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La festa della Liberazione non è solo un tributo alla memoria di chi incarnò la Resistenza. È anche un appello silenzioso alle nostre responsabilità, al dovere di schierarci, oggi come ieri

di Michele Ainis

No, non siamo tutti uguali. Non lo eravamo neanche allora, nella primavera del 1945. “Non tutti fummo brava gente”, ha ricordato il presidente del Consiglio. Molti italiani si schierarono in difesa del Regime, delle sue ultime trincee. Altri in difesa della libertà, anche a prezzo della vita. La ricorrenza del 25 aprile non è perciò solo un tributo alla memoria di chi incarnò la Resistenza. È anche un appello silenzioso alle nostre responsabilità, al dovere di schierarci, oggi come ieri.

Ma a chi dobbiamo resistere, contro quale nemico? Mentre svaniscono le immagini del 25 aprile – e le celebrazioni, le corone d’alloro, il profilo curvo del nostro presidente davanti all’Altare della Patria – ci rimane in bocca un sapore di vecchio, di stantio. La Resistenza è ormai una pagina ingiallita della storia. Racconta un altro tempo, un’altra condizione. Eppure pretende di regolare il nostro tempo, situandosi fra le regole più alte dello Stato italiano.

“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. In queste parole, scolpite nella XII disposizione finale della Costituzione, risuona l’eco della Resistenza all’interno della nostra Carta. Ma riecheggia al tempo stesso una domanda, un dubbio che s’avvolge attorno al suo stesso concetto. Come può la Costituzione, che è la casa di tutti gli italiani, lasciarne fuori dalla porta alcuni, discriminandoli per le loro idee politiche? Non è forse un ossimoro, una contraddizione rispetto alla promessa di libertà nata dalla Liberazione? E infine: se il Pnf, il Partito nazionale fascista, resta ormai consegnato agli archivi della storia, se nessun Duce s’affaccia dal balcone, che senso ha – qui e oggi – sventolare l’antifascismo come una bandiera?

A quest’ultimo interrogativo rispose già Vittorio Foa (Il cavallo e la torre, 1991): antifascismo significa opporsi ai prepotenti, al dominio degli altri su noi stessi. Significa resistere a ogni forma d’oppressione. Significa, in conclusione, continuare la lotta per la libertà, dato che ogni giorno la libertà dei singoli e dei gruppi subisce una nuova minaccia. Quanto alle condizioni storiche della XII disposizione, potremmo richiamare gli obblighi del Trattato di pace, che impegnavano l’Italia a sciogliere le organizzazioni fasciste e a vietarne la rinascita. Ma più in generale esse s’iscrivono nel vissuto dei costituenti. Perché le galere fasciste s’aprirono per Gramsci e Pertini, ma anche per De Gasperi. Perché don Sturzo sperimentò l’esilio non meno di Togliatti. Perché a Napoli le bande fasciste devastarono l’abitazione di Croce al pari di quella di Labriola. E perché tutti loro, senza eccezioni, affrontarono la prova della guerra, subirono lutti, patirono la fame.

Un’esperienza tragica, ma al contempo affratellante. Senza, la Carta del 1947 non avrebbe mai visto la luce, né più né meno delle “Grandi Riforme” progettate negli ultimi decenni. Difatti le Costituzioni non nascono d’incanto, come Minerva dalla testa di Giove. Sono figlie di circostanze eccezionali, d’una temperie storica che segna una frattura tra il prima e il dopo. Per questo sono proiettate nel futuro, per questo vietano ogni ritorno al passato. Per la Costituzione americana del 1787 sarebbe inconcepibile il ritorno degli Stati Uniti alla condizione di colonia inglese. Per la Costituzione italiana del 1947 è diventata inconcepibile la guerra, che l’articolo 11 “ripudia”. Ma altresì la monarchia, proibita dall’articolo 139, anche usando la procedura di revisione costituzionale. E per l’appunto il fascismo.

Da qui il lascito costituzionale della Resistenza, di cui abbiamo appena celebrato il 76° anniversario. Nel 1995, in occasione del cinquantenario, si tenne un convegno intitolato “Le idee costituzionali della Resistenza”. Stefano Rodotà, aprendone i lavori, le riassunse in cinque punti: la restaurazione delle libertà; la valorizzazione del lavoro; la diffusione del potere; la rilevanza dei legami sociali; la prospettiva d’una democrazia integrale. Ma dopotutto – aggiunse – quel programma aveva un’unica intenzione: la discontinuità con il fascismo, la reazione verso una “condizione di servaggio”. Mentre un’epidemia globale ha sequestrato le libertà costituzionali, stiamo forse riscoprendo tutto il loro valore. E il valore della Resistenza, che ce ne fece dono.

Sorgente: Il 25 aprile, festa della Liberazione, e il premier Mario Draghi: non eravamo tutti uguali | Rep

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