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REPORTAGE. La situazione nelle stazioni di Termini, Tiburtina e San Pietro, dove nonostante l’ordinanza regionale centinaia di persone dormono per strada. Supportate solo dai volontari. “Da Comune e Regione un immobilismo lungo sette mesi, mentre i contagi da coronavirus continuano a salire”

di Eleonora Camilli e Francesco Spagnolo

ROMA – Quando mancano pochi minuti a mezzanotte un gruppo di persone esce dalla porta centrale della stazione Termini, a Roma: sono originari dell’Est Europa, hanno valigie e borse, non sono turisti. Mettono i bagagli impilati sulla ringhiera che dà su piazza dei Cinquecento, allungano sull’asfalto i cartoni, poi il sacco a pelo e infine le coperte. Con l’automatismo di un rito ripetuto si apprestano a passare un’altra notte in strada. Intorno la città si svuota: c’è solo un taxi in fila, in attesa degli ultimi viaggiatori, sul piazzale ancora pochi autobus, le macchine della polizia e qualcuno che si affretta a tornare a casa. L’ordinanza firmata dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, dispone la chiusura delle attività e lo stop degli spostamenti dalle 24 alle 5 di mattina, per trenta giorni. Nella notte del primo coprifuoco a Roma dal dopoguerra, Redattore Sociale ha documentato la situazione di chi non ha una casa in cui tornare nelle stazioni di Termini, Tiburtina e San Pietro.  

In tutto sono circa 50mila i senza dimora in Italia, ottomila solo nella città di Roma, a cui si aggiungono circa 12mila persone nei palazzi occupati e cinquemila nei campi rom. Durante il primo lockdown a marzo, le associazioni che si occupano delle persone più vulnerabili, e in particolare, Binario95, il centro diurno di via Marsala, avevano lanciato la campagna #vorreistareacasa chiedendo alle istituzioni di predisporre luoghi adeguati all’accoglienza e alla quarantena di chi vive in strada. Sette mesi dopo la situazione, però, non è cambiata. Medu, Medici senza frontiere e Intersos denunciano l’immobilismo di Comune e Regione, mentre il numero dei contagi sale di giorno in giorno. Solo nella notte del primo coprifuoco abbiamo contato centinaia di persone, che dormivano all’aperto, sotto i portici delle principali stazioni, con il rischio anche di incorrere in una sanzione.

Piazza S. Pietro

“Passavo la notte sugli autobus, stanotte non so dove andare”

Mickael ha 34 anni e viene dalla Romania. E’ in Italia da dieci, da quando è arrivato ha fatto tutti i lavori: il manovale, il fabbro, l’idraulico. Poi un giorno un incidente stradale gli ha cambiato la vita: il coma, un anno di ospedale, la perdita del lavoro e della manualità. “Non so dove andare stanotte, so che non si può stare in giro – ripete -. Ma non so dove andare. Prima passavo la notte sugli autobus notturni, giravo, dormivo lì sopra, quasi non mi sembrava di essere senza casa. Qualche volta mi hanno anche aggredito e derubato, però lì sopra mi sentivo più sicuro. Ora dove vado? So che non si può girare ma a dormire per strada ho paura”. Recupera la cena, una coperta e un paio di scarpe: i volontari gli consigliano alcuni dormitori in zona, ma è probabile che siano pieni. Sono le 21,30 e piazza San Pietro è quasi deserta. I volontari della Fondazione Beato Federico Ozanam- San Vincenzo De Paoli hanno appena finito la distribuzione del cibo a circa 80 persone: nel sacchetto c’è un po’ di pasta, il pollo arrosto e la frutta. Una ragazza del gruppo ha comprato anche i cornetti al bar. Stefano Zoani, avvocato in pensione, con alle spalle 50 anni di volontariato, è il coordinatore del gruppo: “Veniamo qui il venerdì e la domenica. Il cibo lo cucinano gli ex detenuti del progetto Isola solidale – spiega -. Qualche trattoria, poi, quando può ci fornisce cibo. E’ un lavoro di squadra”. Sotto i portici, davanti il colonnato della Città del Vaticano, ci si prepara per la notte, anche qui: cartoni, coperte e qualche sacco a pelo. Anche la Croce Rossa, stasera, ha portato cibo e vestiti. Tra un pasto e l’altro Ornella, una delle operatrici della Croce Rossa, ci racconta il loro servizio itinerante per la città, tre volte a settimana: “Giriamo con la nostra ambulanza attrezzata e ci fermiamo in vari punti. Solo qui in zona Vaticano iniziamo la distribuzione della pasta e delle coperte, ma anche delle mascherine per chi non le ha, vicino a Castel Sant’Angelo, poi in piazza san Pietro e via via lungo i porticati del Colonnato”. Nelle tre sere in cui si articola il loro impegno sono in media un centinaio per ogni sosta le persone povere che assistono, “ma ogni volta non si può mai dire: ci sono sere in cui non ci basta più la pasta da distribuire, ed altre in cui ci avanza”, ci spiega.

Piazza S. Pietro

Nella struttura per senza dimora di Papa Francesco, “un ponte tra la strada e la casa”

A pochi passi dal colonnato del Brunelleschi a Palazzo Migliori, dal nome della famiglia che nel 1930 donò lo stabile al Vaticano, i poveri e i senza dimora hanno già cenato. C’è chi va via, chi si ferma a chiacchierare con i volontari e chi torna  nella sua stanza. La struttura, inaugurata da Papa Francesco un anno fa, il 15 novembre 2019, è affidata all’Elemosineria di Sua Santità ed è data in gestione alla Comunità di Sant’Egidio.“Sono circa una trentina, ma la struttura ne può ospitare fino a 50, le persone che attualmente accogliamo qui a Palazzo Migliori, sia italiani che stranieri, comunitari e non, soprattutto persone anziane e malate, che oltre a poter cenare alle 19:30, possono anche risiedere e dormire – ci spiega Carlo, il responsabile della struttura per conto della Comunità nata a Trastevere -. Ma noi non consideriamo questa posto come un ‘Centro di accoglienza notturna e diurna’, come tecnicamente andrebbe chiamato, bensì un ‘ponte’ tra la strada e una casa vera e propria”. A parte alcuni casi cronici infatti, Carlo ci spiega che l’idea che ha sviluppato negli anni Sant’Egidio è di “comprendere i poveri nei loro bisogni, nei motivi che li hanno portati a stare per strada, e accompagnarli” ad un rientro graduale in una situazione di “normalità”, fatta soprattutto di relazioni e di solidarietà, attraverso un progetto personalizzato. “Al di là di una certa retorica sulla povertà, non è vero che c’è chi preferisce la strada: nessuno in maniera consapevole sceglie di dormire sotto un ponte – aggiunge -. Stare per strada è drammatico per chiunque e ci si finisce per motivi diversi, soprattutto in questo periodo di pandemia. Roma è una città in cui è difficile essere poveri, c’è moltissima solitudine e non abbastanza solidarietà”.

Il Covid, poi, ha costretto tutti a ripensare il servizio. “Abbiamo dovuto permettere, ad esempio, anche un presenza diurna delle persone, soprattutto nel periodo del lockdown, quando l’assenza di turisti e la chiusura dei locali ha tolto anche quel minimo di sostentamento che le persone senza dimora potevano racimolare con l’elemosina”, ci dice ancora Carlo. “Ed ora non sappiamo cosa succederà al centinaio di poveri che ogni sera vediamo qui in zona con la chiusura notturna – conclude Carlo prima di terminare il suo servizio ed andare a parlare con qualcuno degli ospiti– ma non sappiamo cosa succederà purtroppo anche con l’arrivo del freddo ormai imminente. Roma è una città che dovrebbe ripensarsi a partire dagli ultimi, ma è un discorso complesso”.

A Tiburtina, dove i volontari vanno avanti nonostante l’inerzia delle istituzioni

A Tiburtina, dopo la mezzanotte si contano almeno 80 persone nel piazzale Est della stazione, dove c’è il presidio di Baobab experience. Dormono distanziati a terra, tra i cartoni e le coperte. La stazione è ormai chiusa. Alle 20,30 all’ora della distribuzione dei pasti almeno 70 le persone allineate su due file attendevano la cena dall’altro lato della stazione. Hassan, 22 anni, del Pakistan, resta staccato dal gruppo: ha paura di avvicinarsi, aspetta il suo turno in un angolo. “Sono in Italia da tre anni – racconta in italiano -. Ma non trovo lavoro, ho imparato la lingua, ma non c’è niente per me. Per mangiare vengo qui, dormo dall’altra parte, non so cosa fare, non so dove andare, in questi mesi la mia vita si è fermata e temo sarà sempre peggio”. Salvatore Rasano è il coordinatore del gruppo Caritas della parrocchia di San Romano, nel quartiere Pietralata. Da qui, ogni mercoledì e venerdì, parte un furgone carico con i pasti preparati in parrocchia: nei sacchetti monoporzione c’è pasta, pizza, dolce e frutta. “Il coprifuoco è un problema che tutti ci stiamo ponendo, ci chiediamo come possiamo tutelare queste persone in una situazione del genere – sottolinea -. Dal Comune per ora abbiamo avuto risposte aleatorie, o meglio delle non risposte, loro per primi non sanno come affrontare il problema. Molte più risposte ci sono arrivate dal Vaticano, padre Konrad Krajewsky ci ha detto di essere disponibile per ogni richiesta, anche sanitaria”. Mentre parliamo, nella saletta della parrocchia, i volontari continuano a riempire i sacchetti da portare in stazione: prima si arrivava in strada col pentolone pieno di minestra o pasto, e nel gesto di riempire il piatto si poteva anche scambiare qualche parola. Ora i contatti sono meno stretti, mi spiegano i volontari. Alcuni di loro sono over 60. “La paura di andare in strada c’è sempre, anche per la tutela della nostra salute – aggiunge Salvatore -. Ma lo facciamo da 25 anni questo servizio, lo abbiamo fatto in tutti i momenti difficili, lo continueremo a fare. Non ci siamo mai tirati indietro”. Durante il lockdown la parrocchia di San Romano è diventata punto di smistamento per le altre Caritas di periferia, da San Basilio a Ponte di Nona. “L’aspetto del sostentamento è quello più problematico, vengono da noi anche tante persone che prima lavoravano in nero e ora sono totalmente disoccupate. Ci sono poi tante famiglie con bambini – aggiunge Carlo Alberto Fidi -. In molti sono stati mandati via dal lavoro, non hanno nessun diritto a misure come la cassa integrazione. Sono davvero invisibili. Vorremmo che le istituzioni si svegliassero e capissero che c’è un problema sociale reale: nessuno, invece, si occupa di chi ha bisogno. Se non ci fosse l’aiuto dei volontari scopriremo sacche di povertà davvero più incredibili”.

senza dimora stazione

Intanto la settimana scorsa Baobab Experience ha denunciato un nuovo sgombero al presidio della stazione Tiburtina. “La sindaca ha parlato di intervento di pulizia e sanificazione – denunciano gli attivisti – e di migranti presi in carico. Ma il loro intervento è consistito nel buttare le coperte dei senza fissa dimora, l’unico riparo per gli esclusi dal circuito istituzionale di accoglienza”. Il Baobab sottolinea inoltre che nell’ultima settimana sono arrivati al loro presidio 150 persone: “uomini, donne e bambini transitanti, evidentemente invisibili agli occhi dell’amministrazione. La campagna elettetorale è iniziata – aggiungono – nel caso in cui la sindaca Raggi volesse davvero dialogare di programmi di inclusione, superando la narrazione securitaria delle destre, noi, come sempre, siamo pronti”.

Sorgente: Senza dimora, la prima notte di coprifuoco a Roma tra chi non può tornare a casa – Redattore Sociale

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