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«È tutto bloccato, ci sono soldati ovunque! Vogliono davvero sparare a tutti? L’unica arma che abbiamo è la bandiera nigeriana». La diretta Instagram di Obianuju Catherine Udeh, nota come Dj Switch, si interrompe mentre attorno a lei sibilano i proiettili, e le bandiere si macchiano di sangue. Al casello autostradale di Lekki a Lagos, il cuore economico della Nigeria, sono arrivati i militari. Devono sgomberare l’area perché alle 7 di sera i manifestanti — impegnati da due settimane in una enorme protesta contro la brutalità di un ramo della polizia — non possono più stare lì a bloccare l’autostrada: tre ore prima il governatore dello Stato ha indetto un coprifuoco di 24 ore, dopo che i dimostranti avevano dato fuoco a una stazione di polizia.

I militari avevano avvisato: erano pronti a intervenire «contro i sovversivi». Ma più che uno sgombero o un blitz, quei minuti davanti alla barriera somigliano a un’esecuzione. Decine di uomini in mimetica scesi dalle camionette esplodono colpi in aria, urlano ai manifestanti di sedersi a terra. Qualcuno comincia a scappare, altri si inginocchiano e prendono «a gridare e a cantare. Ed è allora — racconta il 28enne Emmanuel Edet al Guardian — che hanno iniziato a spararci addosso. La gente intorno a me ha iniziato a cadere. Senza vita, uno alla volta».

 

Il massacro di Lekki, martedì sera, lascia a terra almeno 12 vittime civili — conta Amnesty International — e attira l’attenzione internazionale su quel che accade in Nigeria. Il Paese più popoloso dell’Africa, duecento milioni di abitanti e un’età media di 18 anni, da inizio ottobre è attraversato da manifestazioni per lo più pacifiche in cui ragazzi giovanissimi, dall’hub economico di Lagos alla capitale Abuja, pretendono l’abolizione immediata della Sars: la Special Anti-Robbery Squad, una forza armata accusata di aver derubato, ricattato, torturato e ucciso decine di nigeriani negli ultimi anni. «Violenza extragiudiziale» sempre meno accettabile per i ragazzi delle città, a cui manca solo una miccia. L’accende un video, come fu per George Floyd: risale a inizio ottobre e mostra un uomo portato via da un hotel e giustiziato a sangue freddo lì fuori.

La mobilitazione partita dai social al grido di #EndSars coinvolge migliaia di ragazzi, li porta a battersi in strada per la prima volta, forza che scopre se stessa e sorprende il governo. Il 77enne presidente Muhammadu Buhari, che la piazza vorrebbe far dimettere, l’11 ottobre è costretto a sciogliere la Sars e a promettere «riforme» senza una scadenza temporale: ma ai manifestanti non basta. Non si fidano, anche perché la Sars viene in parte sostituita dagli Swat, e allora la cultura di violenza non può finire.

Così si continua a protestare per giorni. Viene bloccato l’aeroporto Murtala Muhammed, si fanno barricate per strada, una tv considerata filogovernativa viene assaltata e da un carcere scappano duemila detenuti. Il Paese è nel caos. E mentre le istanze della strada, amplificate da artisti locali come il cantante Davido, vengono raccolte anche all’estero — da Kanye West a Hillary Clinton, fino ai calciatori Victor Osimhen del Napoli e Nwankwo Simy del Crotone — in Nigeria ci scappano diversi morti: fino a 35, inclusa la mattanza finale di Lekki. Forse non l’ultima.

Sorgente: Nigeria, 12 manifestanti uccisi durante le proteste. Amnesty: fermare le violenze della polizia

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