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(fotografia: Il commissario europeo Oliver Varhelyi con il Presidente di turno della Presidenza della Bosnia ed Erzegovina Zeljko Komsic)

La crisi in Bosnia-Erzegovina

di Bernard Guetta

Nulla impedisce che si cambi tendenza. In Bosnia-Erzegovina, potremmo per una volta organizzare una conferenza di pace prima e non dopo la guerra, prima che si moltiplichino i massacri e i crimini di guerra e non dopo che abbiano provocato centinaia di migliaia di nuove vittime oltre a quelle degli anni Novanta, perché la situazione è allarmante.
I leader della metà serba di questo Paese confederale minacciano ora di formare un proprio esercito, in altre parole di mettere in atto una secessione per poi fondersi con la Serbia. Il presidente serbo Aleksandar Vucic incoraggia sempre meno discretamente un’evoluzione che rafforza il suo nazionalismo mentre, dietro le quinte, Vladimir Putin sostiene l’iniziativa dei suoi cugini slavi e la crisi che potrebbe derivarne ai margini dell’Ue.
In quanto alla parte croato-musulmana della Bosnia-Erzegovina, il suo nervosismo sta crescendo di fronte alla minaccia di una guerra civile. I musulmani si chiedono quali sarebbero le conseguenze per loro se il Paese si disgregasse, mentre i croati bosniaci e la Croazia progettano naturalmente la creazione di una grande Croazia se dovesse nascere una grande Serbia.

Se non si farà nulla, tutto questo porterà inesorabilmente alla guerra. Si tratta, dunque, di chiedersi che cosa fare e di farlo rapidamente.
Certo, la cosa più semplice sarebbe affrettare un nuovo allargamento dell’Unione europea, ammettendo la Serbia e tutti gli altri stati dell’ex Jugoslavia, compresa la Bosnia-Erzegovina. In questo modo, si potrebbero fissare le attuali frontiere, aiutare lo sviluppo di questi Paesi e, almeno in parte, proteggerli dalle manovre di captazione di Russia, Turchia e ormai anche della Cina.
Nel Parlamento europeo e in molte capitali, sono molti coloro che sostengono questa accelerazione, ma non è né possibile, né auspicabile. L’opinione pubblica europea, oggi, non vuole un ulteriore allargamento. L’Unione non può ammettere nuovi Stati membri prima di aver riformato il suo funzionamento e definito le sue ambizioni politiche per il prossimo quarto di secolo. Né può ammettere Stati che non hanno risolto le loro questioni di confine. Infine, l’Unione si darebbe la zappa sui piedi aprendo le sue porte a piccoli Stati come il Montenegro e il Kosovo, perché darebbe un potere di veto a popolazioni più piccole di quelle di molte città europee.

Data l’attuale impossibilità di un allargamento a tutti i Balcani, rimane l’idea di una Conferenza di pace preventiva che cerchi di porre realmente fine alla guerra di spartizione della Jugoslavia che ha straziato i Balcani negli anni Novanta.
Di fronte alla minaccia di una guerra civile, si dovrebbe prima di tutto chiedere ai popoli della Bosnia-Erzegovina se vogliono continuare a vivere insieme nello Stato comune che gli Stati Uniti e l’Europa avevano voluto far sopravvivere alla disgregazione della Jugoslavia con gli accordi di Dayton. Se la risposta fosse “sì”, si dovranno proporre nuove istituzioni, rispettando delle autonomie culturali indispensabili ma veramente inclusive. Se la risposta fosse “no”, sarà invece necessario negoziare una divisione territoriale e aprire la strada alla creazione di una Singapore musulmana e al ricongiungimento delle parti serbe e croate alla Serbia e alla Croazia.

La definizione di questa divisione sarà complessa poiché le popolazioni serbe e croate sono intrecciate in molte parti del Paese, ma è meglio dividere con la spada o con un negoziato, con una conflagrazione regionale o con una conferenza di pace sponsorizzata dall’Ue?
La risposta è nella domanda e, nello stesso tempo, sarà necessario lavorare alle fusioni tra il Kosovo albanese e l’Albania da una parte e il Montenegro e la Serbia dall’altra per costituire degli Stati federali ma unitari.
L’Ue potrebbe aiutare considerevolmente sostenendo che queste sarebbero condizioni sine qua non per qualsiasi processo di avvicinamento all’Unione stessa – un accordo di associazione completo all’inizio e poi una graduale integrazione in uno dei cerchi, economico, politico o entrambi, della futura Unione.
Niente sarà facile. Il successo non è garantito ma, di fronte al pericolo di una nuova guerra, l’Unione europea perderebbe la sua credibilità se non tentasse nemmeno la via della pace.

traduzione di Luis E. Moriones

Sorgente: Venti di guerra nei Balcani – la Repubblica

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