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Quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen ha parlato di abolizione del regolamento di Dublino e di “un forte meccanismo di solidarietà”, siamo saltati sulla sedia.
Abbiamo scioccamente creduto che “abolizione” significasse “abolizione” e che con “solidarietà” si intendesse “solidarietà”.
E invece per abolizione si voleva intendere la previsione di qualche eccezione al principio del Paese di primo ingresso – perno del regolamento di Dublino – per cui chi entra in Europa chiedendo protezione è costretto a farlo nel luogo in cui arriva, anche se non coincide – e spesso non coincide – con la destinazione desiderata e finale.
La solidarietà, invece, è contemplata come sinonimo di complicità interna contro l’esterno: quella tra stati membri, nel sostenere e favorire le espulsioni di chi proviene da fuori, dalla parte sbagliata del mondo
“Dublino” dunque resta saldo. Nessuna distribuzione doverosa dei rifugiati tra Stati membri, ma la previsione di una possibilità di libera scelta: o l’accoglienza di una quota di richiedenti asilo o l’organizzazione e copertura economica del rimpatrio per i non aventi diritto. Quasi a stabilire una equazione, un baratto, che i paesi Visegrad alzeranno a stendardo, quali fautori della cacciata degli sgraditi.
Viene infatti introdotta la sponsorship sui rimpatri, perché non bastava associare al concetto di solidarietà quello di rifiuto dell’altro, ma era necessario inquinare anche un termine – quello di sponsorship- che nelle politiche migratorie ha sempre avuto un’accezione positiva, come via di accesso legale e sicura per le persone migranti.
La coesione tra Stati membri non è perseguita per lo sviluppo di un sistema comune europeo di accoglienza ma per un’equa ripartizione degli oneri dei rimpatri degli indesiderati. Il dialogo e la cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei migranti non sono tanto auspicati per favorire l’apertura di corridoi umanitari quanto per trattenere esseri umani nelle terre da cui fuggono o nei lager di frontiera.
Poco o nulla sulla costruzione di percorsi legali e sicuri di protezione, nonostante i potenziali strumenti a disposizione – programmi di ammissione per motivi umanitari, visti umanitari, procedure di ricongiungimento familiare, ricollocamento dei migranti, ecc. – che permetterebbero di combattere davvero il traffico di esseri umani. Combatterlo e non strizzare l’occhio a passeur e aguzzini.
Una frontiera, esterna e interna, che è destinata a essere sempre più presidiata e impermeabile.
Sulle ceneri ancora bollenti di Moria, l’Europa rimette al centro il sistema degli hotspot con la quantomeno ambiziosa prospettiva di sottoporre i migranti, nel momento di valico della frontiera, a una scrematura tra chi potrà e chi non potrà seguire l’iter della richiesta d’asilo: 5 giorni per definire il destino di una persona, col rischio che il discrimine sia la sola nazionalità, dimenticando che lo status di rifugiato non si ottiene sulla base della propria carta d’identità ma grazie al riconoscimento di una persecuzione oggettiva e dimostrabile.
Dimostrabile, appunto.
Ma per chi proviene dai paesi dove la migrazione non è legata a conflitti o calamita’ riconosciute viene attivata la border procedure, procedura rapida alle frontiere che in 12 settimane si esprimerà sul rimpatrio.
Poca o nessuna possibilità per i migranti c.d. economici, che restano i grandi dimenticati della coscienza europea – perché morire lentamente di fame sembra chissà perché esser meno doloroso di morire sotto le bombe – ma anche per i profughi che fuggono da situazioni di violenza personale e instabilità interne, che pur non conclamate su scala planetaria esistono e uccidono.
Il rischio forte – ma è forse l’obiettivo del Migration Pact – è quello di procedere a valutazione sommarie e mascherare respingimenti made in UE con la legittimità del rimpatrio.
Rimpatrio Rimpatrio Rimpatrio: la parola chiave, ripetuta ossessivamente in tutto il documento programmatico.
Anche perché nella border procedure finiranno indiscriminatamente tutti coloro che provengono da paesi con un tasso di riconoscimento dello status di rifugiato al di sotto del 20% che – attenzione – si impenna al 75% quando il paese di primo approdo vive una non meglio specificata “crisi migratoria”.
Sbagliando si imp…ah no
Si persevera. Diabolicamente.

Sorgente: Anti – Migration PactQuando la presidente… – Baobab Experience | Facebook

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