Processo a Salvini | Rep
Storia della nave Gregoretti, del suo carico di migranti e dei cinque giorni in cui il leader della Lega sospese la legge del mare, le convenzioni e il diritto internazionale. E di un giudizio per sequestro di persona spacciato come “un martirio”di CARLO BONINI (COORDINAMENTO E TESTO), FABIO TONACCI (ROMA), ALESSANDRA ZINITI (CATANIA), GIORGIO RUTA (VIDEO) COORDINAMENTO MULTIMEDIALE LAURA PERTICI. GRAFICHE E VIDEO A CURA DI GEDI VISUAL
I giorni della motonave della Guardia costiera “Bruno Gregoretti” resteranno una pagina indelebile nella storia del nostro Paese. Un’onta che, al netto di quello che sarà l’esito penale della vicenda, racconta la ferocia e il cinismo della Politica, l’ignavia degli apparati, l’ottusità delle burocrazie, di fronte alle vite di 131 migranti in fuga dalla guerra e colpevoli soltanto di chiedere asilo. Raccolti come naufraghi nel Mediterraneo centrale e tenuti in ostaggio, nel luglio del 2019, sul ponte di una nave militare italiana, in una grottesca prova di forza con l’Europa del governo Giallo-Verde a esclusivo uso domestico. Centotrentuno innocenti divorati dalle malattie infettive, dal sole, dalla disperazione. Contro ogni convenzione internazionale di soccorso in mare. Contro le leggi sulle misure di protezione dei minori. Contro il testo unico delle leggi sull’immigrazione.
Dopo l’autorizzazione a procedere concessa dal Senato lo scorso dicembre, il 3 ottobre, a Catania, il leader della Lega Matteo Salvini, in qualità di ministro dell’Interno dell’epoca, risponderà di tutto questo di fronte al capo dell’ufficio Gip, Nunzio Sarpietro, per sequestro di persona aggravato. Da mesi, Salvini annuncia l’appuntamento come un giorno di “martirio” che lo offra al lavacro purificatore di folle plaudenti strette intorno al palazzo di Giustizia. Per questo, per raccontare nel dettaglio cosa sono stati i giorni della “Gregoretti”, siamo tornati lì. Dove tutto si è consumato. Tra il mare e la terra. Tra il ponte rovente di una nave, l’ufficio di un prefetto, Palazzo Chigi, una spiaggia di Milano Marittima.
John Egidio
Settembre 2020
Vittoria, provincia di RagusaJohn Egidio ha appena compiuto un anno. Se non fosse stata ordinata l’evacuazione d’urgenza di sua mamma Aishat, col pancione di nove mesi, sarebbe nato all’addiaccio sul ponte della Gregoretti. Per fortuna ha visto la luce appena 72 ore dopo all’ospedale San Marco di Catania.
Il 3 ottobre, nell’aula del tribunale di Catania, ci sarà la sua famiglia di fronte all’imputato Matteo Salvini: Jafra e Aishat Saha, marito e moglie nigeriani, e i primi loro due figli Rafia e Alidi si sono costituiti parte civile contro l’ex ministro dell’Interno per averli tenuti per cinque giorni sotto sequestro, insieme ad altri migranti (in tutto 135), a bordo della nave da supporto Bruno Gregoretti della Guardia costiera che li aveva soccorsi nel Mediterraneo.
Aishat oggi vive in una comunità a Vittoria, in provincia di Ragusa. Attende un permesso di soggiorno che ancora non arriva. E quel passaggio sulla Gregoretti se lo ricorda bene. “Giorni e giorni senza farci scendere, neanche gli animali si trattano così, senza dirci perché. Ho pensato che a loro noi non servivamo a nulla…”.
Dice Salvini che, quando siederà alla sbarra, si dichiarerà colpevole. L’udienza di apertura del processo è fissata per la mattina di sabato 3 ottobre. Il leader leghista ha chiamato a raccolta i suoi fan distribuendo magliette con la scritta “processate anche noi”. L’idea è trasformare Catania in una Pontida del sud, con folle di camicie e bandiere verdi inneggianti al leader che offre il suo petto ai giudici per avere – secondo lui – difeso i confini della patria. Salvini promette che, se arriverà a Palazzo Chigi, lo rifarà.
Anche Carlo Giarratano promette che lo rifarà. Non è un politico, né un ex ministro dell’Interno. È un pescatore di gamberi, ha 37 anni, è di Sciacca. E se in mare gli capiterà di troverà altri naufraghi li salverà, esattamente come ha fatto il 25 luglio di un anno fa. “Mi chiedo se chi vuole chiudere i porti abbia mai sentito queste voci che urlano nel buio e nel silenzio della notte in mezzo al mare”.
Urla nel buio
25 luglio 2019, ore 3.40
48 miglia a sud-est di Lampedusa, Mediterraneo centraleIl motopesca “Accursio Giarratano” incrocia a 48 miglia a sud est di Lampedusa. In plancia c’è il comandante Giarratano. È una notte afosa e il peschereccio naviga in piena zona Sar (Search and Rescue) di competenza maltese. Le prime reti issate a bordo sono valse l’uscita: i gamberi ci sono e sono abbondanti. Ma in quel tratto di mare non si pescano solo quelli. Spesso, si tirano su esseri umani. Quando il silenzio della notte è rotto da grida, nessuno a bordo capisce da dove arrivino. È buio pesto, il mare è come pece. Con il faro che spazza la superficie dell’acqua, l’equipaggio illumina un gommone in avaria che trasporta cinquanta migranti.
L’avvistamento è delle 3.40 e subito viene informato il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Imrcc) di Roma. Pur essendo zona di responsabilità di Malta, l’Italia prende in carico la gestione del salvataggio, perché dalla Valletta hanno fatto sapere di non avere mezzi a disposizione, perché già occupati in altre operazioni.
Giarratano, ancora oggi, conserva un ricordo indelebile di quella notte. “Stavamo per ributtare in mare l’attrezzatura quando sentiamo delle grida nel buio. All’inizio non capiamo da dove provengano, poi uno di loro accende una lucina e li individuiamo. “Help, help”, urlano. Sono una cinquantina, tra loro donne e bambini. A quel punto, accostiamo e cerchiamo di proteggere il gommone dalle correnti. Verso l’alba, però, cominciano a imbarcare acqua. Passiamo ai migranti dei secchi per consentirgli di svuotare il gommone e del cibo. Direi che siamo rimasti accanto a loro 19 ore. Per sorvegliarli e dargli coraggio, finché non è arrivata la motovedetta della Guardia costiera. Se non ci fossimo stati noi non so cosa ne sarebbe stato di loro. Una cosa è certa: non ci saremmo mai girati dall’altra parte. Per chi è in mare e va per mare il soccorso è sacro. A chicchessia”.Alle 21.55 di quel 25 luglio 2019, i 50 migranti sono in salvo sulla motovedetta CP 319 della Capitaneria arrivata da Lampedusa. Raccontano di essere in mare già da cinque giorni e di essere partiti dalla spiaggia di Homs, in Libia, ad est di Garabulli, nella notte tra il 20 e il 21 luglio. Sono convinti che la traversata del Mediterraneo si sia conclusa sul ponte di quella motovedetta. Sbagliano.
Il secondo salvataggio
25 luglio 2019, ore 18.30
Sala operativa dell’Imrcc, quartiere Eur, RomaLa sala operativa del Centro nazionale di coordinamento del soccorso in mare (Imrcc) si trova all’interno del Comando generale della Guardia costiera, nella palazzina di cemento e vetro che si innalza per sei piani lungo il viale della Civiltà Romana, nel quartiere Eur di Roma. Sui monitor, gli operatori seguono in tempo reale ciò che succede centinaia di miglia più a sud, nelle acque del Mediterraneo.
Per la motovedetta CP 319 la disposizione è attendere l’arrivo della nave appoggio “Bruno Gregoretti” per il trasbordo dei naufraghi. E sono le 18.30 quando – si legge nell’annotazione da lui stesso redatta – il comandante della “Gregoretti”, il tenente di vascello Carmine Berlano, riceve l’ordine “di dirigere a nord di Lampedusa per ricevere a bordo un numero ancora imprecisato di migranti che stavano per essere soccorsi in due distinte operazioni Sar da un pattugliatore della Guardia di finanza (evento Sar 305) e da una motovedetta della Guardia costiera (evento Sar 300)”.
I soccorsi, dunque, sono diventati due. Dopo quello dell'”Accursio Giarratano”, infatti, Imrcc riceve la segnalazione di un altro gommone in difficoltà, avvistato da un motopesca tunisino e da un aereo maltese. Questa volta i migranti sono 91. All’1.46 del 26 luglio, vengono presi a bordo del pattugliatore della Guardia di Finanza “Monte Sperone – P01”. Anche questo gruppo è destinato al trasbordo sulla Gregoretti in arrivo. Sul registro della sala operativa di Imrcc, gli addetti annotano di “avere informato tutti i comandi/enti interessati (compreso dunque il ministero dell’Interno, ndr) circa l’avvenuto recupero da un gommone, in area Sar maltese, di 50 migranti. Tale intervento è stato eseguito in aderenza alle indicazioni del ministero dell’Interno, al fine di fornire supporto alle autorità maltesi”.
Dove si svolge la vicenda
La partenza
Nella notte tra il 20 e il 21 luglio, 50 migranti partono da Homs, in Libia (tutte le fotografie cliccando il link in fondo all’articolo)
Tutti a bordo
26 luglio 2019, ore 5.51
Un punto imprecisato a sud di Lampedusa, Mediterraneo centraleAlle 5.51 del 26 luglio, la Gregoretti è al punto di incontro stabilito per il trasbordo dei migranti raccolti dal pattugliatore della Finanza e dalla motovedetta della Guardia costiera. Non è una nave attrezzata per il salvataggio in mare, né per l’accoglienza e il primo soccorso di naufraghi. È una imbarcazione destinata all’attività di vigilanza e pesca: 60 metri di lunghezza, 13 di larghezza, un solo ponte, locali in coperta ridottissimi, 30 uomini di equipaggio più il comandante. Ma all’alba di quel venerdì al Comando generale di Roma nessuno pensa che quello sia un problema. E per un buon motivo: si dà per scontato che, essendo eventi Sar coordinati dall’Italia, con mezzi militari italiani, i migranti saranno a terra nel giro di poche ore.
Nessuno immagina che è appena cominciato un nuovo “caso Diciotti”. Un’altra nave della Guardia costiera, la Ubaldo Diciotti, classe Dattilo, esattamente un anno prima era stata bloccata da Salvini per una settimana nel porto di Catania con il suo carico umano composto da 177 naufraghi. Anche per quella vicenda il ministro dell’Interno sarà accusato di sequestro di persona dal Tribunale dei ministri di Catania, ma il Senato, non concedendo l’autorizzazione a procedere, lo salverà dal processo.
Alle 7.30 di quel 26 luglio il trasbordo è completato. La Gregoretti ha accolto 135 migranti: 132 uomini, una sola donna (Aishat, incinta di nove mesi) e i suoi due bambini. Dieci minuti più tardi, da Roma, l’Irmcc ordina al comandante di fare rotta verso Catania in attesa della formale indicazione del Pos (il place of safety) che le autorità che coordinano il soccorso sono obbligate a fornire il più rapidamente possibile per far sbarcare i naufraghi nel porto sicuro più vicino. Dopo 17 ore di navigazione, la Gregoretti getta l’ancora al punto di fonda indicato, davanti al porto di Catania.
La mail
26 luglio 2019, 13.36
Palazzo Chigi, Roma
Commissione Europea, BruxellesNella tarda mattinata del 26 luglio, si muove Palazzo Chigi. L’ambasciatore Pietro Benassi, consigliere diplomatico e rappresentante personale del premier nei vertici G7/G20, dall’indirizzo di posta istituzionale invia una mail alle cancellerie degli Stati membri dell’Unione Europea per sondare il terreno. L’Italia vuole la redistribuzione dei migranti a bordo della “Gregoretti”.
“Cari colleghi, cari amici, vi informo che il Direttorato Generale-Affari Interni della Commissione Europea, su richiesta italiana, da stamattina sta contattando gli Stati membri in vista della redistribuzione delle persone salvate in mare e attualmente a bordo della nave “Gregoretti” della Guardia costiera. Le informazioni allegate sono divise in due gruppi, perché le persone sono state inizialmente recuperate da due imbarcazioni militari italiane prima di essere trasferite sulla Gregoretti.
Primo gruppo: 44 persone, tutti uomini, sedici minori non accompagnati di età compresa tra i 15 e i 17 anni. Nazionalità: 4 Chad, 1 Senegal, 1 Nigeria, 1 Guinea Bissau, 1 Costa d’Avorio, 35 Sudan.
Secondo gruppo: 91 persone, 88 uomini, una donna incinta con due bambini (di 6 e 10 anni) e il padre. Nazionalità: 6 Chad, 2 Senegal, 4 Nigeria, 2 Guinea Bissau, 72 Sudan, 2 Niger, 2 Gambia, 1 Mali. La famiglia è nigeriana.
Vi ringrazio in anticipo e spero in un feedback positivo del vostro Paese alla Commissione Europea riguardo alla redistribuzione”.Benassi mette in copia anche la Farnesina, nella persona dell’ambasciatore Maurizio Massari, il rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea. Il quale si fa vivo alle 20.28, ancora via mail, rispondendo a Benassi e informando sia la Presidenza del Consiglio sia la Farnesina.
“Per ora hanno dato disponibilità Francia, Germania, Irlanda e Lussemburgo. Senza cifre esatte. Michou (Paraskevi Michou, allora responsabile del Direttorato Generale per le Migrazioni e gli Affari Interni della Commissione Europea, ndr) ritiene ne prenderanno 15 circa a testa. Altre capitali contattate non hanno ancora dato risposta. Considerano (Commissione e Stati membri) che anche noi ne prenderemo una parte. Ti aggiorno man mano”.
Il sequestro e San Tommaso
27 luglio 2019, ore 00.35
Rada di CataniaDa trentacinque minuti è passata mezzanotte. La Gregoretti è arrivata a Catania e ha chiesto ufficialmente al Centro di coordinamento di Roma il “Pos”, Place of safety, ma viene tenuta in stand-by. Dal Viminale non danno l’autorizzazione. È in questo preciso momento che i magistrati del Tribunale dei ministri di Catania, mesi dopo, individueranno l’inizio del sequestro di persona e della violazione della legge, con l’aggiramento delle convenzioni internazionali, che obbligano all’assegnazione del porto sicuro più vicino, e del codice penale italiano.
Salvini non concede lo sbarco e lo dichiara pubblicamente. È la sua politica da quando siede alla scrivania che fu di Giolitti al ministero dell’Interno. “Non darò nessun permesso di sbarco finché dall’Europa non arriverà l’impegno concreto ad accogliere tutti gli immigrati a bordo della nave”, ha scritto già il giorno prima, il 26 luglio. “Vediamo se alle parole seguiranno dei fatti. Io non mollo”. Il proposito è ribadito durante una visita del ministro al Centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano. “Ho già dato indicazioni che non venga assegnato un porto prima che non ci sia sulla carta la redistribuzione in tutta Europa. Nessuno sbarcherà finché non ci saranno nome, cognome e indirizzo dei Paesi che accoglieranno questi immigrati. Fidarsi è bene, ma faccio come San Tommaso”.
Niente porto e auguri alla fidanzata
27 luglio 2019
Milano Marittima
Viminale, RomaCome se fosse un 27 luglio qualunque, come se non ci fossero 135 persone su una nave militare accalcate e martellate dal sole in attesa di un suo cenno, Salvini si sveglia spensierato. “Buon compleanno ragazza”, scrive sulla sua pagina Facebook, sotto una foto che lo ritrae abbracciato alla fidanzata Francesca Verdini, che quel giorno compie 28 anni. Salvini, come spesso gli capita, non è al Viminale. Sta trascorrendo il weekend a Milano Marittima, località di cui è habitué.
A Roma, l’operatività del ministero dell’Interno è, come accade da quando Salvini ci ha messo piede, nelle mani del capo di gabinetto: il prefetto Matteo Piantedosi, ministro ombra cui è affidata la delicatissima macchina del Viminale mentre il vero ministro gira l’Italia nella sua campagna elettorale permanente.
Il prefetto ha appena ricevuto una nota dell’Imrcc che segnala difficoltà a bordo della Gregoretti. “Per caratteristiche tecnico/nautiche la nave Gregoretti non è in grado di fornire un’adeguata sistemazione logistica ad un così elevato numero di persone. I migranti sono, di fatto, ospitati sul ponte di coperta esposti agli agenti atmosferici con le problematiche che ben sono immaginabili (a titolo di esempio domani sono previsti 35 gradi). Si aggiunga che la ridotta composizione dell’equipaggio, solo 30 uomini, non consente la corretta gestione di un così elevato numero di persone”.
Da Milano Marittima, Salvini non rinuncia a lanciare strali contro uno dei suoi obiettivi preferiti: Carola Rackete, la comandante tedesca della Sea-Watch che all’inizio di luglio ha infranto i divieti del suo Decreto sicurezza bis con una manovra di attracco a Lampedusa per cui è stata arrestata e successivamente liberata e scagionata. “Oggi è il gran giorno senza reggiseno – ironizza Salvini su Twitter, riferendosi alla manifestazione di sostegno per Carola – nella foto la nuova eroina di giornaloni, intellettualoni e sinistri vari alla ricerca dei voti del Pd. Ormai serve il binocolo”.
Poi si esalta per il successo della nazionale di pallanuoto ai mondiali in finale contro la Spagna (“Straordinari ragazzi. Col Settebello italiano ancora primi al mondo”). Infine, a sera, interviene con una diretta Facebook sulla manifestazione No Tav in Val Di Susa. “Manifestanti incappucciati stanno tentando di forzare i cancelli del cantiere Tav, ovviamente con sottofondo di ‘Bella Ciao’ e ‘Fuori gli sbirri’. I soliti. Vergognatevi, siete gente senza coscienza e senza morale, per fortuna siete pochi”.
Non un accenno alla Gregoretti. Non una parola sull’autorizzazione allo sbarco, che ha pubblicamente rivendicato a sé. E che non ha intenzione di concedere. Il prefetto Piantedosi obbedisce.
Scorri da sinistra a destra per vedere i post Facebook del 27 luglio di Matteo Salvini
La lingua astrusa del prefetto
24 ottobre 2019
Tribunale dei ministri, CataniaMatteo Piantedosi scende a Catania il 24 ottobre. È stato convocato dal collegio del Tribunale dei ministri che sta accumulando materiale e audizioni per completare l’istruttoria sul caso Salvini-Gregoretti. L’ormai ex ministro dell’Interno è accusato di sequestro di persona a scopi politici per non aver concesso, per cinque giorni consecutivi dal 27 luglio al 31 luglio, lo sbarco. Non è la prima volta che i tre magistrati che compongono il collegio – Nicola La Mantia, Sandra Levanti, Paolo Corda – si trovano davanti Piantedosi.
Lo avevano chiamato già un anno prima, quando si è trattato di valutare le responsabilità del sequestro nel caso Diciotti. In quell’occasione, lo hanno sentito rilasciare dichiarazioni inequivocabili: “La disposizione di non far sbarcare i migranti, o meglio che i migranti rimanessero a bordo della Diciotti fino alla definizione delle trattative intraprese a livello europeo, è stata assunta dal ministro Salvini. Io mi sono preoccupato di concretizzare la volontà politica. È altresì notorio che il ministro Salvini è intervenuto e interviene in maniera marcata sull’argomento, che rappresenta uno dei punti centrali del suo programma politico”.
Dunque i magistrati non si aspettano niente di diverso, quel 24 ottobre, dalla semplice riproposizione di ben assodati concetti. Invece, il prefetto Piantedosi li spiazza, mettendo a verbale una lunga e confusa deposizione.
“Non credo che l’unica autorità competente ad autorizzare lo sbarco sia il ministero dell’Interno, questa è una vecchia questione, insomma forse qualche volta ne abbiamo dibattuto anche qui ma ne ho discusso anche con altri vostri colleghi in altri fori (…). Lo sbarco può avvenire per una miriade di situazioni e di circostanze, e un po’ riconduciamo al discorso del Pos, ossia dell’utilizzo secondo me improprio, ma questo faccio mea culpa, noi non siamo mai riusciti come amministrazione, questo forse ci competeva, a definire, circuitare e convenire anche proprio in termini di norme di linguaggio una coerente e uniforme rappresentazione di quali fossero le collocazioni giuste delle funzioni. Il ministero dell’Interno non ha nessuna funzione, io credo che questo lo potete verificare, di autorizzare gli sbarchi. (…) Tornando sul concetto di Pos, dal punto di vista di come penso lo declinai già è fondamentale anche in questo caso, cioè nel senso… a prescindere che anche lì si potrebbe discutere se è il ministero dell’Interno titolare della funzione di indicare il Pos ma, anche se fosse, in questo caso il Pos è già raggiunto, quantomeno per un’autonoma determinazione delle Capitanerie di Porto che, ricordo, solo l’Autorità competente in questa complessa infrastruttura diciamo del meccanismo del dispostitivo in mare (…). Nel momento in cui salgono a bordo di un natante italiano, a maggior ragione un natante diciamo militare, comunque insomma delle istituzioni italiane, non c’è dubbio che sono già entrati quindi il ministero dell’Interno diciamo… io adesso non vorrei dare l’idea che non c’entriamo niente, ma viene… si affievolisce quella funzione, ecco”.
I tre magistrati del Tribunale dei ministri, a questo punto, devono sentirsi disorientati come Renzo nello studio dell’avvocato Azzecca-garbugli. Nella richiesta al Senato di autorizzazione a procedere contro Salvini, scriveranno: “Il prefetto Piantedosi, contraddicendo quanto lo stesso ha dichiarato in occasione del caso Diciotti, ha cercato vanamente di sminuire il ruolo del ministro dell’Interno. Le sue affermazioni risultano smentite dalla normativa, dalle dichiarazioni di altri funzionari e dal concreto svolgersi dei fatti. Ogni ulteriore commento appare assolutamente superfluo, così come ogni vano tentativo di sostenere altro”.
Si scende solo con le doglie
27 luglio 2019, ore 18.10
Rada di CataniaPassano le ore, troppe, ma l’autorizzazione allo sbarco non arriva. A bordo il comandante è preoccupato per Aishat, la donna nigeriana con il pancione che viaggia con il marito e altri due bambini piccoli. Potrebbe partorire da un momento all’altro, non è possibile monitorarla ed è costretta a stare distesa sul ponte su un giaciglio di coperte termiche insieme ad altre 130 persone.
Alle 18.10 del 27 luglio, il tenente di vascello Carmine Berlano capisce che qualcosa non va per il verso giusto. Dall’Irmcc di Roma gli fanno sapere che il Pos potrebbe essere individuato nel pontile Nato del porto di Augusta e, dunque, di prepararsi a levare l’ancora dalla rada e dare motore. Troppe incognite all’orizzonte, troppo pericoloso far continuare il viaggio ad Aishat.
Il comandante riesce a ottenere un’evacuazione medica d’urgenza per lei, il marito Jafra Saha e i due bimbi. La donna viene portata subito in ospedale. Il marito con i due bimbi è ospitato dalla Comunità di Sant’Egidio da cui il piccolo, che nascerà 72 ore dopo, prende il secondo nome: John.
“Ero così stanca e dovevo anche prendermi cura degli altri due bambini. Non capivo perché non ci facessero scendere, nessuno diceva niente. Passavano le ore, i giorni, ho pensato che noi all’Italia non servivamo a nulla, che non ci volevano. Ma un po’ di umanità… il modo in cui ci hanno trattato è stato orrendo, neanche se fossimo stati animali. Per questo ora andiamo in tribunale, per ottenere giustizia”, racconta oggi Aishat, che si trova in un centro di accoglienza a Vittoria, in attesa di un permesso di soggiorno non ancora arrivato.Accanto a lei c’è il marito, Jafra Saha: “Io e mia moglie siamo stati costretti a fuggire da Lagos a gennaio 2019. Abbiamo attraversato con due bambini piccoli il deserto del Niger e l’Algeria. Un viaggio pericolosissimo lungo cinque mesi prima di arrivare in Libia, un Paese in mano a bande criminali dove ti uccidono per nulla. Per portare in salvo la mia famiglia ho dovuto imbarcarla su quel gommone con un altro piccolo in arrivo. A bordo della nave grande siamo rimasti solo due giorni perché il bimbo stava per nascere, ma quando hanno fatto scendere solo noi ho visto negli occhi dei compagni di viaggio la paura che potessero riportarli indietro. Chi sopravvive alla Libia chiede solo di trovare umana solidarietà. Io nel mio Paese facevo il meccanico e ora spero solo di poter ricambiare presto quello che io e la mia famiglia stiamo ricevendo dall’Italia”.
Come in un lebbrosario
28 luglio 2019, ore 3.15
Pontile Nato, porto di AugustaSbarcati Aishat e la sua famiglia, alle 23, il comandante Berlano dà motore e salpa alla volta di Augusta. C’è maltempo in arrivo. La distanza è breve e, alle 3.15 del 28 luglio, la Gregoretti ormeggia al pontile Nato. Ma, di nuovo, di autorizzazione allo sbarco neanche l’ombra. Un’altra nota di Irmcc al Viminale conferma, una volta di più, da dove arrivi lo stop. Nel comunicare al ministero lo spostamento della nave al porto di Augusta per riparare dal maltempo, il Centro di coordinamento dei soccorsi “rassicura” il ministero: “Ciò detto si precisa che i migranti non saranno sbarcati fino al sopraggiungere di superiori disposizioni”.
Torniamo a bordo. Il 28 luglio trascorre senza che nulla accada. Il sole è implacabile, fanno 35 gradi, i migranti sono esposti ai raggi del sole, al vento, alla promiscuità del ponte. Ci si lava come è possibile. Si aggira tra loro la dottoressa Agata Stefania Reale, del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta (Cisom). È lei a segnalare subito 29 di casi di scabbia tra i passeggeri. “Le condizioni igienico-sanitarie in cui si trovano i 131 migranti sono scadenti”, scrive nella relazione che consegna al comandante della Gregoretti.
“Data la promiscuità nella condivisione degli spazi comuni e in graduale peggioramento data la loro continua permanenza a bordo. Essi hanno favorito la presenza e la diffusione di numerosi casi di scabbia per il prolungato contatto interumano e non garantiscono il mantenimento in condizioni di un’adeguata e necessaria pulizia delle ferite medicate a bordo. La contaminazione dei luoghi non permette, altresì, l’esecuzione di eventuali procedure sanitarie in condizioni di sterilità”.
Risulta anche un possibile caso di tubercolosi, non confermato. L’equipaggio, invece, non mostra sintomi di malattie infettive.
I protagonisti
Si muovono i pm
29-30 luglio 2019, mattina e pomeriggio
Tribunale dei Minori, Catania
Procura della Repubblica, SiracusaSono passati già tre giorni da quando la Gregoretti ha preso a bordo i migranti e nulla accade. I naufraghi sono sempre più agitati. Chiedono all’equipaggio che ne sarà di loro, ma i marinai non sanno cosa rispondere. Nel gruppo dei profughi ci sono 16 minorenni, o, almeno, così si dichiarano. Per chi ha meno di 18 anni la legge impone lo sbarco immediato e la presentazione della richiesta di asilo. Il 29 luglio, la procuratrice presso il Tribunale dei Minori di Catania, Caterina Aiello, scrive una lettera al questore e al prefetto di Siracusa, chiedendo l’immediato sbarco. Questa volta, a differenza di quanto avvenuto l’anno prima con la “Diciotti”, il Viminale non fa resistenza e, alle 14.24, i ragazzi scendono. Tutti tranne uno che alla fine ammette di avere 18 anni. Sulla Gregoretti, ad affrontare la quarta notte sul ponte, restano in 116.
Il Procuratore facente funzione di Siracusa, Fabio Scavone, è un ex ufficiale di Marina. Ci mette poco a capire che la situazione è diventata ingestibile e che, come accaduto per la Diciotti, sarà oggetto di un procedimento giudiziario. In quanto competente territorialmente, apre un fascicolo e organizza un’ispezione, nominando tre infettivologi, per accertare le condizioni igienico-sanitarie sulla Gregoretti. Il giorno successivo, il 30 luglio, convoca nel suo ufficio in Procura il comandante Berlano.
Tra “colleghi” si intendono. “Ho atteso fino ad ora l’indicazione del Pos da parte del Comando generale delle Capitanerie di porto – gli spiega Berlano – pur non avendo fatto alcuna richiesta in tal senso. Il Comando si è limitato a dirmi che il probabile Pos sarebbe stato Augusta, dove sono ormeggiato”. È urgente che le persone recuperate in mare vengano fatte subito sbarcare. Anche perché l’ispezione degli infettivologi ha confermato lo screening della dottoressa Agata Stefania Reale: 29 migranti hanno la scabbia, una persona è sospettata di avere la tubercolosi, c’è il concreto rischio di contagio per gli altri e per i marinai.
Ultime ore
31 luglio 2019, ore 10.34
Procura della Repubblica, Siracusa
Prefettura, Siracusa
Viminale, RomaIl 31 luglio è ancora il procuratore Scavone che prende l’iniziativa chiedendo formalmente al questore e al prefetto di Siracusa, nonché all’Irmcc di Roma di procedere allo sbarco immediato. Alle 10.34, ottiene l’evacuazione medica della persona affetta da sospetto caso di tubercolosi, l’Irmcc informa della circostanza il Viminale.
Questore e prefetto non sanno che rispondere alla missiva del Procuratore. Tacciono anche al Comando generale delle Capitanerie di porto. La palla, come sempre, è nelle mani del ministero dell’Interno, quindi di Salvini e di Piantedosi. Da Roma fanno sapere che sono in corso trattative con l’Europa per la redistribuzione di quei 115 migranti. E che senza l’accordo non si scende.
In prefettura a Siracusa, ad attendere istruzioni, c’è il viceprefetto vicario Filippo Romano. Questa la sua versione dei fatti. “Tra il 28 e il 30 luglio mi sono sentito più volte con i diversi uffici ministeriali coinvolti per avere indicazioni sulla destinazione dei migranti una volta sbarcati. Dal ministero più di un dirigente mi ha detto che certamente lo sbarco sarebbe stato autorizzato a breve e che l’attesa era dovuta al tentativo del ministro dell’Interno di ottenere il ricollocamento dei migranti tra gli altri partner europei.
Il 30 luglio, ho parlato personalmente con il dottor Piantedosi il quale mi ha detto di tenermi pronto per sistemare i migranti nei Centri di accoglienza straordinari gestiti dalla prefettura perché a breve sarebbero sbarcati”.
“Il problema è risolto”
31 luglio 2019, ore 16.53
Rue de Marteau 9, Bruxelles
Viminale, Roma
Molo Nato, porto di AugustaMentre dalla Procura e dalla prefettura di Siracusa pressano per avere una decisione, la trattativa a Bruxelles con alcuni Stati membri dell’Unione arriva a un punto che a Roma giudicano accettabile. Alle 11.11 Andrea Biagini, primo consigliere della rappresentanza permanente italiana presso l’Unione Europea, dal suo ufficio in Rue du Marteau 9 scrive una mail a diversi funzionari del Viminale e della Farnesina. Oggetto: Gregoretti. Nella mail copia-incolla l’aggiornamento ricevuto dall’ambasciatore Maurizio Massari, il quale a sua volta ha avuto notizie dalla responsabile del dipartimento immigrazione alla Commissione Europea Paraskevi Michou.
“Caro Maurizio,
Come detto, i seguenti Stati membri parteciperanno: Germania, Francia, Portogallo, Lussemburgo, Irlanda. Le quote esatte di migranti che saranno prese in carico da Germania e Francia non sono ancora stabilite, ma non saranno meno di 20 ciascuno. Il Portogallo ne prende 10. Il Lussemburgo ne prende 3-5, l’Irlanda ne prende 2 di nazionalità sudanese”Almeno 57 naufraghi della Gregoretti andranno in Europa. I restanti 60 saranno consegnati alla Conferenza episcopale italiana, in base a un accordo col Viminale: destinazione Rocca di Papa. Soddisfatto, Salvini può annunciare il via libera allo sbarco con una diretta Facebook (ore 12.15). “Nelle prossime ore darò l’autorizzazione perché abbiamo la certezza che i migranti non saranno a carico dei cittadini italiani. Il problema è risolto”.
Alle 15.48, viene comunicata al Centro nazionale di coordinamento soccorsi l’autorizzazione allo sbarco. Alle 16.53 tutti i 115 naufraghi della Gregoretti sono sul molo Nato del porto di Augusta. Vengono messi su bus e trasferiti nell’hotspot di Pozzallo. Alcuni di loro, destinati alla Germania, attenderanno altri 5 mesi prima di salire su un aereo per Berlino.
Aishat e suo marito Jafra sono ancora nel centro di accoglienza di Vittoria.Atto di accusa
17 dicembre 2019
Senato della Repubblica, RomaIl 17 dicembre alla Presidenza del Senato arrivano le 59 pagine della “Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio” nei confronti del senatore Matteo Salvini “in qualità di ministro dell’Interno pro tempore”. Per aver posto il veto all’indicazione del Place of safety (Pos) è accusato di aver sequestrato 131 persone per cinque giorni a bordo della Gregoretti. Reato aggravato dal fatto di essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con l’abuso di poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché in danno di minorenni. Secondo i tre magistrati del Tribunale dei ministri, Salvini ha violato le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le norme di attuazione nazionali (Convenzione Sar, Risoluzione Msc 167-78, Direttiva Sop 009/15), nonché la Legge Zampa sulle misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati e il Testo Unico Immigrazione.
“È convincimento di questo Tribunale che la scelta del ministro Salvini di non autorizzare lo sbarco fino al 31 luglio non possa essere qualificata come ‘atto politico’ in senso stretto e, in quanto tale, sottratta al sindacato dell’autorità giudiziaria. L’atto del ministro Salvini costituisce piuttosto un atto amministrativo che, perseguendo finalità politiche ultronee rispetto a quelle prescritte dalla normativa di riferimento, ha determinato plurime violazioni di norme internazionali e nazionali, che hanno comportato l’intrinseca illegittimità dell’atto amministrativo censurata da questo Tribunale”. E ancora: “Si ritiene che non possa esservi tutela giurisdizionale a fronte della lesione di un diritto qualificato come inviolabile dalla Carta Costituzionale, nonché dalla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo”.
Secondo i legali difensori di Salvini, il carteggio digitale (le due mail del 26 luglio e del 31 luglio) intercorso tra Palazzo Chigi e la rappresentanza italiana nella Commissione europea a Bruxelles per sondare la disponibilità in Europa alla redistribuzione è la dimostrazione che le decisioni prese sul caso Gregoretti sono state collegiali e hanno investito tutto il governo. Il Tribunale dei ministri di Catania, invece, ritiene che le responsabilità siano da addossare a Salvini soltanto e che la linea politica da lui promossa in teoria non è incompatibile con il rispetto delle convenzioni internazionali: bastava far sbarcare subito i naufraghi, portarli negli hotspot italiani per poi smistarli negli hotspot di destinazione secondo gli accordi raggiunti al livello europeo.Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, nel traferire gli atti al Senato, ha ribadito che per lui il caso non esiste, e ha chiesto l’archiviazione. Il 20 gennaio, la Giunta per le immunità del Senato ha approvato l’autorizzazione a procedere contro Salvini. Favorevoli anche i 5 membri della Lega. L’aula, in seguito, ha ratificato la decisione.
Un giudice a Catania
Il 3 ottobre Salvini sarà a Catania per il processo che lo vede imputato, per la prima volta, di sequestro di persona. A giudicarlo sarà il capo dell’ufficio del Gip, Nunzio Sarpietro, magistrato non certo di primo pelo, che davanti alla grande agitazione di Salvini e ai suoi dichiarati timori di passare sotto le forche caudine “di un altro Palamara”, replica serafico: “Palamara a me non lo dice nessuno. Non faccio politica. Fa male il senatore Salvini ad affannarsi tanto, a Catania trova un giudice sereno, spoglio di qualsiasi pregiudizio”.
Per il leader leghista, che di migranti a bordo di navi umanitarie o della Guardia costiera ne ha “trattenuti” a centinaia, per giorni e giorni, è arrivato il redde rationem. Sul banco degli imputati per rispondere di un reato per il quale rischia 15 anni di carcere, proverà a trascinare dentro al processo gli ex compagni di governo. Un processo anomalo in cui la pubblica accusa è convinta dell’innocenza dell’imputato. Fosse stato per il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro (già teorico delle navi umanitarie come pull factor, il primo ad aprire un’inchiesta sulle Ong che non ha mai portato a nulla), Salvini non sarebbe mai finito sotto accusa. Per due volte Zuccaro ha chiesto l’archiviazione, e ora in aula il suo sostituto Andrea Bonomo insisterà nella richiesta di non luogo a procedere.
Le magliette dei fan di Salvini, con la scritta “Processate anche me”, sono pronte. L’obiettivo è fare del tribunale di Catania una piccola Pontida che trasformi l’imputato in martire.
Sorgente: Processo a Salvini | Rep