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Tra il 4 e il 5 febbraio, l’equipaggio di Ocean Viking ha accolto a bordo 424 sopravvissuti. L’esodo dalla Libia – terra dove gli abusi e le violenze sono quotidiani – non si ferma. Alessandro, soccorritore di SOS MEDITERRANEE, ci racconta cosa significa davvero salvare chi rischia la vita in mare, ci racconta la vita su Ocean Viking.

Immaginate 400 persone che cantano la loro salvezza sul ponte di una nave. Uomini, donne e neonati, ma sopratutto minori che viaggiano da soli e si scoprono adulti fra una prigione in Libia e una notte in gommone in mezzo al mare.

Questa è la Ocean Viking oggi, dopo 4 soccorsi in due giorni. Siamo fisicamente stanchi perché abbiamo dato tutto: le ore di sonno, intere giornate sul gommone, turni in clinica e a ripulire, l’adrenalina e l’attesa, gli occhi che bruciano attaccati al binocolo.

Giorni di attesa e momenti febbrili si alternano, come se strappare anche solo una persona dal mare fosse un concentrato delle nostre vite: settimane di preparazione per un momento.

Quando afferro quei polsi, trascinando corpi dall’acqua al nostro gommone, sento sempre una consistenza diversa. Forza, fragilità, timidezza, vergogna e molto altro che non saprei dire si mescolano in un contatto, il tempo per chiedere non c’è, bisogna intuire e passare al prossimo.

Sappiamo che in questi giorni di insolito bel tempo – è febbraio – sono partite varie centinaia di persone. Molti intercettati e riportati in Libia, qualcuno salvato da noi, qualcuno forse morto. La fragilità di quelle barche è tessuta di tempo precario, che scorre veloce, e la differenza fra chi sopravvive e chi no si misura in minuti, in manciate di fortuna.

Foto: Hippolyte/SOS MEDITERRANEE

Sorgente: SOS MEDITERRANEE Italia | La testimonianza: “Quando afferro quei polsi, non c’è tempo di chiedere nulla”

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