0 4 minuti 4 anni

Il racconto del direttore dell’Istituto Superiore di Sanità: «Erano stanchi ma contenti di essere tornati. Non dimentico quel papà con neonato in braccio».

di Margherita De Bac

«Attenzione, non deve prendere freddo. Ci mancherebbe solo la febbre, proprio adesso che ci siamo quasi». Uno degli otto italiani sbarcati ieri a Pratica di Mare e ricoverati al Celio per la quarantena stringe al petto il bambino di pochi mesi. Fa freddo, molto fredo nello scalo di Brice Norton, vicino Londra, dove i passeggeri sono arrivati con un volo inglese da Wuhan, a bordo circa duecento europei di diverse nazionalità in fuga dalla capitale dell’Hubei minacciata dal nuovo coronavirus. Ci sono anche greci, norvegesi e danesi. In tutto una ventina di persone come prevedevano gli accordi. Un ponte aereo che è sembrato infinito.

La bufera

Ogni comitiva a seconda della nazionalità viene accompagnata alla base dell’aereo che li riaccompagnerà ciascuno nel proprio paese. Sulla pista soffia un vento gelido ed è a causa della bufera che il decollo per Pratica di Mare viene ritardato di ora in ora fino a metà mattinata. Attesa snervante per tutti, equipaggio e stranieri in fuga dall’epidemia. Ma per loro la fatica diventa sopportabile al pensiero di rimpatriare.

Stanchi e contenti

Nella inviata a Londa per riportare a casa gli 8 italiani e i cittadini greci (da Pratica di Mare l’aereo è subito ripartito per Atene) c’era anche Andrea Piccioli, 60 anni, direttore generale dell’Istituto Superiore di Sanità, medico ortopedico. Si è offerto volontario perché sentiva di «dover dare il mio contributo». Ha un passato come medico della Marina Militare nella guerra del Kossovo. Una volta a casa, riaffiorano i ricordi di questa esperienza impegnativa e toccante. «Erano tutti stanchissimi ma contenti, sorridevano anche se la tensione era alle stelle. Nella concitazione di quei momenti noi dell’equipaggio non abbiamo avuto modo di parlare con i passeggeri»

Niente febbre

Continua Piccioli: « Le procedure richiedevano molta attenzione, è stata una missione estremamente serrata nei tempi, noi eravamo bardati dalla testa ai piedi. Li abbiamo visitati prima che scendessero dall’autobus, nessuno aveva la febbre e dunque è stato dato il via libera all’imbarco, sembravano in buone condizioni fisiche». Una volta saliti a bordo, i passeggeri sono stati separati dal resto della squadra di «salvataggio». Misure di sicurezza ai massimi livelli, ogni manovra preparata nei minimi dettagli. Ci sono stati attimi difficili».

Il passeggino

Come quando il papà di uno dei due bambini di pochi mesi ha sfogato tutta la tensione accumulata in un modo che ha lasciato tutti sorpresi. «Tra i bagagli caricati sul pullman all’aeroporto di Norton Brice quel giovane non trovava il passeggino ed era disperato. Si vedeva che era un comportamento al di fuori del normale. Abbiamo cercato di tranquillizzarlo dicendogli che una volta a Pratica di Mare il passeggino glielo avremmo fatto avere e con quello sarebbe potuto recarsi al Celio. Un papà giovane. Mi ha colpito l’umanità con cui gli operatori sono riusciti a farlo sentire sereno».

Piccoli trolley

Andrea Piccioli è dispiaciuto di aver dovuto rinunciare in una situazione tanto critica a un contatto più umano con i fuggitivi: «Avevano con sé piccoli trolley, come se scappassero da qualcosa e avessero messo in valigia l’indispensabile. Avevano indosso vestiti leggeri. Forse il papà del passeggino si è sentito disperato nel dover rinunciare all’unico oggetto familiare portato via da Wuhan».

Sorgente: Gli 8 italiani fuggiti da Wuhan, «Abbiamo dovuto rinunciare a tutto»

Please follow and like us:
0
fb-share-icon0
Tweet 20
Pin Share20