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Open, una segnalazione dell'antiriciclaggio per l'indagine sulla casa di Renzi

A Lotti una delle carte di credito della fondazione. L’accusa: così Carrai reclutò i finanziatori

FIRENZE Operazioni immobiliari, carte di credito, cene e convegni. Sono due le inchieste avviate dalla procura di Firenze sull’utilizzo dei soldi della Fondazione Open. Oltre alle verifiche sul denaro gestito dall’avvocato Alberto Bianchi – che era presidente della Fondazione chiusa nel 2018 dopo sei anni di attività e incassi per circa 7 milioni di euro -, i pubblici ministeri hanno disposto accertamenti sulla villa acquistata nell’estate 2018 da Matteo Renzi. I soldi per versare la caparra da 400mila euro furono infatti messi a disposizione da uno dei finanziatori. La somma è stata poi restituita ma un anno fa l’operazione è stata segnalata dall’Uif, l’Unità antiriciclaggio, come “sospetta” e per questo sono in corso le verifiche. Controlli che riguardano pure l’utilizzo delle carte intestate alla Fondazione ma messe a disposizione di alcuni parlamentari. Tra loro, Luca Lotti che con Maria Elena Boschi e Marco Carrai – indagato come Bianchi per finanziamento illecito – faceva parte del consiglio di amministrazione della Fondazione.

I 700 mila euro per la villa

L’alert scatta un anno fa quando i magistrati di Firenze guidati da Giuseppe Creazzo ricevono una “segnalazione di operazione sospetta” che riguarda un passaggio anomalo di soldi sui conti di Renzi. Chiedono alla Guardia di Finanza un approfondimento e scoprono che il 12 giugno 2018 l’ex premier ha ricevuto un prestito da 700mila euro dai fratelli Maestrelli, attraverso un conto dell’anziana madre Anna Picchioni. Una parte dei soldi è stata utilizzata per emettere 4 assegni circolari per un totale di 400mila euro da versare come caparra per l’acquisto della dimora da un milione e 300mila euro a due passi da piazzale Michelangelo.

Si scopre che i rapporti tra Renzi e i Maestrelli risalgono a molti anni fa. La famiglia ha fatto alcune donazioni ad Open e Riccardo, uno dei fratelli, nel 2015 era stato nominato proprio dal governo Renzi nel consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti. Renzi ha restituito i 700mila euro, ma l’indagine dovrà accertare se quel prestito fosse la contropartita per favori ricevuti. E se dietro le altre donazioni dei Maestrelli – proprietari tra l’altro di alcune aziende ortofrutticole – possano celarsi vantaggi ottenuti proprio grazie al legame con l’ex premier e con il suo entourage.

Carrai «anello di congiunzione»

L’accusa ritiene che Open abbia agito come «articolazione di partito politico» e dunque che sia stata trasformata in una vera e propria cassaforte per finanziare la carriera di Renzi nel Pd. E che i sostenitori economici ne abbiano poi potuto trarre vantaggi per le proprie imprese. L’avviso di garanzia notificato a Carrai per finanziamento illecito contesta infatti il “sistema” utilizzato da Open per ottenere il sostegno economico.

Secondo l’accusa il “collettore” sarebbe l’avvocato Alberto Bianchi nominato dai “soggetti finanziatori” come consulente legale. In realtà in alcuni casi parte della parcella sarebbe stata poi versata ad Open per «mascherare il sostegno all’attività politica di Matteo Renzi» e trarne vantaggi. In questo schema Carrai viene indicato come «l’anello di congiunzione tra i finanziatori e la Fondazione». È stato infatti proprio lui a trovare imprenditori italiani e stranieri disposti a elargire contributi a Open. E le verifiche della Guardia di Finanza si concentrano su eventuali contropartite che avrebbe garantito grazie al ruolo strategico nel “giglio magico” e alla sua amicizia con Renzi. Il 4 ottobre scorso Carrai è stato nominato console d’Israele: quando i finanzieri sono entrati negli uffici della sua azienda per la perquisizione hanno dovuto utilizzare alcune cautele legate all’immunità diplomatica, anche se questo non ha impedito di portare via la documentazione sul suo ruolo in Open. «Non ho ricevuto alcuna perquisizione», dichiara invece l’imprenditore Alfredo Romeo, anche se alcune aziende a lui collegate risultano nell’elenco affidato agli investigatori.

La carta usata da Luca Lotti

«Non sono mai esistite carte di credito o bancomat della Fondazione Open intestati a parlamentari», si è affrettato a dichiarare ieri Luca Lotti. Nel decreto di perquisizione viene in realtà specificato che «Open ha rimborsato spese a parlamentari e ha messo a loro disposizione carte di credito e bancomat». Una di queste risulta utilizzata proprio da Lotti e le verifiche delegate alla Guardia di Finanza riguardano la lista delle spese effettuate. La carta poteva essere infatti usata soltanto per l’attività collegata a Open e dunque se tra le “uscite” ci fossero impegni legati alla politica scatterebbe l’accusa di finanziamento illecito.

Il ruolo di Lotti, così come quello di Maria Elena Boschi, nel consiglio di amministrazione della Fondazione sarà valutato dopo aver esaminato la documentazione sequestrata negli uffici e nell’abitazione di Bianchi. Ma sono entrambi parlamentari e dunque ogni eventuale provvedimento dovrebbe essere autorizzato dalle Camere.

Sorgente: corriere.it

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