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Conte, quattro scogli per il governo: Mes, legge elettorale, Recovery plan e decreti Salvini

Il premier stretto tra le richieste dei dem e le fibrillazioni del Movimento. Dai dicasteri presentati piani per 667 miliardi, ma sul piatto ce ne sono 209

di Enrico Marro

La vittoria del Sì nel referendum sul taglio dei parlamentari e il pareggio (3 a 3) nelle elezioni regionali hanno stabilizzato il governo, con la ragionevole aspettativa — complice anche il «semestre bianco» e l’elezione del presidente della Repubblica nel 2022 — di arrivare alla fine della legislatura, nel 2023. Ma stabilità non significa compattezza. Anzi, i risultati del voto mettono in moto nuove fibrillazioni nella coalizione. Da un lato c’è il Pd di Nicola Zingaretti, che rivendica di essere diventato il primo partito e ha una forte tentazione di passare all’incasso, se non con un rimpasto di governo (ipotesi per ora esclusa dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte) sicuramente imponendo una svolta programmatica. Dall’altro lato ci sono i 5 Stelle alle prese con la resa dei conti interna dopo il brutto risultato delle regionali, che rende il Movimento più imprevedibile del solito. Ai margini Leu e Italia viva, ma sempre in un contesto che, a causa della risicatissima maggioranza di cui gode il governo al Senato, assegna loro un certo potere di ricatto. In mezzo a tutte queste spine c’è Conte.

Mes, Conte stretto tra M5S e Pd si rimette all’Aula

La prima spina di Giuseppe Conte è il Mes. Dopo il voto il pressing del Pd si avvicina all’ultimatum. In ballo prestiti per 36 miliardi che il fondo salva Stati dell’Ue (il Mes, appunto) potrebbe erogare all’Italia a patto che vengano spesi per la sanità. Il Pd e Italia viva vogliono prenderli: in 10 anni, si risparmierebbero 500 milioni l’anno in interessi, dicono. I 5 Stelle restano contrari, temendo che l’Italia finirebbe nella trappola dell’austerity sotto i tecnocrati di Bruxelles. Anche per Stefano Fassina (Leu) il Mes è un «pessimo affare», ma il ministro della Sanità, Roberto Speranza, anche lui di Leu, dice invece che per le spese sanitarie va bene tutto, pure il Mes. Conte inizialmente era in sintonia con i 5 Stelle. Ma con la coalizione divisa, il premier ha deciso di rimettersi a ciò che deciderà il Parlamento.

 

Recovery fund, battaglia tra ministri

Sulla carta nessun problema. Ricevere 209 miliardi di euro dall’Europa tra prestiti e trasferimenti accontenta tutti. Ma sulla torta, per quanto ampia, si scatenano gli appetiti, come dimostrano i 557 progetti presentati dai ministeri per una spesa di 667 miliardi. Tanto che Conte è impegnato in una difficile selezione, tenendo conto delle diverse sensibilità nella coalizione. Italia viva, per esempio, punta sul Family act della ministra Bonetti. I 5 Stelle su un sostanzioso pacchetto della ministra dal Lavoro, Nunzia Catalfo, che tra ammortizzatori universali e salario minimo per legge suscita apprensioni al Tesoro, tenuto dal Pd, mentre c’è chi vorrebbe dare una stretta al Reddito di cittadinanza, caro al M5S. Sullo sfondo la lotta per la regia di tutta l’operazione.

Legge elettorale, divide la soglia di sbarramento

L’accordo di massima che c’era nella maggioranza sul ritorno a una legge elettorale proporzionale è ora messo a dura prova. Un’eventuale soglia di sbarramento al 5% sarebbe infatti troppo alta per Leu e per Italia viva, che si smarca, dicendo che se modello tedesco deve essere (ma meglio il maggioritario, dice Renzi) allora va prevista anche la sfiducia costruttiva. Ma non si può parlare d’intesa neppure sulla reintroduzione, rilanciata dai 5 Stelle, del voto di preferenza, senza contare che la legge elettorale si intreccia col ridisegno dei collegi, imposto dal taglio dei parlamentari, e con la riforma del bicameralismo perfetto sulla quale spinge il Pd. Conte, su questi temi, come da tradizione, rivendica la terzietà del premier rispetto alla volontà del Parlamento. Sperando in un’intesa.

Decreti Salvini, l’imbarazzo dei 5 Stelle

Per il Pd la modifica dei decreti sicurezza, meglio noti come decreti Salvini, è diventata una priorità. Con un ultimatum. La questione deve andare all’esame del prossimo consiglio dei ministri, ha detto il segretario Nicola Zingaretti. La cosa non fa piacere ai 5 Stelle, che nel precedente governo hanno votato quei decreti per bloccare l’immigrazione clandestina. Non è solo una questione di stile (l’ultimatum di Zingaretti è il segno tangibile del Pd che passa all’incasso sul Movimento sconfitto nelle regionali) ma anche di merito perché tra i pentastellati, comunque divisi sul tema, non sono pochi quelli contrari a una retromarcia sui decreti Salvini. In questo caso, però, Conte, soppesando gli attuali equilibri nella maggioranza, ha deciso di schierarsi con il Pd.

 

 

 

Sorgente: corriere.it

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