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Il sindaco: simbolo della resilienza. Cnr: con l’acqua granda rischiati 210 centimetri

VENEZIA – L’acqua si increspa e nella notte spuntano le righe gialle, circondate dal blu delle luci delle forze dell’ordine. Eccole lì, sono le 21, le paratoie del Mose che salgono una dopo l’altra, quattro alla volta, per formare una diga intera. Le 19 «porte» della bocca di Malamocco sono su, a proteggere Venezia dall’acqua alta. O perlomeno così dovrebbe essere quando, forse già alla fine dell’anno prossimo, il Mose sarà pronto per la chiusura totale. «Un momento storico — dice il sindaco Luigi Brugnaro dalla sala di comando con i tecnici del Consorzio capitanato dal commissario Francesco Ossola e il provveditore reggente Cinzia Zincone — Sono di persona a vedere le paratoie alzarsi, opera unica orgoglio della nostra scienza e tecnologia. ora dobbiamo terminare i lavori, sarà il simbolo della resilienza». Quella di ieri sera è stata la prova di chiusura totale della bocca di Malamocco, la prima qui dopo che già nel 2014 si chiuse tutta la schiera di Lido Treporti.

Grande attesa

C’era grande attesa, un po’ perché si tratta del primo test dopo la marea record del 12 novembre scorso, un po’ perché questo test un mese fa era stato sospeso a causa delle anomale vibrazioni dei tubi di pompaggio di aria e acqua, poi risolte una con l’installazione di alcune staffe. Le dighe sono salite lentamente, anche perché in questo momento è collegato solo un compressore dei tre previsti (gli altri due sono in fase di cablaggio), ma all’apparenza non ci sono stati problemi. Le manovre non sono state seguite non solo dai tecnici del Consorzio Venezia Nuova, ma anche da un centinaio di «curiosi» trasportati a Malamocco dall’ingegner Giovanni Cecconi, ex dirigente del Cvn, oggi referente della rete Wigwam, a bordo della motonave Osvaldo. «Queste attività dovrebbe organizzarle il Consorzio — lamenta —io sono qui per consentire ai veneziani di vedere come funziona il Mose. La notte dell’acqua straordinaria si doveva avere il coraggio di alzarle, chiudendo anche solo per metà ciascuna schiera: si sarebbero risparmiati 30 centimetri e il conto dei danni sarebbe stato di poche centinaia di migliaia di euro e non di un miliardo».

Vigilia di polemiche

La mattinata si era aperta con una piccola polemica. Prima si era tenuto il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica presso la Prefettura, che ha aumentato le misure di sicurezza nella zona del test: incrementando l’aria interdetta alle imbarcazioni private e vietando il passaggio delle navi anche dalla Conca di Malamocco, inizialmente aperta, e quindi disponendo un notevole spiegamento di mezzi delle forze dell’ordine per evitare problemi. Il questore Maurizio Masciopinto non ha nascosto il suo disappunto nei confronti del Consorzio Venezia Nuova per aver sottostimato l’impatto mediatico dell’evento, tanto più dopo le ripetute acque alte dei giorni scorsi, con il picco a 187.

Minaccia maree

Proprio su quell’acqua alta, la seconda della storia di Venezia dopo i 194 centimetri del 1966, ieri il Cnr-Ismar di Venezia ha pubblicato un’analisi preliminare. Rispetto a mezzo secolo fa — e anche rispetto ai 156 cm di un anno fa — questa volta il massimo contributo meteorologico di marea è coinciso con il picco astronomico, che però alle 22:50 era più basso di una ventina di centimetri di quelli avvenuti poche ore prima e poche ore dopo. Se le raffiche di vento a oltre 100 chilometri all’ora si fossero verificate prima o dopo, la marea avrebbe potuto toccare una disastrosa quota di 210 cm. La particolarità del fenomeno, con un ciclone abbattutosi sulla laguna, è dimostrata anche dalle notevoli differenze, pur nello stesso “catino”: in primis 14 centimetri nella sola Venezia, con «appena» 173 dal lato della Misericordia e quote più basse in laguna nord. La violenza dell’evento meteo, dicono i ricercatori del Cnr, conferma anche la difficoltà di previsione per maree di questo tipo.

Sorgente: Corriere del Veneto

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