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La vicenda del 26enne tunisino deceduto in un letto di contenzione del San Camillo dopo essere stato trasferito dal Cpr di Ponte Galeria. Il Garante del Lazio Anastasia: “Responsabilità vanno indagate”. Il deputato tunisino Karbai: “Familiari chiedono verità e giustizia, ai ragazzi tunisini viene sempre negata protezione”

di Eleonora Camilli

ROMA – Abdel Latif aveva solo 26 anni. E’ morto il 28 novembre scorso in un letto di contenzione dell’ospedale San Camillo di Roma. Verità sulla morte del figlio, chiarezza su cosa sia avvenuto chiedono i familiari tramite l’avvocato Francesco Romeo, che sta seguendo il caso. Per ora però i contorni della vicenda restano oscuri e sollevano non pochi dubbi dal punto di vista del diritto. Perché Abdel è morto mentre era sotto tutela dello Stato. Il ragazzo era partito dal porto di Kerkennah il 2 ottobre scorso per arrivare il giorno successivo con un barchino a Lampedusa. Trasferito su una nave quarantena ad Augusta ha passato lì un periodo di isolamento fiduciario per poi essere portato nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria “con un certificato che ne attesta la compatibilità alla vita ristretta”. Ma nel centro si manifestano i primi problemi, tanto che Abdel viene visitato prima da una psicologo e poi da uno psichiatra e infine ricoverato in ospedale.

A ricostruire i fatti è il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, che il 4 dicembre scorso ha visitato il Cpr insieme ad Alessandro Capriccioli, consigliere regionale del Lazio, e visionato tutta la documentazione. “Quando il ragazzo è arrivato a Ponte Galeria era in buone condizioni psicofisiche, almeno questo è quello che ci dicono le annotazioni del medico del centro. Dieci giorni dopo, però, viene visitato dalla psicologa della struttura e nella documentazione si legge che riferisce di sentire dei rumori, che ha paura di non riuscire a contenersi e diventare aggressivo. Per questo viene richiesta una visita psichiatrica – spiega il Garante -.  La visita avviene l’8 novembre, vengono prescritti i farmaci e si dice che sarebbe meglio vederlo in ambiente ospedaliero. A questo punto il ragazzo inizia una terapia farmacologica a Ponte Galeria. Dopo 10 giorni si sente male, viene mandato di nuovo in visita dallo psichiatra della Asl e portato al pronto soccorso dell’ospedale Grassi. Da qui, dopo due giorni e mezzo è stato trasferito al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc) dell’ospedale San Camillo. Da quanto si legge nel fascicolo era sottoposto a contenzione. Dopo due giorni dall’ultimo trasferimento è morto”.

Per Anastasia ci sono diversi punti da chiarire: uno riguarda la contenzione annotata nel diario clinico. “In ogni episodio di contenzione va segnato l’inizio, la fine e ogni eventuale rivalutazione. In quel foglio l’ora di queste tre operazioni non c’è. Se ne deduce che è rimasto in contenzione da quando è arrivato a quando è morto – spiega -. L’altra questione da chiarire riguarda le condizioni psicofisiche del ragazzo: se stava male fin dall’inizio com’è possibile che ci sia un certificato che attesti la sua compatibilità alla vista ristretta del Cpr?”E aggiunge: “La morte di una persona affidata alla custodia e alle cure di amministrazioni pubbliche va sempre indagata, per escludere responsabilità di terzi, e in particolare delle stesse strutture a cui era affidata, nel tragico evento” .

Intanto la procura di Roma ha aperto un fascicolo. “Abdel era un ragazzo tranquillo, i genitori dicono che non aveva mai avuto problemi psichici, era uno sportivo, come è finito legato a un letto del San Camillo?” sottolinea Majdi Karbai, deputato tunisino che per primo ha denunciato il caso. “La mamma di Abdel è distrutta, la sorella vuole iniziare uno sciopero della fame per chiedere verità e giustizia – afferma Karbai -. E’ assurdo quello che è successo, era solo un ragazzo che aveva un sogno, quello di poter cambiare vita e aiutare la famiglia”. Abdel, originario di Kebili, città a sud della Tunisia, aveva deciso di partire dopo aver perso il lavoro come commesso in un supermercato. “Così avrebbe potuto aiutare i familiari a sostenersi e le due sorelle a studiare, una è all’università e una alle elementari – continua il deputato -. A me è stato negato l’accesso al Cpr di Roma anche se sono un deputato tunisino e questo non è accettabile. Voglio poter vedere i miei connazionali, capire anche attraverso le loro testimonianze cosa è accaduto. Ai ragazzi tunisini non viene mai dati la possibilità di accedere alla protezione internazionale, ma vengono velocemente spediti in un Cpr per essere rimpatriati. Non è un caso che mentre i familiari di Abdel chiedono verità e giustizia il suo paese taccia. La Tunisia ha un accordo con l’Italia di milioni di euro per i rimpatri. Ma se vengono violati i diritti umani non può essere solo la società civile ad alzare la voce”.

Per ora, secondo le informazioni in possesso dell’avvocato Francesco Romeo, non è chiaro se l’autopsia sul corpo sia stata effettuata o si farà nei prossimi giorni.  “Ho chiesto di poter acquisire tutta la documentazione sanitaria dal Cpr e dalla Croce rossa – spiega -. Vogliamo capire se il ragazzo stava davvero male oppure no, cosa sia successo e chiarire ogni aspetto di questa vicenda”.

Sorgente: Migranti, i punti oscuri della morte di Abdel Latif in un ospedale di Roma – Redattore Sociale

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