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Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha annunciato questa sera in televisione la mobilitazione di 45 mila uomini delle forze armate – Durissima polemica tra i partiti di destra e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon sulla responsabilità delle violenze

30.06.2023 21:45
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Città messe a ferro e fuoco, trasporto pubblico fermo all’imbrunire, negozi saccheggiati, una frangia del sindacato di polizia sull’orlo di una pericolosa crisi di nervi. E uno scontro politico senza precedenti, soprattutto tra la destra lepenista e la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon.

Al quarto giorno di crisi, la Francia si interroga sgomenta e incredula su dove porterà la rivolta innescata a Nanterre – sobborgo operaio di Parigi – dalla morte del 17.enne di origine maghrebina Nahel M., ucciso in auto martedì scorso da un poliziotto durante un controllo (il ragazzo, senza patente, era stato fermato alla guida di una Mercedes).

Nonostante un clima tesissimo, Patrick Jarry, sindaco comunista di Nanterre, ha confermato per domani pomeriggio i funerali del ragazzo. Uscendo oggi da un vertice tenuto a Matignon, Jarry ha insistito però sulla «urgenza di trovare le parole per venir fuori dal ciclo della violenza», anche se «l’emozione e la rabbia provate per la morte di Nahel sono ancora molto forti e sono condivise da un intero popolo in tutta la sua diversità».

In effetti, la rabbia sociale che da anni attraversa soprattutto le periferie francesi, è esplosa nuovamente, e in modo incontrollato. Mescolando le insofferenze reali di larghe fasce giovanili a fenomeni di delinquenza comune.

Come ha detto a Le Monde Fabien Truong, professore di Sociologia all’Università di Parigi-VIII, «l’esperienza delle disuguaglianze» di chi sta ribellando «resta viva, acuta, concreta. Nelle banlieue la povertà e l’insicurezza sono realtà concrete, palpabili, sensibili. Ecco perché questa rabbia è politica, perché nasce da un’esperienza condivisa di espropriazione e di ingiustizia». Il punto è che la violenza non è in alcun modo giustificabile. E purtroppo, in Francia la protesta si è rapidamente trasformata in guerriglia urbana, trasformando i centri storici delle piccole e grandi città in campi di battaglia.

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I numeri degli scontri

Nella notte tra giovedì e venerdì la polizia ha arrestato 875 persone, di cui 408 a Parigi e nei sobborghi interni della capitale. Quasi 500 gli edifici pubblici presi d’assalto o danneggiati, 2 mila i veicoli bruciati, quasi 4 mila gli incendi di cassonetti e rifiuti innescati lungo le strade.

Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha chiesto oggi ai prefetti di fermare autobus e tram in tutta la Francia dalle 21 e di «emettere sistematicamente ordinanze che vietino la vendita e il trasporto di fuochi pirotecnici, taniche di benzina, acidi e prodotti infiammabili e chimici». Ovunque, le Prefetture hanno vietato ogni tipo di manifestazioni nei centri cittadini: da Parigi a Marsiglia, da Lione a Bordeaux, da Strasburgo a Montpellier, Tolosa, Grenoble e Annecy. E nel tardo pomeriggio, la premier Elisabeth Borne ha annunciato il dispiegamento dei blindati della polizia nelle strade e nelle piazze.

Il presidente Emmanuel Macron ha rinunciato alla conferenza stampa finale del vertice europeo ed è rientrato per partecipare alla riunione della cellula di crisi del Governo. Dopo aver annunciato la volontà di agire in modo drastico, e «senza tabù», ha poi scelto un più basso profilo, lanciando un appello video ai genitori dei manifestanti, «un terzo dei quali – ha detto – sono giovani e giovanissimi».

Fatto del tutto inedito, Macron ha chiesto ai grandi gestori dei canali social, in particolare TikTok, Snapchat, Instagram e Twitter, di rimuovere filmati e annunci di manifestazioni. Per evitare, ha spiegato, che le proteste trovassero nuovo terreno fertile.

Gli scontri, però, non si sono placati. Questa sera, polizia e manifestanti sono tornati a fronteggiarsi duramente a Marsiglia e a Lione. Negli stessi minuti, intervistato a TF1, il ministro Darmanin annunciava la mobilitazione per la notte di 45 mila agenti delle forze dell’ordine, 5 mila in più rispetto al giorno precedente.

Destra contro sinistra

Una situazione caotica, che non ha impedito alla politica di continuare a combattere, imperterrita, un’altra guerra. Ideologica. Durissima e senza esclusioni di colpi.

Per tutto il giorno la Destra ha invocato la proclamazione dello stato d’emergenza. Lo ha fatto, in forme diverse, con il presidente dei Républicains (LR) Eric Ciotti, con la presidente del Rassemblement National Marine Le Pen e con Éric Zemmour, leader di Reconquête, il quale ha difeso al microfono di Europe 1 il principio della «feroce repressione» contro i manifestanti, descrivendo la rivolta come l’inizio di una «guerra civile, una guerra etnica». Soprattutto, la Destra ha accusato Jean-Luc Mélenchon e il suo partito, La France Insoumise (LFI) di essere l’ispiratore delle violenze.

«Non abbandoneremo la Repubblica francese agli istigatori della guerra civile che prendono il pretesto di una tragedia per gettare il caos nelle nostre strade», ha detto Ciotti. Mentre Le Pen ha accusato gli esponenti di LFI di portare «una responsabilità indelebile di fronte alla nazione e alla storia, anche quando saranno travolti dall’insensato movimento di violenza che hanno incoraggiato, anzi iniziato».

A tutti ha risposto in modo altrettanto duro Mélenchon, denunciando «le farneticazioni contro LFI» e sostenendo che «l’escalation della sicurezza porterà al disastro. Bisogna invece ascoltare le domande del popolo. Rispettarle. Dare alle persone giustizia e non parlare soltanto di emergenza». La destra «si vergogni», ha poi aggiunto la presidente del gruppo parlamentare di LFI, Mathilde Panot.

L’accusa dell’ONU

Come se non bastasse, oggi anche l’ONU ha preso posizione chiedendo alla Francia di affrontare seriamente i «problemi profondi di razzismo e discriminazione razziale tra le forze dell’ordine». Le parole della portavoce dell’Alto commissario ONU per i diritti umani Ravina Shamdasani,  pronunciate in conferenza stampa a Ginevra, hanno però irritato, e non poco, il Quai d’Orsay, che le ha giudicate «del tutto infondate».

 

Sorgente: Mentre le città francesi bruciano, Macron chiede di spegnere i social

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