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L’arrivo, all’improvviso del fondatore dei 5 Stelle. E a Zingaretti chiede: avete consegnato tutte le cartuccelle?

di Fabrizio Roncone

Montecitorio, quello che avete visto alla tivù è niente.

Pomeriggio con un tasso di situazionismo pazzesco. A parlare con Mario Draghi sono venuti tutti. Ma tutti.

 

«Andiamo a salutare lo Zio Silvio!», urla un fotografo buttandosi giù per le scalette di via della Missione, mezzo ironico e mezzo sincero, con quel po’ di nostalgia canaglia per i tempi in cui Silvio Berlusconi faceva tutto in grande, politica opere e peccati, anche se poi in effetti eccolo che ancora arriva dentro un corteo da sultano, il pulmino blindato in coda a cinque macchine, la sua che si infila subito nel garage.

Ma come: non si fa vedere?

Ragazzi, calma: vi siete dimenticati del senso di Berlusconi per lo spettacolo?

E infatti, nemmeno il tempo di finire la frase, lo Zio Silvio è già qui fermo sul portone, con le capogruppo di FI Anna Maria Bernini e Mariastella Gelmini alle spalle, le sue spalle ormai un po’ curve dentro il solito magnifico doppiopetto blu di Caraceni.

Si scatena un mischione. «Presidente, è un piacere vederla!». «Grande!». «Bella Silvio!». Microfoni nell’aria, le luci delle telecamere accese. Lui se la gusta tutta questa scena antica, d’un tempo andato, s’abbassa pure la mascherina anche se non dovrebbe, e così tutti notiamo le rughe belle dell’età che nemmeno un dito di cerone riescono più a nascondere. Ma va bene, gli anni passano per tutti e anche per Berlusconi, che è voluto venire in volo privato dalla Provenza, che dopo aver dato la linea al suo partito adesso con Draghi vuole parlare personalmente, nonostante appena quattro giorni fa i medici siano stati perentori dicendogli: no, presidente, il suo cuore ogni tanto saltella e lei, a Montecitorio, non ci va.

Un quarto d’ora dopo.

Sala della Lupa.

Qui può darsi che qualcosa siate riusciti a guardarla, nei tigì.

Draghi va incontro a Berlusconi — che avanza leggermente incerto, come ciondolante — e poi si danno il gomito, e si sente l’ex grande capo della Bce che dice con tono accogliente: «Ciao, grazie per essere venuto». È una di quelle scene destinate a restare (uscendo Berlusconi dichiarerà: «L’ora è grave. Totale sostegno. Governo di unità»).

Il tempo di scrivere due appunti sulla Moleskine. E di vedere, subito, laggiù, Nicola Zingaretti.

La delegazione del Pd ha preceduto quella di FI. Con Draghi, raccontano i democratici, l’incontro stavolta è stato assai fruttuoso e così adesso se ne stanno andando tutti abbastanza soddisfatti — Zingaretti, Orlando, alcuni componenti dello staff. Ma, all’improvviso, compare Beppe Grillo.

Il capelli bianchi.

Il viso bianco.

Lo sguardo cupo. Preoccupato? Sì, molto preoccupato.

«Avete consegnato tutte le cartuccelle?» (Grillo è rimasto, sostanzialmente, un comico, e da comico pensa sempre di dover far ridere: così prova a ironizzare sul corposo dossier che il Pd ha appena consegnato a Draghi).

«Sì, gli abbiamo consegnato tutte le carte», risponde Zingaretti, mettendo su un’aria simpatica, ma che in realtà è di pura cortesia.

Ancora Grillo: «Com’è andata?» (cerca di capire come va agli altri, mentre sta per decidere che sarà meglio rinviare il voto sulla piattaforma Rousseau, che lo lascerebbe penosamente appeso insieme a Di Maio).

Zingaretti: «La situazione si muove, si muove», replica un po’ vago il segretario del Pd, che comunque qualche pensiero ce l’ha pure lui (da ore gli arrivano i siluri interni della coppia Bonaccini&Gori, che con grande sensibilità politica pensano di assaltare la segreteria del partito mentre qui non c’è ancora nemmeno un governo; poi, ma questo Zingaretti non lo ammetterà mai, poi c’è che gli tocca venire a parlare con Draghi insieme ad Andrea Marcucci, il capogruppo al Senato legato da profonda amicizia a Matteo Renzi, il sorriso dolciastro, la richiesta di un congresso formulata mentre ancora il Paese viaggia alla media di 400 morti al giorno; Zingaretti gli ha dovuto rispondere duro: «Parlare di congresso, ora, è da marziani»).

Ecco, appunto.

E Renzi?

Ci sono tutti, c’è pure lui.

Partecipa all’incontro con il gruppo di Iv. Ma poi davanti ai microfoni lascia Maria Elena Boschi, sempre vestita di nero. Renzi va via mollandoci comunque un paio di notizie niente male. La prima: è già una settimana che non cambia idea. La seconda: saluta dicendo «Sono felice. I love you», e bisogna ammettere che la pronuncia in inglese, sì, la imbrocca (non è molto portato per le lingue straniere, fatica tanto, i miglioramenti vanno segnalati).

Nient’altro.

A parte Giorgia Meloni e i suoi che restano da Draghi mezz’ora in più del consentito. E Matteo Salvini che esce e viene al microfono. Canticchia. Se ne va. Poi torna, è un po’ sudato e ha un accenno di fiatone (può essere un po’ di stanchezza; ma se ricapita, qualcuno avverta la fidanzata, Francesca Verdini).

Sorgente: Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e Nicola Zingaretti insieme. Il miracolo di Montecitorio- Corriere.it

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