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Gli invasati di QAnon si sono scomodati a trovare una nuova teoria: le elezioni sono state truccate da Hammer, un supercomputer del deep state. The Donald però è uno dei pochi a sembrare fuori forma: prima era tutto minacce di causa e riconteggi, adesso gioca a golf o sta in casa

Trump, varie ed eventuali 
Quando Joe Biden ha vinto non si è scatenato l’inferno; per le strade la gente ha ballato come nel finale del più popolato musical di tutti i tempi. Quando Donald Trump ha twittato di aver vinto lui, non è stato l’inizio di una guerra civile postmoderna, o forse post-civile (casomai, di una guerra di poteri e di posizione, a Washington); ma – forse – l’epilogo di un grottesco drammone americano in molte stagioni.

I suoi sostenitori manifestano ma sono pochi, mezza famiglia vuole che lui conceda e mezza no. Fox News ieri sera ha interrotto la trasmissione della conferenza stampa di Kaileigh McEnany, la sua portavoce, perché accusava i democratici di brogli, ed è l’ennesima prova che Rupert Murdoch non vuol più dargli retta. Il comitato elettorale manda infinite email chiedendo soldi per le riconte e le cause per brogli. E ci sono brutte persone convinte che lo facciano per pagare i debiti della campagna. Però Trump ha preso 70 milioni di voti, più che nel 2016; l’hanno abbandonato solo alcuni maschi bianchi laureati e colpevolizzati. Ha allargato la base repubblicana, tra gli ispanici e in generale tra gli americani poveri. La maggioranza dei parlamentari del Gop non osa congratularsi col vincitore (specie quelli che vogliono candidarsi alla Casa Bianca nel 2024).

La maggioranza della maggioranza lo fa per opportunismo e paura, e i rappresentanti eletti sembrano meno responsabili dei trumpiani trucidi coi cappelli MAGA. I suoi ripetono «il trumpismo è qui per restare». Chissà se con o senza Trump. Dipende da molte cose, anche dal successo del Political Action Committee che Trump starebbe formando. I Pac possono raccogliere fondi illimitati, si vedrà quanto raccoglieranno (se andrà bene e Trump sarà a piede libero, tra quattro anni potrebbe ricandidarsi, lasciando a piedi gli altri aspiranti che avevano fatto i trumpiani per piacere alla base).

Un Joker fuori forma
Lui, diciamo, non sembra star bene. La moglie, i figli, i collaboratori, i parlamentari fedeli gridano all’elezione rubata. L’Attorney General trumpianissimo Bill Barr apre indagini su presunte frodi. Il leader del Senato Mitch McConnell dice in aula che Trump ha «al 100 per cento» il diritto di fare ricorso (non ci crede ma gli serve per trattare da posizioni fortissime). L’intera banda ha due mesi per sabotare la transizione e lasciare macerie. Ci sono dubbi sulle cause: molti avvocati che assistono Trump, riferiscono i media, pensano che così stanno minando il sistema elettorale, qualcuno più giovane ha tentato anche di fare obiezione di coscienza.

Ma chissà come finirà, se il consenso trumpiano andrà a sfarinarsi, se arriverà la Croce Verde a Mar-a-Lago. O se, a breve, Trump verrà abbandonato dai prosperi e pragmatici benché magari razzisti; ma gli resteranno milioni di sostenitori più poveri, arrabbiati, armati, che stanno rovinando la reputazione alle camicie da boscaiolo.

E tantissimi pazzi in cerca di una scusa per andare a fare una strage, che potrebbero trovarla in un suo discorso, un suo tweet, un video condiviso. Bret Stephens, commentatore del New York Times, paragona questa fase trumpiana alla scena della pazzia del Boris Godunov, arricchita ieri dal licenziamento del capo del Pentagono. La sua collega Gail Collins lo vede come «una versione molto fuori forma di The Joker». Intanto Trump, che si diceva stesse per partire a fare comizi denunciando brogli, continua ad andare al campo da golf, o sta in casa.

Niente tv per il piccolo Donald
I trumpologi prevedevano, in caso di sconfitta, il rapido lancio di una Trump Tv. Il genero Jared Kushner era stato segnalato a caccia di fondi nazionali ed esteri. Adesso, non si sa più. Lanciare una rete tv è difficile. E «quando mai Trump ha lanciato un business difficile fondato da lui? Mai, la Trump Organization era del padre, The Apprentice lo produceva Mark Burnett», twitta il critico televisivo James Poniewozik. Che prevede un talk show radiofonico (sul serio? Con Trump che ascolta domande altrui?) O un programma tv, che potrebbe tornare utile nel caso anzi nella certezza di disavventure giudiziarie (né un Biden pacificatore né Trump stesso potrebbero graziarlo da tutto; il presidential pardon riguarda solo i reati federali, non quelli di competenza degli Stati, e ce ne potrebbero essere molti; e non è una carta per uscire dalla prigione del Monopoli, che gli dia l’immunità da nuove incriminazioni; probabilmente a New York, dove l’attorney general è Letitia James, un’afroamericana contro cui Trump ha twittato moltissimo).

Tutta colpa di Hammer
Trump ha perso le elezioni per colpa di Hammer, un supercomputer del deep state; e di un programma chiamato Scorecard, in grado di manipolare la conta dei voti. È una teoria complottista , la sostengono trumpiani specchiati come Steve Bannon, l’ex consigliere George Papadopoulos, l’ex capo della polizia di New York Bernie Kerik, e dei commentatori conservatori. Online circola un video dove un mucchio di schede per Trump vengono bruciate, e i dimostranti trumpiani in giro per l’America lo mostrano sempre sul telefonino ai giornalisti che li intervistano. Tra loro – e tra il pubblico a casa – ci sono molti sostenitori di QAnon, che ora hanno due deputate al Congresso e un profeta sparito.

Q, il Beppe Grillo anonimo della cabala, non posta da una settimana. Dal giorno delle elezioni, ed era una bandiera americana col motto “together we win”. Q è sparito altre volte, ma questa sua assenza postelettorale mette in ansia i seguaci. Anche se «alcuni sono disorientati, ma la maggior parte si fida», ha detto a Vice lo studio di conspiracy theories Travis View. «QAnon è cosi Trump-centrica da lasciare poche speranze che accettino la sconfitta finché non lo fa Trump. Forse neanche in quel caso».

Cronache dello Sharpiegate
In effetti, i promotori delle teorie di Q stanno fornendo contronarrazioni. Milioni di Qanonisti pensano che il tutto sia parte di un piano. Anche perché ora credono nello Sharpiegate: gli elettori di Trump sarebbero stati obbligati a usare pennarelli sulle schede, per farli invalidare (viene da chiedere «come fanno a riconoscerli», ma si può fare). La maggioranza è convinta che Trump verrà riconfermato dopo l’arresto di Joe Biden. Molti resteranno convinti; si prevede qualche defezione dopo la diretta televisiva del giuramento di Biden, il 20 gennaio. Anche se, pensa View, «la cessazione dell’informazione rivelata generalmente non segna la fine di un movimento basato sulla fede». Altri credono che molti qanonisti cercheranno nuovi complotti.

Lapdance per donatori
Kimberly Guilfoyle, ex commentatrice Fox, nota per aver urlato la sua fede in Trump alla convention a una platea vuota, è la fidanzata di Donald Trump junior. È stata direttore della raccolta fondi della campagna elettorale. E, racconta Politico in un’inchiesta sui guai della campagna, lo ha fatto malissimo ma in modo pittoresco. Scherzava molto e con dettagli sulla sua vita sessuale con potenziali donatori. Durante una serata di raccolta fondi ha offerto una lap dance a chi avesse dato più soldi (Guilfoyle è la nuora preferita di Trump).

Florida Men, gli irriducibili
In Florida, paradiso degli alternative facts trumpiani, i repubblicani rifiutano di ammettere che ha vinto Biden. Il governatore Ron DeSantis è andato su Fox News a suggerire un intervento delle legislature repubblicane di Pennsylvania e Michigan. Il senatore Rick Scott ha twittato che l’elezione «è ancora sul filo». L’altro senatore, Marco Rubio, in teoria quello ragionevole, che vuole riproporsi nel 2024 come repubblicano sano di mente, l’ha presa alla lontana ma neanche tanto. Ha dichiarato che «i media possono proiettare un vincitore, ma non possono decidere se le accuse di irregolarità siano vere o false. Lo decidono i tribunali».

Succede perché la Florida è il regno di Trump, è sempre lì a Mar-a-Lago, ha vinto bene, dovrebbe continuare a contare. Mentre i democratici hanno perso molti ispanici, non hanno convinto gli afroamericani ad andare a votare, non hanno sfondato tra i bianchi. E hanno capito di non vivere più in uno swing state, ma in una specie di grande zoo tipo Tiger King. Con Donald Trump-Joe Exotic che continua a fare cose strane nel suo ultimo avamposto (al netto di tutte le città che sono blu, dell’attivismo che forse ricomincerà, dei paralleli cialtroni a cui non si resiste, basta guardare i capelli di Exotic e di Trump).

Sorgente: Il trumpismo non è ancora finito (soprattutto per i complottisti), Trump invece sì – Linkiesta.it

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