

Il secondo giorno del vertice Nato è stato ancora marcato dal botta e risposta fra i paesi membri e gli aspiranti ucraini. Secondo il Washington Post, le critiche di Zelensky alla Nato per la mancata ammissione hanno fatto infuriare la delegazione americana a Vilnius. Più esplicita Londra, il cui ministro della difesa, Ben Wallace, ha rimproverato pubblicamente il presidente ucraino accusandolo d’ingratitudine verso gli alleati: «Mi sono fatto 11 ore di treno per incontrarlo e ricevere una lista di richieste militari – non siamo Amazon!». Una dichiarazione clamorosa, poiché prodotta da un papabile al posto di segretario generale Nato dopo Stoltenberg.

IN UN CRESCENDO di arroganza, Zelensky ha reagito durante il briefing finale: «Siamo sempre stati e sempre saremo grati. Non so come ancora dovremmo esserlo. Forse dovremmo svegliarci la mattina e ringraziare il ministro. Che mi scriva come e io lo ringrazierò». Durante la mattinata, anche altri esponenti di Kiev hanno ribadito insoddisfazione, come il ministro degli esteri Dmitry Kuleba che ha affermato di non conoscere esattamente «elenco dei requisiti che il paese dovrà soddisfare per ottenere l’agognata tessera del club atlantico».

Nel pomeriggio tuttavia, gli ucraini sono rientrati nei ranghi ed hanno abbassato i toni. Dopo l’incontro bilaterale con Joe Biden, Zelensky ha assunto il ruolo di diplomatico. Nel briefing finale, ha definito buoni i risultati del vertice, «ideali se ci avessero ammesso», ma comunque «un successo per l’Ucraina», che ha compreso come «le condizioni necessarie per l’ingresso nella Nato saranno raggiunte solo quando ci sarà la pace». Il segretario Stoltenberg e gi altri leader Nato hanno insistito sul messaggio che rispetto a quelle dei vertici precedenti le attuali promesse di membership ucraina sono qualitativamente nuove e definitive.

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MA ANCHE IN TERMINI pratici, gli ucraini hanno ottenuto una serie di concessioni. Sul piano militare è stato stabilito che già ad agosto inizierà in Romania la preparazione dei piloti ucraini all’uso dei caccia F-16, premessa per la fornitura di tali armi strategiche. Soprattutto, Biden e Stoltenberg hanno fatto una sorpresa a Kiev ingaggiando i paesi del G7 in un impegno formale a fornirle garanzie di sicurezza.

Tutti i leader dei “sette grandi”, compresi i vertici dell’Ue, hanno sottoscritto una dichiarazione che parla di condivisione dell’intelligence e di assistenza concreta nello sviluppo dell’industria della difesa ucraina, tramite il trasferimento di “equipaggiamento militare moderno, nei domini terrestre, aereo e marittimo, con priorità alla difesa aerea, all’artiglieria e al fuoco a lungo raggio, ai veicoli blindati e ad altre capacità chiave, come l’aviazione da combattimento – promuovendo una maggiore interoperabilità con i partner euro-atlantici”. Come contropartita, l’Ucraina si impegna a realizzare le ormai proverbiali riforme in campo giudiziario economico e della “trasparenza” del sistema politico, pretese dal martoriato paese dall’inizio del suo cammino verso l’area atlantica.

Si è trattato di uno sviluppo del tutto inedito: la prima volta che un consesso economico quale il G7 assume un ruolo in campo militare. Tuttavia, tale sviluppo non stupisce alla luce dell’altro leitmotiv del summit a fianco del conflitto ucraino, ossia “la sfida sistemica posta dalla Cina all’ordine internazionale basato sulle regole”. L’inedito outsourcing della Nato nei confronti del G7 permette infatti d’inglobare ulteriormente il Giappone all’interno dei meccanismi bellici atlantici in preparazione dello scontro con Pechino.

SUL FRONTE EUROPEO, su iniziativa polacca la Nato ha anche promosso i dissidenti bielorussi, in primo luogo Svetlana Tikhonovskaja (“presidente eletto” secondo gli atlantici), la quale ha rivolto appelli ai leader occidentali ad ostracizzare ulteriormente il presidente Lukashenko e a fornire a Kiev tutte le armi necessarie.

DA NOTARE INFINE le dichiarazioni finali di Erdogan. Da un lato, il raiss si è rivolto a Putin invitandolo a visitarlo ad agosto, così da discutere l’estradizione dei capi dell’Azov. Dall’altro, Erdogan ha ulteriormente punzecchiato il collega russo usando la tribuna di Vilnius per annunciare un ritiro delle forze di pace russe dal Nagorno-Karabakh nel 2025. Nel conflitto caucasico la Turchia ha finora avuto un ruolo di garante esterno, subordinato alla Russia. Con un simile inatteso statement Ankara si pone come attore di primo piano su questo teatro. Un altro affronto al prestigio internazionale di Mosca, a cui quest’ultima si sentirà obbligata a rispondere.

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