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Due miliardi e duecento milioni di persone nel mondo vivono ancora senza accesso quotidiano alle risorse idriche. È fondamentale ricordare questo dato oggi, Giornata Mondiale dell’Acqua. Ma è ancora più importante agire ogni giorno con coerenza per fare in modo che questi numeri diminuiscano velocemente e si azzerino davvero, così da raggiungere l’ambizioso Obiettivo 6 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

Non possiamo non riflettere a fondo su come stia cambiando la situazione idrica in relazione ai cambiamenti climatici che stiamo vivendo. L’acqua è il bene comune primario per eccellenza ma spesso, a molti, sembra ancora sfuggire questa importanza. Secondo dati FAO, negli ultimi vent’anni le riserve di acqua dolce sono diminuite di oltre il 20 percento. Ciò impone soprattutto al settore agricolo, che è tra gli ambiti produttivi proprio il principale consumatore d’acqua con oltre il 70 percento dei prelievi idrici, un cambio di passo per produrre di più con un minor dispendio di risorse.

È questa la sfida irrinunciabile se si vogliono davvero fare passi verso una maggiore sostenibilità dei modelli produttivi territoriali. Da una parte in diverse zone del mondo la carenza cronica d’acqua è ancora una drammatica emergenza che minaccia la sicurezza alimentare di intere comunità e dunque la vita di milioni di persone. Dall’altra, in troppe zone del pianeta, assistiamo ogni giorno a sprechi e perdite idriche: un contrasto insopportabile e insostenibile.

Per l’ottanta percento dei terreni coltivati e il sessanta percento della produzione agricola mondiale, l’apporto d’acqua dipende innanzitutto dalla piovosità e bisogna dunque insistere per investimenti nella raccolta e nella conservazione delle acque nelle zone irrigate e per la modernizzazione dei sistemi irrigui in quelle aree che necessitano di metodi irrigui artificiali. È necessario accompagnare questi investimenti anche con le migliori pratiche agronomiche, valorizzando le varietà colturali più resistenti alla siccità ed è centrale applicare efficaci sistemi di assegnazione delle risorse idriche, come i diritti e le quote regolati dai soggetti pubblici a garanzia della collettività, per garantire un accesso equo a questo bene essenziale.

Di certo l’acqua non può essere trattata alla stregua di un semplice bene di consumo e di mercato. Il quaranta per cento delle persone che vivono in aree in cui l’agricoltura ha gravi carenze d’acqua è localizzato in Asia orientale e sudorientale. Condizioni analoghe di grave difficolta si vivono in Africa settentrionale e Asia occidentale. Nella sola Africa subsahariana sono cinquanta milioni le persone che vivono dove almeno ogni tre anni si assiste a una grave siccità con conseguenze disastrose su pascoli e coltivazioni. In sintesi, dove manca l’acqua ci sono povertà e fame.

Accanto a questi dati assai difficili, ce ne sono altri che lasciano sperare. Diverse analisi indicano che entro il 2050 le superfici coltivate con tecniche irrigue cresceranno ovunque nel mondo e raddoppieranno in particolare nell’Africa subsahariana. In queste zone, dove solo il tre percento delle terre coltivate è attrezzato per l’irrigazione anche a causa delle difficoltà a operare sui regimi di proprietà e sull’accesso ai finanziamenti pubblici, supportare i sistemi irrigui di piccola scala può essere di gran lunga più promettente che sostenere grandi e complessi progetti.

Se ci spostiamo nel nostro Paese, di certo dobbiamo riconoscere che l’Italia certo ha caratteristiche proprie, ma non è esente da questa sfida. Sulla penisola cadono circa mille millimetri di pioggia ogni anno e i fenomeni metereologici – come sappiamo – si sono radicalizzati per intensità negli ultimi anni. Allo stato attuale dei dati forniti dall’Associazione Nazionale Consorzi di gestione, nel nord Italia assistiamo a un calo delle riserve idriche mentre di segno opposto è la situazione dei bacini nel mezzogiorno.

I cambiamenti climatici in atto anche alle nostre latitudini accentuano l’andamento torrentizio dei più importanti corsi d’acqua. Non si tratta di un cambiamento di poco conto. In troppe aree del Paese, specie al Sud purtroppo, assistiamo a sprechi e perdite d’acqua e a una scarsa capacità di raccogliere e gestire questo bene essenziale. Oltre il trentasette per cento dell’acqua immessa nelle reti dei comuni capoluogo si perde e non arriva ai cittadini mentre a livello agricolo sono circa venti i miliardi i metri cubi d’acqua usati nei campi per la produzione di cibo. Siamo i secondi in Europa, dopo la Spagna, in termini di superficie irrigata.

E proprio l’acqua introduce anche un differenziale significativo di valore, tra le colture irrigate o meno, stimato l’anno scorso nell’ordine di circa 13.500 euro a ettaro. Una differenza importante che ricade sulla redditività delle diverse esperienze agricole territoriali e di settore. Ci sono anche segnali positivi che indicano vie interessanti e moderne per una corretta gestione della ricorsa idrica. Dal lato delle tecnologie l’Italia possiede professionalità e competenze all’avanguardia che vanno certamente meglio valorizzate. Ma anche nell’ammodernamento degli strumenti territoriali, a volte, si sanno sperimentare vie interessanti. Come ad esempio i Contratti di Fiume o di Foce che recentemente si sono diffusi in diverse zone e che creano le condizioni per una gestione aperta, accurata ed efficace insistendo su un approccio legato alla logica di bacino idrografico.

È indubbio che anche da noi occorre ora aumentare la resilienza dei territori ai cambiamenti climatici e riflettere strategicamente sul bene idrico migliorandone sia il risparmio che l’efficienza di gestione. Per questo, se c’è oggi la possibilità di concretizzare un salto di qualità degli investimenti infrastrutturali pubblici anche con le risorse europee, bisogna toccare anche questo fronte e supportare i lavori di ammodernamento degli impianti in grado di riportare a piena efficienza tanti bacini in difficoltà.

E servono invasi in tutto il Paese per raccogliere l’acqua piovana che oggi va sprecata 9 volte su 10. A metà del 1800, in Piemonte, prese le mosse la realizzazione del canale artificiale di cui fu tra i primi promotori proprio Cavour. Un’opera idraulica eccezionale a supporto dell’agricoltura, lunga ben ottantatré chilometri da Chivasso fino al Ticino. Ancora oggi questo canale è una infrastruttura fondamentale di servizio per la nostra agricoltura e quelle terre e ci testimonia, concretamente, come sia possibile agire in modo corretto, innovativo e sostenibile proprio per gestire una risorsa straordinariamente preziosa come l’acqua. Il Recovery plan può essere l’occasione per pensare a una nuova stagione delle infrastrutture irrigue del futuro. L’occasione è oggi.

Sorgente: La sfida climatica: dove manca l’acqua ci sono povertà e fame

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