Era stata l’associazione a porre il problema fin dalla prima emergenza, rilevando che mentre le regioni andavano a cercare medici cubani, romeni e siriani, in Italia miglia di medici stranieri iscritti ai relativi ordini professionali erano impossibilitati a lavorare direttamente per il pubblico. Questo esercito di migliaia di medici e infermieri (oltre 77mila secondo le stime), rimaneva appannaggio della sanità privata, delle cooperative o impiegato a chiamata come partita Iva. Lo steccato della cittadinanza è stato alzato anche da altre regioni, in alcune poi è caduto, dando finalmente seguito alle disposizioni del governo ignorate per mesi.
Un esempio è l’Umbria, dove i bandi escludevano il personale straniero. L’azienda ospedaliera di Perugia alla fine ne ha emesso uno (scade il 25 novembre) che non preclude l’accesso in base alla cittadinanza. “Il fatto che Piemonte e Umbria ci abbiano ripensato è importante”, evidenzia Foad Aodi. “Sono due regione governate da forze di centrodestra e questo fa ben sperare, perché significa che il pregiudizio ideologico e politico verso gli stranieri non ha retto alla prova dell’emergenza sanitaria che ci rende uguali nei diritti e nei doveri”.