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Intervista a Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente. Dura critica al decreto clima e alle timidezze del governo. «Serve un soggetto ecologista autonomo, basta essere ospiti ingombranti di tutti i partiti»

Il decreto legge Clima: stavolta non è che la montagna abbia partorito il topolino, piuttosto il topolino si è perso da qualche parte. Le ultime bozze, infatti, pur se disconosciute dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, sono più che deludenti. In un certo senso sembra che l’effetto annuncio abbia di fatto annunciato una delusione. «Abbiamo fatto il “decreto zero”? Aspettiamo con fiducia il “decreto uno”?». Rossella Muroni, deputata di LeU, già presidente nazionale di Legambiente, stempera l’amarezza con l’ironia. L’amarezza nasce dalle prospettive del dl Clima, provvedimento ormai più rivoluzionato che rivoluzionario. «Le ultime bozze sono molto depotenziate – valuta Muroni – basti vedere che sembra scomparsa la ricollocazione dei sussidi alle fonti fossili, una circostanza che la dice lunga sulla situazione. Peccato anche aver rinunciato all’incentivo alla vendita dei prodotti sfusi per ridurre la plastica e a rendere i parchi zone economiche speciali riconoscendo le potenzialità e il legame con le comunità locali». E perché ci troviamo in questa situazione? «In un governo che si dice impegnato nel Green new deal non c’è per il momento una visione ecologista, ma qualcuno se ne è accorto?». Muroni è stata anche a lungo, nelle fasi immediatamente precedenti la formazione del Conte bis, in quota come ministro dell’Ambiente, per di più in quanto «donna» nel computo della rappresentanza di genere. «Ecco, questa esperienza da “totogoverno” mi ha insegnato e fatto comprendere fino in fondo che c’è bisogno di un soggetto ecologista autonomo – dice – perché altrimenti non c’è spazio per le politiche ambientali sulle quali si è preteso di procedere finora ad invarianza di bilancio».

Un nuovo soggetto ecologista?
«Sì, serve un soggetto ecologista autonomo, basta essere ospiti ingombranti di tutti i partiti. Lo abbiamo visto in passato anche con l’esperienza di altri esponenti di Legambiente e anche la mia esperienza attuale dice la stessa cosa. Serve un soggetto ecologista autonomo, e per questo in settimana sarò a Bruxelles per incontrare i Verdi europei. Il tutto in una situazione nella quale in Europa i partiti ecologisti viaggiano sulle due cifre mentre in Italia rimaniamo ai blocchi di partenza».

C’è qualcosa che non va, in effetti, e non basta più avere un ruolo in un partito con una vocazione «classica».
«Io sono eletta come indipendente, e ora non c’è posto per gli indipendenti, non sono valorizzati, ed è un peccato. Ci si lamenta anche del fatto che non ci siano donne rappresentative o ecologisti moderni ma nemmeno l’informazione aiuta: se mi avessero invitato più spesso a parlare della realissima emergenza climatica invece della inesistente emergenza migratoria, avrei avuto molto da dire».

Oggi, oltretutto, non avere una giusta e coerente rappresentanza ambientalista rischia di metterci ai margini di un cambiamento politico e sociale europeo.
«E’ essenziale agganciare i temi ambientali allo sviluppo economico e a una dimensione europea, non c’è niente di più forte della dimensione ambientale per dimostrare che non siamo un Paese sovranista, chiuso, ma piuttosto un Paese che gioca in Europa con protagonismo, e per fare questo serve ad esempio che la nuova legge di Bilancio venga discussa nel Paese. Credo sia giunta l’ora di sviluppare un debat publique anche sui temi della legge di Bilancio che non deve portare ai gilet gialli ma dare risposte concrete».

Quindi vogliamo lo sguardo in Europa.
«Io cerco un’interlocuzione con i Verdi europei perché penso sia importante costruire un soggetto in Italia che abbia un contatto con loro e superi i recinti identitari e relazionali dell’ambientalismo storico italiano, mi piacerebbe contribuire a costruire un soggetto politico che abbia l’ambizione di dare anche risposte industriali».

L’impressione è che in Italia, al governo, manchi la ‘gamba verde’, e lo si vede col decreto Clima che delude. Magari sarebbe andata diversamente con dei ‘verdi verdi’, che invece ci servono…
«Il decreto Clima sembra molto addomesticato, ricondotto nel singolo ambito del ministero dell’Ambiente, non è più un provvedimento vasto».

Cosa è andato storto?
«Un clamoroso errore è stato non aver coinvolto il ministero dell’Economia e delle Finanze. In un certo senso la comunicazione ha sostituito la politica, forse serviva un progetto da portare al Summit Onu di New York, ma noi facciamo politica non comunicazione. Ad ogni modo si è creata una confusione fortemente dannosa».

Si ha l’idea di un provvedimento che più passa il tempo, più si susseguono le bozze, più peggiori.
«Sono stati tolti i temi economici più scottanti. In un certo senso l’effetto annuncio ha creato un’onda di ritorno che ha largamente ridimensionato e addomesticato le misure delle prime bozze. Però il dl Clima per avere senso, tra le altre cose deve normare in maniera coraggiosa il tema dell’End of waste, se non c’è neanche quello è vuoto. L’effetto annuncio crea aspettative ma non crea condivisione, invece qui ci sono temi da condividere trasversalmente».

Eppure il momento storico pare positivo: la commissione von der Leyen che lancia il Green new deal europeo e si parla di «green rule» per iniettare i «soldi verdi» nell’economia continentale sfuggendo al patto di stabilità, milioni di ragazzi in strada in tutto il mondo per i Fridays for Future…
«
L’ “effetto Greta” ha avuto un ruolo importantissimo, ha prevalso dove l’ambientalismo storico ha  avuto il suo limite più forte, ovvero nel riuscire coinvolgere le giovani generazioni, ma dobbiamo dare risposte concrete e creare una rappresentanza politica che ancora non c’è. Intanto però il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che alle Camere parla di Green new deal non ce lo possiamo giocare con l’effetto annuncio. Cosi come non possiamo deludere le ragazze e i ragazzi scesi in piazza: se non cogliamo questa pagina della storia falliamo davvero».

Però questa chance rischiamo sul serio di mancarla…
«Un altro tema importante che oppongo all’effetto annuncio è l’effetto coraggio che qualcuno deve mettere in campo. Ad esempio, rifiuti zero vuol dire che servono almeno mille impianti nel Paese che riciclano e riusano, un grande tema di consenso e di corretta informazione. Dobbiamo sfruttare l’onda della popolarità di Greta per raccontare le soluzioni possibili, ma le politiche ambientali di oggi, a differenza di quelle classiche, non si possono calare dall’alto, si devono far nascer dalla condivisione e dalla partecipazione, che è un punto debole della politica italiana».

Misure complesse, di sistema, ma si ha l’impressione che il ministero dell’Ambiente non abbia condiviso l’elaborazione di un provvedimento che però coinvolge settori economici delicati, come gli agricoltori, e cruciali, come l’autotrasporto, che può bloccare il Paese, come ha già fatto in passato.
«Quelli che tratta il dl Clima non sono temi da singolo dicastero, credo nel complesso sia un progetto che come minimo dovrebbe coinvolgere Sviluppo economico, Infrastrutture e Trasporti, oltre all’Ambiente, come minimo, e anche il il ministero dell’Istruzione sul fronte dell’imprescindibile ricerca e della formazione di docenti ed alunni. Poi la Salute, per indicare quali sono le ricadute sanitarie dell’inquinamento e di pratiche non sostenibili, cosa che renderebbe le misure ancor più comprensibili e condivisibili dai cittadini. Il ministero dell’Ambiente dovrebbe avere l’ambizione di essere punto di riferimento e di raccordo tra i vari ministeri su questo tema spingendoli alla corresponsabilità. Questa è una sfida per tutto il Governo da cui le giovani generazioni ora aspettano risposte non annunci».

Occasione e contesto favorevole, ma ci si deve muovere con la giusta accortezza.
«Sì. Ad esempio, “plastic free” lo diciamo tutti e va benissimo, ma poi il 70% della plastica monouso in Europa si produce in Italia, quindi si devono accompagnare le nostre aziende verso la riconversione e serve confronto, un confronto industriale. Ma il nostro è un Paese difficile per chi innova ed investe e che stenta a riconoscere i propri talenti: in Italia ad esempio abbiamo inventato il Mater-Bi, la bioplastica. E lasciatemelo dire, in un Paese diverso Catia Bastioli (ad Novamont, ingegnere ‘madre’ del Mater-Bi e e presidente Terna, ndr) sarebbe stata candidata al Quirinale, qui è stata trascinata sui giornali per due cent in più sui sacchetti per la verdura, così è difficile fare con coraggio politiche industriali e sostenibili…».

E allora intanto cosa si dovrebbe fare sul dl Clima?

«Auspico ci sia maggiore condivisione sull’allocazione delle risorse. La politica stessa è allocazione di risorse. Ci vogliono responsabilità condivisa e il coraggio di affermare tutti insieme che inquina di più deve pagare di più».

Ora Costa dice che l’azione sarà «veloce e radicale», che ci sarà «estrema precisione e attenzione per non danneggiare nessuno» e che il testo «deve interfacciarsi con quanto si sta stabilendo nella legge di Bilancio».
«Speriamo che l’azione sarà veloce e radicale, ma che lo sia realmente perché non abbiamo più tempo. Poi bene precisione e attenzione, ma il risultato non sia acqua fresca, ci vuole coraggio. E per quel che riguarda la  legge di Bilancio, direi che Costa ha assolutamente ragione. Però era evidente che ci sarebbe stato questo effetto boomerang, che sarebbe arrivato, è l’effetto annuncio che ha prodotto l’effetto boomerang, questo è il problema. Se poi vuol dire che abbiamo alzato l’asticella e il coraggio bene, ma noi siamo e saremo qui a misurare l’altezza dell’asticella».

Ancora, c’è il tema spinosissimo e preoccupante delle misure sull’End of waste, sullo sblocco delle autorizzazioni per la vitale e avanzata industria italiana del riciclo: ecco, anche nella bozze ‘buone’ praticamente non c’era nulla.
«La scrittura di un decreto clima è una bella notizia attesa da anni, ma tema centrale dovrebbe essere lo sblocco sull’EOW, il fatto che ci siano ancora un pezzo Paese e centinaia di imprese che attendono da anni una risposta normativa è clamoroso. Costa si concenti su questo che poi è anche il suo campo principale. Mi preoccupa il fatto che in una parte della maggioranza ci sia del pregiudizio circa il riuso dei materiali. E’ un pezzo di cultura ambientalista che guarda appunto con pregiudizio verso le imprese green ed è preoccupante. Il pregiudizio si salda all’ignoranza politica un po’ generalizzata sul tema e il cortocircuito che blocca il riutilizzo dei materiali è servito. Invece le imprese sono pronte da anni, se non normiamo in maniera innovativa e sfidante entro l’anno su questo tema il cosiddetto Green new deal rischia di restare solo un vuoto annuncio».

Una domanda ‘politica’ quella delle aziende del riciclo che non resterà vuota troppo a lungo…
«Nei giorni scorsi in Lombardia la Lega ha organizzato una riunione con le aziende della Green economy che si occupano di recupero dei rifiuti, hanno fiutato che c’è un popolo che cerca rappresentanza e che di schemi ideologici non si occupa ma semmai vuole risposte e rappresentanza. Attenzione, perché se la Lega cresce su questo tema e dà riposte siamo nei guai. Certo, la Lega ha prodotto anche un effetto annuncio nei confronti degli inceneritoristi, ma di contro c’è un popolo dell’impresa green che da tempo non riceve risposte, e in politica i ‘vuoti’ non esistono. Certo, è bene se anche nella destra cresce la sensibilità verso questi temi, ma regalargli il settore sarebbe un capolavoro: dopo avergli regalato la rappresentanza degli operai, delle periferie ora regalargli anche la rappresentanza della Green economy sarebbe clamoroso».

Sorgente: Muroni: “In italia ci vuole un partito dei Verdi. Ma di tipo europeo” – La Stampa

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